Sezioni Unite e assegno divorzile
Le Sezioni Unite avevano affermato, nel 1990, che il giudizio sul riconoscimento dell’assegno divorzile si divide in due parti, la valutazione dell’an debeatur, ed eventualmente la stima del quantum debeatur. L’assegno, avente funzione esclusivamente assistenziale, doveva essere riconosciuto per consentire al coniuge economicamente più debole di conservare il proprio tenore di vita. L’orientamento è stato rivisto dalla Suprema Corte con la sentenza n. 11504/2017, che ha sostituito al parametro del tenore di vita quello della autosufficienza o indipendenza economica del coniuge richiedente l’assegno. Numerosi giudici di merito non hanno condiviso l’innovazione. Chiamate a fare chiarezza, le Sezioni Unite, con sentenza n. 18287/2018, hanno negato la natura bifasica del giudizio: i criteri dettati all’art. 5 l. div., devono utilizzarsi sia per decidere sull’attribuzione dell’assegno, sia per quantificarne l’ammontare. Inoltre, la funzione dell’assegno divorzile è plurima: assistenziale, compensativa e perequativa.
Quando l’istituto del divorzio1 è stato introdotto nell’ordinamento italiano, con l. 1.12.1970, n. 898 (l. div.) il legislatore ha provveduto a disciplinare l’eventuale attribuzione dell’assegno conseguente allo scioglimento del matrimonio in favore dell’ex coniuge ed ha disposto, all’art. 5, co. 4: «Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in una unica soluzione». La giurisprudenza aveva allora cominciato ad interrogarsi sull’assegno divorzile, al fine di individuarne la corretta natura e determinare in quali casi dovesse essere riconosciuto, cercando anche di definire il corretto criterio da seguire per la sua quantificazione. Un punto fermo, in queste prime analisi della giurisprudenza di legittimità, sembra possa considerarsi quanto statuito da Cass., S.U., 9.7.1974, n. 2008. La Suprema Corte affermava che «l’assegno di divorzio non ha natura alimentare, ma ha natura composita: con funzione assistenziale … risarcitoria …e compensativa». Tali «elementi … operano sia come criteri di attribuzione sia come parametri di determinazione2 e vanno tutti esaminati, con riguardo alla posizione di entrambe le parti … comparando la situazione economica dei due coniugi … e giudicando poi conclusivamente – ove i tre criteri conducano a risultati divergenti, senza tuttavia neutralizzarsi reciprocamente – quale di essi possa prevalere in concreto3, avendo presente che non ha rilevanza una mera preponderanza numerica»4. Pure la formulazione originaria dell’art. 5, co. 4, l. div., invero, separava i parametri da prendersi in considerazione in due, prescrivendo che «il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi», e solo successivamente indicava l’ulteriore parametro «del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi», specificamente al fine della «determinazione di tale assegno», e pertanto della sua quantificazione. Già all’epoca, pertanto, non mancavano argomenti per sostenere che il giudizio sulla spettanza e quantificazione dell’assegno di divorzio, in favore dell’ex coniuge, avrebbe dovuto articolarsi in due fasi. Una prima fase, relativa all’an debeatur, cioè alla valutazione del se il richiedente abbia diritto alla percezione di un assegno, giudizio da esprimere in considerazione di due parametri: le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione. Una seconda fase, relativa al quantum, pertanto volta alla determinazione della esatta quantificazione dell’assegno divorzile, da esprimersi in considerazione del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Non solo, la Suprema Corte era già pervenuta ad affermare, riassuntivamente, che l’assegno competesse al coniuge richiedente qualora ricorresse un solo e specifico requisito, conseguente al fatto che «comparando la situazione economica dei due coniugi … per uno di essi» fosse «derivato», in conseguenza del divorzio, «un deterioramento apprezzabilmente rilevante»5 della condizione economica. La Cassazione, comunque, riteneva tutti e tre i parametri legali utili, sia per accertare che un assegno di divorzio dovesse essere corrisposto all’ex coniuge, sia per procedere alla sua corretta quantificazione6. Inoltre, doveva riconoscersi all’ex coniuge, la cui condizione avesse subito un significativo deterioramento in conseguenza del divorzio, rispetto al «livello di vita7» di cui godeva in costanza di matrimonio, ed in relazione al quale poteva nutrire una legittima aspettativa, il diritto di conseguire un assegno divorzile avente anche la funzione di «ristabilire un certo equilibrio»8 nella situazione patrimoniale degli ex coniugi.
