SHOCK (ingl. shock "urto")
Complessa e pericolosa sindrome clinica, suscettibile di comparire in seguito soprattutto a grandi traumatismi - intesi, questi ultimi, in senso larghissimo - e che di quella rappresentano perciò l'elemento determinante. Ferite di ogni genere, specialmente da arma da fuoco o da scoppio, contusioni larghe e profonde, fratture multiple e comminutive, azioni violente di scoppî vicini, pur senza offesa delle parti molli, dello scheletro o dei visceri, scariche elettriche, urti e succussioni violente, costituiscono i principali fattori responsabili dello shock. Clinicamente questo s'appalesa con una sindrome relativamente semplice che, nei casi tipici, si riassume in un pallore più o meno spiccato della cute e delle mucose esterne, accompagnato a ottundimento del sensorio e a obnubilamento più o meno accentuato della coscienza. Ma se si esamina più davvicino e con maggiore attenzione un soggetto in preda a shock traumatico - a questo, soprattutto, conviene riferirsi - si riconoscono facilmente altri sintomi importantissimi dei quali i più appariscenti sono costituiti da una temperatura subnormale del corpo (36° o anche meno), da un abbassamento considerevole della pressione sanguigna e da un respiro anch'esso frequente e superficiale. E ancora avrà assai spesso una reazione pupillare alla luce torpida e lenta, nel mentre i riflessi superficiali e profondi potranno apparire attutiti o anche totalmente aboliti. Il sollecito accentuarsi dell'ipotermia, il pallore crescente con segni evidenti e talora pronunciatissimi di cianosi periferica, i toni cardiaci deboli e lontani, l'assenza di un polso percettibile, la cute coperta di sudore freddo costituiscono i prodromi d'una prossima e spesso inevitabile fine. Tuttavia, i casi così gravi rappresentano una minoranza, potendosi verificare con le cure opportune un progressivo risvegliarsi delle energie vitali.
Lo shock classico, quello traumatico, suole manifestarsi pressoché immediatamente dopo quella qualsiasi azione violenta che ne riassume il momento principale; tuttavia non tutti gli autori sono concordi nell'ammettere che lo shock abbia una insorgenza così immediata e repentina, essendovene di autorevolissimi (M. Donati, R. Paolucci) i quali opinano che anche a una certa distanza di tempo dal momento determinante, e non già di ore ma di giorni, si possa verificare la comparsa di una sindrome di shock con tutte le sue peculiari caratteristiche cliniche. Si verrebbero così a distinguere due varietà di shock traumatico, quello immediato o primitivo e quello secondario o tardivo che avrebbero in comune non pochi dei loro fattori patogenetici.
Clinicamente la diagnosi di shock non è sempre semplice e facile, dovendosi escludere le altre forme che con esso hanno una più o meno stretta affinità sintomatologica. Fra tutte l'emorragia e la cosiddetta commozione cerebrale tengono il primato.
Il fattore emorragia assurge a un preciso significato solamente quando la perdita di sangue è stata relativamente ragguardevole. La diagnosi differenziale fra shock traumatico e anemia acuta sarà specialmente delicata quando si tratta di emorragia interna. La sindrome da anemia acuta richiede un'accurata analisi critica, non solo obiettiva, ma anche anamnestica, dato che anche qui i sintomi più appariscenti si riassumono nel pallore, nel polso piccolo e sfuggevole, o addirittura impercettibile, e in uno stato generale oltremodo depresso. Tuttavia il carattere lentamente o rapidamente progressivo di questi varî segni, il timbro dei toni cardiaci con ritmo embriocardico nei casi gravissimi, la frequente conservazione della coscienza, la presenza dei riflessi, gli scotomi, il ronzio agli orecchi, lo sbadiglio e il vomito possono valere a precisare esattamente il diagnostico in una larga percentuale di casi.
