CAVALLI, Sigismondo
Nacque, probabilmente, fra Villanova e San Bonifacio (Verona), attorno al 1450 da Nicolò e da Adriana Foscolo.
Il padre, che nel corso della guerra di Chioggia combatté a fianco di Venezia, contribuì all'inserimento della "famiglia",avvenuto nel 1381,entro le maglie della nobiltà veneziana: i Cavalli, in tal modo, si configurano come una forza nobiliare, di provenienza mercantile (a Venezia già verso il 1250 sono ampiamente presenti) e agraria insieme, in grado di farsi portatrice di un ideale di nobiltà che si inquadra negli orizzonti di quella cultura urbana che, durante il sec. XIV, trova in Venezia uno dei principali punti di riferimento. L'area che attornia il monastero di Villanova vede, negli stessi anni, il nerbo dei possedimenti agrari dei Cavalli; mentre nell'"arca" di S. Anastasia, a Verona, la "famiglia" ritrova non solo il simbolo dell'unione, ma la realtà della sua potenza economica e del ruolo nobiliare che è chiamata a svolgere. A S. Anastasia Nicolò, col testamento del 5 dic. 1431, desidera essere sepolto lasciando, accanto ai 30 ducati d'oro da distribuire ad altrettante "donzelle" da maritare, "dieci libbre di denari",mentre il restante patrimonio resta alla moglie.
La formazione politica e culturale del C. risentì di questo quadro familiare che, nel corso della seconda metà del sec. XV, ricercava nuove vie di penetrazione nella struttura dello Stato veneziano: accanto alla partecipazione alle guerre, la scalata a incarichi amministrativi, o diplomatici, in aree peculiari, come le città della Dalmazia o quelle emiliane e romagnole. Infatti, Giovanni Cavalli, di Girolamo, se il 3 nov. 1470 risulta "vicedominus" a Ferrara, il 16 marzo 1484 è nominato conte di Arbe. Di conseguenza, la carriera del C. si immedesimò con quella che, in seguito all'apertura su vasta scala dei conflitti nella penisola conseguenti alla discesa di Carlo VIII, per la recente, aggressiva, nobiltà veronese andava trasformandosi in una grande "industria": la guerra. Dopo la probabile elezione, nel 1478, a procuratore, il 9 febbr. 1499 egli concorse all'elezione di "pagador in campo",che conseguì il 12 febbraio, con una paga mensile di 60 ducati. Si trattava di un'elezione che avveniva dietro pressioni insistenti: "del suo romagnir [restare in carica] fo gran parlar in la terra",riferisce il 12 febbr. 1499 il Sanuto (II, col. 433). Se il 5 maggio 1499, dopo un'attività che, per gran parte, si era esplicata a Castel Delze (Verona), il C. era di ritorno a Venezia, in Collegio, il 17 nov. 1504 è di nuovo eletto "pagador in campo" a Bibano (Treviso), specializzandosi nel settore dell'amministrazione militare. Ma è la crisi del 1509, insieme con i legami che instaurò con Andrea Gritti, a fornire al C. la possibilità di collocarsi originalmente nelle nuove prospettive politiche della nobiltà veneziana. Dopo la partecipazione, ma senza risultato, all'elezione a provveditore in Romagna, il 27 apr. 1509 intervenne nell'opera di fortificazione di Legnago, collaborando all'allestimento dei bastioni, stringendo rapporti di amicizia non solo col Gritti ma con il gruppo di esperti di architettura militare che lo attorniava. Il C., quindi, a partire dal 1509, si sintonizzò con gli interventi militari del Gritti quando si unì a lui con l'apporto di duecento cavalli e duemila contadini veronesi (ibid., IX, col. 323), e il 7 apr. 1510 contribuì "con zente assai" alla riconquista di Verona.
Provveditore a Monselice il 17 maggio 1510, i suoi interventi all'allestimento delle "fabbriche" militari si dipanavano dall'esperienza compiuta a Legnago; mentre i suoi compiti militari si allargavano ulteriormente, fino a fargli assumere il ruolo di esperto di "giustizia" militare: a Brentelle (Padova), il 3 giugno, poneva in risalto il disordine dell'esercito veneziano, privo di un "ordine" conseguente, e di efficienza nell'applicare la legge. La nomina, infine, del 4 sett. 1510 a provveditore esecutore nel Veronese permise al C. di coinvolgere il suo ruolo in questi problemi, per giungere ad una riorganizzazione delle forze della Repubblica. D'altronde, il problema dell'integrità del territorio veronese, delle sue forze economiche e ambientali, si affiancava all'attività militare: provveditore esecutore di Cologna, dal 27 marzo al 29 giugno 1511, difese l'Adige dal pericolo che fosse "tagliato" dalle truppe imperiali, mentre nel nov. 1510 aveva richiamato al lavoro, nelle miniere di ferro del "Pedemonte" veronese, i quattordici o quindici preziosi specialisti tedeschi fuggiti. Rieletto provveditore esecutore in campo a Salò il 10 giugno 1512, dopo il mancato tentativo di venire eletto provveditore della Patria del Friuli del 3 febbraio, risulta alla difesa dell'Adige il 21 sett. 1512 per apprestarsi, il 20 maggio 1513,"con 200 cavali lizieri",ad attraversare il Garda nei pressi di Bardolino, ripiegare con poche forze a San Bonifacio, poi nella rocca di Cologna, ove, sconfitto, fu fatto prigioniero e condotto a Bolzano, il 30 maggio.