La normativa, in materia di assegno divorzile da corrispondere in favore dell’ex coniuge, è quindi mutata a seguito dell’adozione della l. 6.3.1987, n. 74. L’art. 9, co. 1, l. n. 74/1987, infatti, ha modificato l’art. 5 l. div., e l’art. 10, co. 1, ha riformulato il co. 4, divenuto co. 6. Ne è conseguito che la formula dell’art. 5, co. 6, l. div., nel testo ancora in vigore, dispone: «Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive»9. La disposizione10 prevede, innanzitutto, che il giudice tenga (sempre) conto di una serie di parametri: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, e richiede di stimarli tutti, anche in rapporto alla durata del matrimonio. Effettuata questa valutazione, il giudice disporrà l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. La stima dell’adeguatezza dei mezzi, che in concreto determina l’attribuzione dell’assegno al coniuge richiedente, pertanto, ad una lettura piana e lineare della norma, pare dover essere posticipata rispetto alla valutazione dei criteri innanzi ricordati. Tanto sembra richiedere al giudice di provvedere alla stima dell’adeguatezza dei mezzi di cui il coniuge richiedente dispone, o può disporre, sul fondamento dei parametri legali, pervenendo ad un giudizio da esprimersi nel singolo caso ed in concreto, sia per decidere circa l’attribuzione dell’assegno sia per determinarne l’ammontare. Questa lettura della disposizione non è stata però condivisa dalla maggioranza della dottrina, che ha ritenuto il legislatore abbia inteso privilegiare la natura assistenziale dell’assegno divorzile, rispetto alla natura risarcitoria e compensativa11. Inoltre, si è affermato che i criteri dettati all’art. 5, co. 6, prima pt., della legge divorzile, saranno utilizzabili soltanto ai fini della quantificazione dell’assegno, dopo aver concluso positivamente il giudizio sulla sua spettanza12, da effettuare in considerazione dell’unico criterio dell’adeguatezza, o meno, dei mezzi economici a disposizione del coniuge richiedente13 e della sua capacità di procurarseli. Una volta affermato che l’unico criterio di valutazione della sussistenza del diritto del coniuge richiedente a percepire l’assegno divorzile consiste nell’adeguatezza, o meno, dei mezzi economici di cui dispone, ed aggiunto che il giudizio non deve essere effettuato in considerazione dei criteri di valutazione indicati nella prima parte del co. 6 dell’art. 5 l. div., però, il vero interrogativo diviene: di quali parametri dovrà invece tener conto il giudice nell’esprimere il proprio giudizio sulla inadeguatezza dei mezzi e pertanto sull’an debeatur dell’assegno? Dovrà procedere ad individuarli lui, elaborandoli liberamente caso per caso, in assenza di criteri dettati dal legislatore? La soluzione non pare appagante, perché si pone in evidente contrasto con una delle finalità della legislazione, così come dell’interpretazione giurisprudenziale delle norme giuridiche, quella di (cercare di) assicurare la certezza del diritto. A seguito della riforma, anche la giurisprudenza di legittimità dovette confrontarsi con il nuovo testo normativo, ed emersero orientamenti diversi. Un primo indirizzo sosteneva che, «in materia di assegno di divorzio, a seguito delle modifiche … condizione necessaria per affermare il diritto all’assegno – la cui natura risulta eminentemente assistenziale – è che il coniuge richiedente non abbia redditi adeguati, e cioè tali che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva in costanza di matrimonio»14. Questo orientamento riconosceva il diritto ad una sorta di ultrattività della condizione di vita goduta dal coniuge richiedente l’assegno nel corso del matrimonio. Un secondo orientamento affermava invece che, a seguito della riforma legislativa, ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, «assume ora valore decisivo l’autonomia economica del richiedente, nel senso che l’altro coniuge è tenuto ad ‘aiutarlo’ solo se egli non sia economicamente indipendente e nei limiti in cui l’aiuto si renda necessario per sopperire alla carenza dei mezzi conseguente alla dissoluzione del matrimonio, in applicazione del principio di solidarietà ‘postconiugale’ … la valutazione relativa all’adeguatezza dei mezzi economici del richiedente deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale15»16. Chiamate a dirimere l’insorto contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno affermato che «l’assegno periodico di divorzio ha carattere esclusivamente assistenziale», occorrendo assicurare, all’ex coniuge avente diritto, mezzi sufficienti «a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio. Ove sussista tale presupposto, la liquidazione in concreto dell’assegno deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge»17.