Nella commozione cerebrale i sintomi clinici sono alquanto differenti e fra tutti predomina la perdita della coscienza che è istantanea sebbene spesso fugace. Altri sintomi, altrettanto degni di serio rilievo, sono anche qui rappresentati dal pallore, dal vomito e dalla nausea insistenti, dal respiro lento, spesso periodico e irregolare, dalla rigidezza delle pupille il più spesso midriatiche. Particolarmente importante è il comportamento del polso il quale è in genere lento (fino a 40, 50 battiti per minuto) talvolta pieno e teso, tal'altra vuoto e depressibile. Nei casi molto gravi di commozione cerebrale si ha un profondo assopimento associato frequentemente a perdita di feci e di urine e ad apparente abolizione di tutte le sensibilità così da aversi persino le apparenze del coma laddove non è raro che, trascorso il periodo più minaccioso della sindrome, pemiangano, per un tempo più o meno lungo, postumi di notevole entità quali cefalea, astenia generale, amnesie, perdita della memoria, ecc., e che sono per lo più riportabili a pregressi focolai microscopici contusivo-emorragici della massa encefalica.
Da ciò appare chiaro come sul terreno clinico la diagnosi di shock possa presentare non di rado cospicue difficoltà che non sempre è dato dirimere, atteso anche il fatto che spesso la sindrome che si è determinata non è pura ma è piuttosto il prodotto di varî fattori per l'occasione combinati a determinarla. Ciò vale specie per quelle forme di shock che s'accompagnano a ferite o a lesioni esterne o interne di una certa entità e come in particolare accade nel cosiddetto "shock operatorio" nel quale alquanto differenti sono gli elementi che concorrono all'istituirsi della pericolosa sindrome.
Ma il lato altrettanto interessante quanto maggiormente discusso dello shock, è quello che ne riguarda la patogenesi.
Le vecchie teorie che si possono considerare un derivato della classica esperienza di F. L. Goltz sulla rana (arresto del cuore per traumi ripetuti sull'addome: Beiträge zur Lehre von den Functionen der Nervencentren des Frosches, Berlino 1869), si fondano tutte su di una medesima concezione che si riassume nel considerare lo shock come un fenomeno di natura esclusivamente nervosa imputabile a brusche modificazioni funzionali a carico di taluni ordegni regolatori o produttori delle attività vitali superiori. Le difficoltà e i disaccordi cominciano quando si tratta di definire l'intima essenza fisiopatologica del perturbamento nervoso interpretato in maniera differentissima. Così vediamo che per taluni autori si tratterebbe d'imponderabili alterazioni o dissociazioni molecolari, onde la molecola albuminoide o quella lipoidea del protoplasma della cellula nervosa verrebbero a perdere talune delle loro normali caratteristiche fisiche risultandone così un profondo perturbamento di tutte le attività energetiche della cellula stessa. Né, pur mancandone qualunque efficiente dimostrazione, si può escludere che, alla luce delle moderne teorie sulla costituzione fisico-chimica della materia lo shock si possa riferire a un improvviso disordine nell'equilibrio dinamico della molecola stessa. D'altra parte, mentre per taluni autori il fenomeno riguarderebbe indistintamente tutti gli elementi nervosi che costituiscono il nevrasse, per altri esso sarebbe circoscritto ad alcuni segmenti che G.W. Grile (A physical interpretation of shock, exhaustion and restoration, Londra 1921), vorrebbe limitare ai centri vasomotorî del bulbo rachideo e del midollo spinale. Il concetto secondo cui lo shock si possa attribuire a un esaurimento dei centri vasomotorî onde questi perderebbero la loro normale eccitabilità, è stato dimostrato inesatto o, almeno, assai esagerato da una serie di ricerche di vario genere che hanno comprovato come detti centri si conservino eccitabili per quanto talora forse un poco attenuati. Alla teoria della diminuzione dell'eccitabilità dei centri nervosi fa riscontro l'altra, sostenuta principalmente da S. J. Meltzer, secondo la quale per effetto dell'azione violenta cui rimonterebbero le prime fasi dello shock si determinerebbe un'inibizione dei centri nervosi midollari seguita poi da una paralisi dei medesimi. Quale, d'altronde, ne possa essere l'intimo meccanismo, si suole da taluni autori attribuire cospicua importanza alla perdita del tono vasomotorio periferico specialmente dall'area splancnica con la relativa ripercussione, variamente accentuata, sul bulbo. Ma il centro vasomotorio, per altri autori, potrebbe venire nello shock messo in parte o totalmente fuori causa in via riflessa o anche in seguito a intervento di sostanze tossiche, così da derivarne uno squilibrio, transitorio o permanente, del tono vasale con le relative conseguenze di ordine circolatorio e nervoso.