Se la prigionia mette a nudo gli scontri di potere che, all'interno dell'amministrazione militare della Repubblica, l'ascesa del C. aveva determinato, in particolare con Leonardo Emo, il quale non aveva mancato nel dicembre 1512 di lanciargli l'accusa di aver "ruinà il Veronese" (Sanuto, XV, col. 435), il suo ritorno a Venezia il 10 ag. 1516 lo fa risaltare come un esponente fra i più significativi di quegli "esperti" in tecniche urbane e territoriali che la guerra della lega di Cambrai aveva posto in luce.
Non è casuale che la relazione del C., presentata in Collegio, vertesse sui problemi agrari del Veronese, sulle ragioni delle carestie cicliche, sul decadere della produzione di vino, una delle principali "industrie" dell'area.
Di qui, il nuovo obiettivo che il C. si propose: entrare a far parte, stabilmente, della struttura amministrativa veneziana. Ottenuta, il 3 sett. 1516, la sospensione per due anni del debito contratto con i camerlenghi, intensificò la partecipazione alle elezioni ora a podestà di Vicenza, offrendo 500 ducati (14 sett. 1516), ora ai Sessanta della zonta (30 sett. 1516), per raggiungere, l'11 luglio 1518, quella a provveditore "sora i Ofici" che sanzionava il raggiungimento di un ambizioso traguardo. Era lo stesso C. ad affermare: "zà più di 138 [anni] che Cavalli è zentilhomeni, niun rimase a Gran Consejo se non sier Federico di Cavalli a la justicia nova, e questo ozi Provedador sora i Oficii" (Sanuto, XXV, col. 533). Il nuovo ruolo, importante, che ricopriva, se lo portava a partecipare alla coreografia nobiliare della Repubblica (il 30 ott. 1518 faceva parte del seguito che accompagnava il cardinale di S. Prassede, e il 1º novembre, a S. Marco, fra lo stupore delle antiche casate nobiliari, è al seguito della Signoria), ne pose vieppiù in luce le capacità tecniche e agrarie, oltre che amministrative: il 20 ott. 1518 era chiamato per un sopralluogo a Lizza Fusina, mentre il 7 dic. 1518, ancora provveditore, veniva ballottato fra i Pregadi e Zonta. Le stesse elezioni che vedono la sua partecipazione fra il 1521 ed il 1527 pongono in luce tale tendenza: più che a provveditore in Dalmazia (31 genn. 1521; 7 febbr. 1524; 24 ag. 1527), o a bailo (6 luglio 1522), è quella a provveditore alle Acque (1º dic. 1525; 10 dic. 1525; 4 genn. 1526; 26 maggio 1526) ad assumere negli stessi suoi interventi il peso maggiore.
Anche gli investimenti agrari che avvengono a Montagnana, a partire dal 1521, aprendo per la famiglia una breccia nel Padovano, con una cifra iniziale di 300 ducati, si inquadrano in tale prospettiva. Ed anche se il 30 giugno 1526, mentre partecipa all'elezione a provveditore degli Stratioti, viene aperta nei suoi riguardi un'inchiesta (poi rientrata) in quanto "come per ballottarsi andò a la Signoria" (Sanuto, XLI, coll. 760-761), la sua ascesa coincide con quella, stabile, dell'intero gruppo familiare, coronata, il 20 maggio 1523, dalla partecipazione al seguito di Andrea Gritti, nel momento della sua elezione al dogado.
Quando il C. morì a Venezia, fra il maggio e il giugno 1528, la cultura veneziana non mancò, sulla scia dell'Egnazio, di collocarlo fra i migliori esempi di una nobiltà "eroica",simbolo, al pari degli Stati forti e potenti, più della "virtù" che dell'agitarsi della "fortuna".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Balla d'Oro, reg. 165, c. 174v; Ibid., Segretario alle voci, reg. 5; Ibid., Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere, filza 12 (lett. del 12 e del 31 nov. 1510); Arch. di Stato di Verona, Testamenti. Atti B. Grandoni, n. 23 (n. 129); Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII,925 (= 8594); Ibid., Mss. It., cl. VII,120 (= 8158): G. B. Egnatio, Nove libri de gli esempi de gli illustri vinitiani e de gli altri stranieri…, IX; Ibid., Mss. It., cl. VII,63 (= 7765), IV, cc. 34-35; Archivio di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patrizi veneti, II, p. 333; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-97, II, coll. 423, 433, 441, 660, 681; III, col. 118; VI, col. 97; VIII, coll. 22, 65, 137; IX, coll. 323, 515; XXLIX, ad Indices. Cenni si rintracciano in D. Barbaro, Storia veneziana... dall'anno 1512al 1515supplita nella parte che manca colla storia segreta di Luigi, in Arch. stor. ital., VII(1844), pp. 970-973. Cfr. inoltre P. Bosmin, Cavalli, in Encicl. Ital., IX,Roma 1931, p. 544; G. Cracco, Società e Stato nel Medioevo veneziano, Firenze 1967, p. 118.