Le Sezioni Unite, nella decisione ricordata, hanno confermato la struttura bifasica del giudizio sulla spettanza dell’assegno divorzile – ripartito tra la valutazione dell’an e del quantum debeatur – tuttavia, mentre ancora esaminano la “prima fase”, si pongono il problema della necessità di riconoscere il diritto alla corresponsione dell’assegno in considerazione dell’esigenza di ripristinare un certo equilibrio delle condizioni patrimoniali degli ex coniugi, una finalità perequativa che sembra essere propria dei criteri dettati all’art. 5, co. 6, l. div., con la conseguenza che sembra riscontrabile una commistione dei criteri utilizzabili per definire due fasi di giudizio che pure si vorrebbero nettamente distinte. Invero la giurisprudenza, anche di legittimità, ha occasionalmente riaffermato che la valutazione circa la spettanza dell’assegno, dovendo essere effettuata in considerazione del solo criterio assistenziale, per sua natura comporta che l’esame dei parametri legali di quantificazione dell’assegno «diventa superfluo, quando risulti che il coniuge richiedente fruisca di mezzi adeguati»18, indipendentemente dal tenore di vita goduto nella pregressa vita coniugale. Pur in presenza di (sempre più) isolate eccezioni, i ricordati principi indicati dalle Sezioni Unite sono stati seguiti dalla giurisprudenza di legittimità, così come da quella di merito, per decenni.
Nel descritto panorama giurisprudenziale apparentemente pacificato, almeno con riferimento alla giurisprudenza di legittimità, il problema del criterio da seguire per valutare se un assegno divorzile competa all’ex coniuge è stato rimesso in discussione dal Tribunale di Firenze che, con ordinanza del 22.5.2013, ha proposto la questione della legittimità costituzionale dell’art. 5, co. 6, l. div., in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost., «nell’interpretazione di diritto vivente per cui … l’assegno divorzile deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio»19. La Corte costituzionale, con la sintetica sentenza n. 11 dell’11.2.2015, ha dichiarato non fondata la questione propostale. Il Giudice delle leggi, invero, ha ritenuto che il Tribunale di Firenze avesse errato nell’interpretare il cd. diritto vivente. Infatti, «la Corte di cassazione, in sede di esegesi della normativa impugnata, ha anche di recente … ribadito il proprio ‘consolidato orientamento’», secondo il quale il parametro del «tenore di vita goduto in costanza di matrimonio» rileva, bensì, per determinare «in astratto … il tetto massimo della misura dell’assegno (in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso)»20, ma, «in concreto», quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con i criteri indicati nell’art. 5, l. div. La Consulta, pertanto, non ha riproposto la costruzione bifasica del giudizio sull’assegno divorzile, divisa nella valutazione dell’an debeatur, e nella successiva ed eventuale, stima del quantum debeatur, ma ha suggerito una concezione unitaria del giudizio, in cui, accanto al tenore di vita, occorre tener conto di tutti gli altri criteri indicati dal legislatore al co. 6 dell’art. 5 l. div., al fine di esprimere un unico giudizio sulla spettanza e quantificazione dell’assegno. L’interpretazione fornita dalla Consulta, in definitiva, anziché limitarsi a riprodurre l’impostazione seguita dalla Suprema Corte, ne ha invero proposta, autorevolmente, una diversa.