D'altronde, in tema di fisiopatologia dello shock non bisogna dimenticare la parte che sembra spettare al cosiddetto sistema autonomo il quale sia che venga stimolato in via riflessa sia per via ematogena, dimostra il suo intervento nel fenomeno con l'insorgenza di una crisi emoclasica. L'attiva parte che sembra prendere il parasimpatico nell'istituirsi della sindrome clinica dello shock è stata largamente dimostrata anche con l'esperimento che ha valso a porre in luce come tutte quelle condizioni che ne aumentano l'eccitabilità favoriscano in modo indubbio l'insorgere dello shock stesso, laddove, per contrapposto, tutte quelle che creano uno stato d'ipovagotonia attenuano o addirittura inibiscono il fenomeno. Portata su questo terreno la patogenesi dello shock, consente di ammettere, accanto alla teoria prettamente nervosa, anche la teoria tossica la quale si fonda sull'immissione in circolo di particolari sostanze derivanti dalla scomposizione delle proteine e delle albumine e ad azione prevalente sul parasimpatico. In altri termini s'ammette che si possa verificare un'autoproteotossicosi legata all'istituirsi di un focolaio autotossico rappresentato dal territorio che ha subito il traumatismo e in seno al quale si producono quelle differenti sostanze - peptone, etone, istamina, ecc. - che una volta assorbite, avrebbero azione prevalente o elettiva sul sistema autonomo. I risultati dell'esperimento sono, in tal senso eloquenti e suggestivi, essendosi dimostrato con dispositivi sperimentali originali (M. Donati, R. Paolucci, ecc.) la parte che spetta alla pronta immissione in circolo di determinati tossici nell'insorgenza della sindrome sperimentale dello shock, come lo dimostrano i controlli sulla pressione sanguigna, sul euore isolato, ecc.
La riproduzione sperimentale dello shock o di una sindrome shocksimile dimostra in una forma che non consente dubbî che il fattore tossico può giuocare una parte predominante e decisiva secondo modalità fisiopatologiche che offrono stretta analogia, se non addirittura identità, con i ben noti fenomeni dello shock anafilattico classico. Non si può tuttavia negare che, per quanto l'esperimento abbia valso a rischiarare singolarmente la patogenesi dello shock, non si possano trasportare senz'altro nel campo clinico le deduzioni tratte dalle ricerche di laboratorio, troppo profonde essendo, in fatto di sistema nervoso soprattutto, le differenze che corrono fra i bruti e l'uomo. Qualunque infatti possa essere il meccanismo con cui nello shock viene offeso il sistema nervoso, non v'è dubbio che la particolare sintomatologia che quello riveste, rispecchia la grande labilità, ancorché certo variabilissima, del sistema nervoso umano, inteso nel suo insieme. A questo riguardo, considerando il problema dello shock in senso soprattutto clinico, occorre ricordare che, nonostante tutte le variazioni, oscillanti entro limiti amplissimi, e che corrispondono alla razza, all'età, al sesso, alle condizioni sociali, non si può identificare il sistema nervoso umano con quello degli animali, anche dei più elevati nella scala zoologica, giacché in questi fanno difetto quelle attività psichiche superiori che così profondamente distinguono l'uomo dai bruti. Ma riportandoci sul terreno della clinica umana, rileviamo inoltre che, indipendentemente dalle cause che lo provocano, giuocano la loro parte nell'insorgenza dello shock fattori costituzionali e personali che sarebbe assurdo voler negare e che in talune circostanze sembrano anzi esercitare un'azione prevalente. Il fattore psichico con tutte le sue differenze in relazione al carattere e alla personalità dell'individuo ha certamente nel quadro clinico dello shock umano una parte fondamentalissima che non è raffrontabile con quanto, a questo riguardo, ci può fornire l'esperimento anche se impostato nella maniera più geniale e indovinata.
Per la cura è necessario ridestare tempestivamente le energie vitali assopite, opponendosi più che si può al progredire di quello stato di depressione che, aggravandosi, porta facilmente alla morte.
Gli eccitanti, i cardiocinetici, i prodotti adrenalinici, il riscaldamento metodico del corpo, saranno i primi provvedimenti che si dovranno adottare e che potranno anche risolvere la situazione in casi non troppo gravi. Non si dovrà tuttavia dimenticare che l'ipotensione non sempre si vince con mezzi così semplici e che solo l'immissione di nuova massa liquida entro il torrente circolatorio può condurre a un radicale mutamento di situazione. L'uso dei sieri fisiologici, impiegati attraverso la via endovenosa, ha certamente un'importanza notevole, ma la trasfusione sanguigna risponde in misura assai maggiore e con risultati immediatamente tangibili. Quanto all'eventualità di un intervento operatorio da espletarsi in piena crisi di shock, sarà in genere opportuno procrastinarla a un momento più favorevole, a meno che il carattere della lesione locale sia tale da assumere quello dell'urgenza; in tal caso, e sotto il sussidio di un'abbondante trasfusione sanguigna, un intervento rapido può essere consentito. Né d'altronde, viste le moderne vedute sulla patogenesi dello shock, segnatamente nella sua veste di shock secondario o tardivo, si dovrà senza altro scartare un intervento operativo inteso a rimuovere il focolaio traumatico da cui irrompono entro al torrente circolatorio tossici ai quali si può fare rimontare l'insorgenza e il ripetersi dello shock stesso.
In tema di cura dello shock occorrerà tuttavia non dimenticare che il fattore costituzionalistico personale giuoca la sua parte, talora anche predominante, legate come sono le multiformi manifestazioni cliniche che caratterizzano codesta sindrome a perturbamenti funzionali di ordine differentissimo nei quali il sistema endocrino ha certamente importanza. Allo shock postoperatorio concorrono fattori alquanto differenti che vanno dalla qualità e natura dell'intervento in funzione soprattutto dell'organo aggredito, alla natura del malanno che ha richiesto quello. Inoltre vi concorrono altri elementi riferibili al tempo più o meno lungo richiesto per l'espletazione dell'atto chirurgico, alla perdita più o meno notevole di sangue che questo comporta, al metodo prescelto per l'anestesia, all'età dell'operato, all'esistenza o meno di un processo settico in corso. Contuttociò il significato clinico dello shock operatorio non diversifica sostanzialmente dallo shock traumatico di cui ripete su per giù la sindrome. Lo shock secondario o tardivo non riveste, in genere, la gravità di quello primario e, data la sua natura prevalentemente o esclusivamente tossica, ritrova in un eventuale intervento operatorio un mezzo assai efficace di trattamento. Dal punto di vista pratico occorre rammentare che lo shock offre una prognosi estremamente insidiosa giacché, a parte le molte difficoltà che a onta di tutti i mezzi impiegati si possono incontrare a vincerlo radicalmente, spesso si ha la sorpresa della sua ricomparsa in forma gravissima o irreparabile che ne riconferma la singolare gravità prognostica.