Nel dibattito in materia di quantificazione dell’assegno divorzile per l’ex coniuge, ha smosso le acque la sentenza della Sezione Prima della Cassazione, n. 11504 del 10.5.2017. Il Giudice di legittimità ha affermato che, in conseguenza del divorzio, «il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi come ‘persone singole’21, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali (art. 191, co. 1, c.c.) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e spirituale». La previsione normativa circa la spettanza e quantificazione dell’assegno divorzile per l’ex coniuge, secondo i giudici della Prima Sezione, «mostra con evidenza che la sua stessa ‘struttura’ prefigura un giudizio nitidamente e rigorosamente distinto in due fasi», il cui oggetto è costituito innanzitutto dalla valutazione in ordine all’an debeatur e, «solo all’esito positivo di tale prima fase», dovrà quindi procedersi alla «determinazione quantitativa dell’assegno (fase del quantum debeatur)». Il giudizio sull’an debeautur deve essere effettuato stimando se il richiedente disponga di “mezzi adeguati”, o sia comunque in grado di procurarseli22, ma il legislatore non ha indicato quale sia il parametro di stima dell’adeguatezza dei mezzi, ed il Giudice di legittimità ha perciò ritenuto di individuarlo nell’«indipendenza o autosufficienza economica»23 dell’ex coniuge che domanda l’attribuzione dell’assegno divorzile. Riguardo al parametro del tenore di vita24 «analogo a quello avuto in costanza di matrimonio»25, utilizzato dalla giurisprudenza per decenni per stimare l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge economicamente più debole, seguendo l’orientamento autorevolmente fatto proprio dalle Sezioni Unite, la Prima Sezione non ne ha negato la possibile valenza. Tuttavia l’indicazione di questo criterio risulta per più ragioni «non più attuale». Il parametro del tenore di vita, «se applicato anche nella fase dell’an debeatur26 collide radicalmente con la natura dell’istituto … in una indebita prospettiva, per così dire, di ‘ultrattività’ del vincolo matrimoniale», dovendo piuttosto valorizzarsi il principio di autoresponsabilità dei coniugi. La Cassazione ha perciò concluso sul punto sintetizzando che non è «configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. L’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divordivorzile … non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione – esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile»27. La prova del difetto della indipendenza economica, ha ribadito il Giudice di legittimità, deve essere offerta dall’ex coniuge richiedente l’assegno, ed il giudizio sarà espresso, anche avvalendosi delle presunzioni, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove, offerte dallo stesso, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria. Accertata l’inadeguatezza dei mezzi, il giudice dovrà quindi procedere alla stima del quantum debeatur, ed è (solo) in questa sede che potrà valersi di tutti i criteri di valutazione indicati dalla norma di cui all’art. 5, co. 6, l. div. Secondo la Prima Sezione, l’attribuzione patrimoniale periodica trova il suo fondamento «nel dovere inderogabile di ‘solidarietà economica’ (art. 2, in relazione all’art. 23 Cost.)», il cui adempimento è richiesto ad entrambi i coniugi, quali «‘persone singole’, a tutela della ‘persona’ economicamente più debole (cosiddetta ‘solidarietà postconiugale’)»28. Invero non si comprende perché ad una “persona singola” dovrebbe essere addossato un dovere inderogabile di solidarietà economica in favore di un’altra “persona singola”. L’affermazione, come formulata, rischia di ingenerare dubbi di compatibilità costituzionale. Sembra da ritenere, invero, che se un dovere inderogabile di solidarietà economica può essere affermato, se ne può parlare in favore non di una ‘persona singola’ tout court, bensì di una persona che sia un ex coniuge. Infatti la “prestazione patrimoniale”, è richiesta dalla legge divorzile in favore dell’ex coniuge, e non di una indistinta “persona singola”. Occorre pure domandarsi se dalla corretta applicazione del principio di autoresponsabilità discenda necessariamente la tendenziale estinzione di ogni obbligo dipendente dal matrimonio in conseguenza della sua fine. «Il principio di autoresponsabilità vale», infatti, per il coniuge richiedente l’assegno, ma «allo stesso modo deve valere per l’obbligato che, nel contrarre matrimonio, come si è rappresentato ed ha voluto i doveri che ne derivano, si è pure rappresentato la dissolubilità del medesimo e gli effetti che conseguono al divorzio»29. L’orientamento proposto dalla sentenza n. 11504/2017 è stato seguito dai giudici della Prima Sezione della Suprema Corte nelle successive pronunce, che si rivelano sostanzialmente conformi e, non di rado, del tutto sovrapponibili30.
In considerazione del particolare rilievo – non soltanto giuridico, ma anche sociale – della problematica dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, e delle perplessità manifestate da numerosi giudici di merito circa i criteri di valutazione introdotti con la sentenza n. 11504/2017, la decisione sui criteri da utilizzare, in materia di riconoscimento e quantificazione dell’assegno divorzile, è stata rimessa alle Sezioni Unite della Suprema Corte. Il massimo organismo della Corte di legittimità si è pronunciato con sentenza 11.7.2018, n. 18287, ed ha evidenziato che la segnalata riforma del 1987 ha previsto l’attribuzione di poteri istruttori officiosi del giudice prima non presenti, al fine di assicurare l’esatto accertamento dei redditi degli ex coniugi, verifica preliminare alla, evidentemente sempre necessaria, valutazione comparativa delle loro condizioni patrimoniali. Inoltre, le nuove norme hanno disposto l’accorpamento dei criteri riferibili alla natura assistenziale dell’assegno divorzile, individuati nelle «condizioni dei coniugi» e nel «reddito di entrambi», così come di quello riferibile alla sua natura compensativa: «il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune», ed infine di quello attinente alla natura risarcitoria31: «le ragioni della decisione», tutti nella prima parte della norma. Nella seconda parte della disposizione, ed è questa la innovazione maggiormente significativa, il legislatore ha indicato quale condizione per l’attribuzione dell’assegno che l’ex coniuge richiedente non disponga di mezzi adeguati e si trovi nell’impossibilità di procurarseli. L’interpretazione di giurisprudenza e dottrina prevalenti è stata nel senso che occorresse dividere il giudizio sull’assegno divorzile in due fasi, quella sulla valutazione della riconoscibilità dell’assegno, fase dell’an debeautur, e quella sulla concreta quantificazione del suo importo, fase del quantum debeatur. La fase dell’an debeatur si è quindi affermato dovesse risolversi nel valutare se il coniuge richiedente l’assegno non disponesse di mezzi adeguati, e non fosse in grado di procurarseli per ragioni obiettive. Ma il criterio dell’adeguatezza è di per sé vago, ed i tentativi di dottrina e giurisprudenza di meglio definirne i confini, operando riferimento ai parametri del pregresso tenore di vita matrimoniale, o di quanto necessario per assicurare all’avente diritto un’esistenza libera e dignitosa, si sono mostrati inefficaci, richiamando criteri anch’essi indefiniti, ed anzi addirittura esposti «al rischio dell’astrattezza e del difetto di collegamento con l’effettività della relazione matrimoniale»32. Ma se occorre sempre accertare e comparare i redditi delle parti, e sono stati in tal senso anche estesi i poteri officiosi del giudice, e per di più si è imposto alle parti di depositare la propria documentazione fiscale, questo vuol dire che i ricordati criteri, di cui alla prima parte dell’art. 5, co. 6, l. div., devono essere sempre presi in preliminare considerazione, «in posizione equiordinata»33, nel giudizio sul riconoscimento dell’assegno divorzile, anche nella fase di accertamento del se esso debba essere attribuito. Del resto la divisione del giudizio in fasi rigidamente distinte non è imposta dal testo della norma.
All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un assegno, volto a consentire al coniuge richiedente non soltanto il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. Le Sezioni Unite non hanno poi mancato di sottolineare che la funzione equilibratrice del reddito, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quelli individuali. Secondo le Sezioni Unite, ancora, non può poi condividersi l’orientamento proposto dalla sentenza n. 11504/2017, nella misura in cui desume dall’art. 23 della Carta fondamentale34 la previsione della solidarietà postconiugale, che dipende piuttosto dal riconoscimento costituzionale del diritto alla dignità della persona, di cui all’art. 2 Cost., e dei diritti della famiglia e dei loro componenti, tutelati all’art. 29 della Carta fondamentale35.
La sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite ha indubbiamente compiuto uno sforzo meritevole, nell’impegno di meglio definire i caratteri dell’istituto dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge. Si tratta di una decisione coraggiosa, la quale finalmente riconosce che la divisione del giudizio in due fasi, quella dell’an e del quantum debeatur, non è una conseguenza necessaria delle previsioni di cui all’art. 5 l. div., ma la risultante di una interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale non obbligata. Condivisibilmente respinge l’opinione che il fondamento della solidarietà postconiugale, e perciò l’assegno divorzile, possa rinvenire il proprio fondamento nell’art. 23 della Carta fondamentale, una norma posta a garanzia delle prestazioni tributarie. Il fondamento della solidarietà postconiugale è invece opportunamente individuato negli artt. 2, 3 e 29 Cost. Del resto, un assegno divorzile può dipendere solo dall’essere stati coniugi, ed è pertanto una conseguenza di un legame familiare, non tributario.
Le Sezioni Unite appaiono condivisibili anche quando riscoprono la plurima natura dell’assegno divorzile, non negando ad esso la funzione assistenziale, ma riconoscendo allo stesso anche le funzioni: compensativa, perequativa, equilibratrice. In proposito, possono probabilmente intendersi quali sinonimi le espressioni: “funzione perequativa” e “funzione equilibratrice”, usate dalle Sezioni Unite in forma congiunta, ma anche disgiunta. Inoltre, nel ricostruire il quadro normativo, la Cassazione ricorda anche la “funzione risarcitoria” dell’assegno divorzile, dipendente dalle “ragioni della decisione”, ma non dedica poi specifiche riflessioni a questo parametro di valutazione. Invero, la giurisprudenza risalente, vigendo il testo originario della norma disciplinante l’assegno divorzile, distingueva con una certa chiarezza gli istituti. La funzione assistenziale, intendeva assicurare quanto necessario a vivere in maniera dignitosa al coniuge economicamente più debole. La funzione compensativa, provvedeva all’esigenza di garantire un giusto riconoscimento ai sacrifici fatti dal coniuge economicamente più debole, che si fosse impegnato nell’interesse della famiglia, anche rinunziando a proprie occasioni di crescita professionale. La funzione perequativa, poi, era volta a garantire la conservazione di “un certo equilibrio” nelle condizioni economiche degli ex coniugi, per assicurare il rispetto delle legittime aspettative maturate in conseguenza del rapporto di coniugio. Non erano mancate, peraltro, pronunce giurisprudenziali che ritenevano corretto attribuire all’assegno divorzile anche una funzione risarcitoria, in considerazione delle “ragioni” della fine dell’unione matrimoniale. Nella decisione delle Sezioni Unite le diverse funzioni dell’assegno divorzile, pur riconosciute, presentano caratteri non esattamente definiti, e talora risultano accomunate e sovrapposte. Rimane pertanto affidata alla futura elaborazione giurisprudenziale la migliore definizione di questi elementi. Ad esempio, le Sezioni Unite scrivono che «deve affermarsi la preminenza della funzione equilibratrice-perequativa dell’assegno di divorzio … la norma regolatrice del diritto all’assegno … attribuisce rilievo alle scelte e ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare. Tale rilievo ha l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente. Ove la disparità abbia questa radice causale … occorre tener conto di questa caratteristica della vita familiare nella valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi»36. Le espressioni utilizzate sembrano autorizzare l’illazione che la funzione perequativa dell’assegno debba essere valorizzata soltanto quando uno dei due coniugi abbia rinunciato a proprie opportunità di reddito per dedicarsi alla famiglia ma, a parte il fatto che di una simile condotta sembra possa meglio tenersi conto nell’ambito della riconosciuta funzione compensativa, piuttosto che perequativa, dell’assegno divorzile, occorre domandarsi se le Sezioni Unite intendano affermare che, in assenza di un sacrificio delle proprie opportunità professionali da parte del coniuge richiedente l’assegno, la funzione perequatrice non debba operare, e ne consegua che disparità anche significative nel reddito delle parti non giustificano il riconoscimento di un pur contenuto assegno divorzile, in considerazione di legittime aspettative, maturate in conseguenza delle nozze37. Inoltre, le Sezioni Unite escludono che il tenore di vita possa essere il parametro da utilizzare per assicurare attuazione alla funzione equilibratrice dell’assegno divorzile, ma non negano espressamente che dello stesso possa tenersi conto nel giudizio in materia di assegno divorzile38 per l’ex coniuge39, ed è possibile che quei giudici di merito i quali sono rimasti legati all’applicazione di questo parametro, anche a seguito della sentenza n. 11504/2017, continueranno a servirsene anche nel futuro.
1 Nel codice civile risultava disciplinata solo la separazione personale dei coniugi, ancora considerata in una prospettiva non paritaria e paternalistica. La separazione poteva essere pronunciata soltanto per colpa di uno dei coniugi, e l’art. 143 c.c. prevedeva che il marito dovesse comunque somministrare alla moglie separata tutto quanto le fosse necessario per i bisogni della vita, anche nell’ipotesi che la donna fosse ricca, e lui no.
2 Conforme e chiara, la poco successiva Cass., 9.1.1976, n. 40, «in materia di assegno di divorzio, i tre elementi previsti dalla legge – vale a dire il criterio assistenziale, quello risarcitorio e quello compensativo – operano sia come criteri di attribuzione sia come parametri di determinazione, e vanno esaminati tutti dal giudice, con riguardo alla posizione di entrambe le parti».
3 Questo passaggio della massima ufficiale suscita perplessità. Sembra infatti affermare che, posti a raffronto i tre parametri ed individuato quello da ritenere prevalente, il giudizio dovesse essere espresso sul fondamento di quel solo criterio, escludendosi la rilevanza degli altri, un po’ come accade nel giudizio penale di bilanciamento delle circostanze attenuanti ed aggravanti del reato. Pare invece corretto ritenere che i tre parametri avrebbero dovuto comunque essere valutati tutti, eventualmente svolgendo ciascuno la funzione di criterio moderatore o di correzione dei risultati cui si sarebbe giunti in considerazione degli ulteriori.
4 Così Cass., S.U., n. 2008/1974, cit.
5 Cass., S.U., n. 2008/1974, cit.
6 Cfr. Cass., 15.7.1976, n. 2790.
7 Cass. n. 2790/1976, cit. Difficile non riscontrare in questa affermazione della Suprema Corte, espressa con parole solo poco diverse, la concezione che l’assegno divorzile debba assicurare, al coniuge avente diritto all’assegno, la conservazione di un tenore di vita analogo a quello di cui aveva goduto prima dello scioglimento del rapporto coniugale, che sarà poi adottata per decenni dalla giurisprudenza italiana.
8 Cass. n. 2790/1976, cit.
9 Con la modifica legislativa si è inteso limitare la discrezionalità dei giudici di merito, considerata all’epoca eccessiva, osserva Roma, U., Assegno di divorzio: dal tenore di vita all’indipendenza economica, nota a Cass., 10.5.2017, n. 11504, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1001.
10 «Una norma il cui carattere ‘tormentato’ e la cui ‘formulazione farraginosa’ furono sinceramente evidenziati dallo stesso relatore della legge … sen. Lipari … nella seduta pomeridiana del 17 febbraio 1987», evidenzia Quadri, E., I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Corr. giur., 2017, 886.
11 Cfr. Rossi, M., Gli effetti di natura patrimoniale del divorzio riguardo ai coniugi, in La famiglia in crisi, a cura di G. Cassano e G. Oberto, Padova, 2016, 375.
12 Veniva perciò a prendere consistenza l’orientamento interpretativo che ritiene necessario dividere il giudizio in materia di assegno divorzile in favore dell’ex coniuge in due fasi, quella della valutazione dell’an debeatur, e quella, eventuale, destinata alla stima del quantum, che sembra riconducibile a Gabrielli, G., L’assegno di divorzio in una recente sentenza della Cassazione, in Riv. dir. civ., 1990, II, 543.
13 Cfr. Pini, M., L’assegno di divorzio. Inquadramento della normativa sostanziale e processuale, in AA.VV., Il mantenimento per il coniuge e per i figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2009, 94 ss.
14 Cass., 17.3.1989, n. 1322 (evidenza aggiunta). In senso analogo cfr., tra le altre, Cass., 4.4.1990, n. 2799.
15 Il riferimento alla «coscienza sociale» introduce un parametro invero suggestivo, ma non agevole da tradurre in concrete, predeterminate e conoscibili, regole giuridiche.
16 Cass., 2.3.1990, n. 1652.
17 Cass., S.U., 29.11.1990, n. 11490 (evidenza aggiunta).
18 Cass., 2.9.1996, n. 7990.
19 Trib. Firenze, 22.5.2013, ord. rim. n. 239 (evidenza aggiunta), pubblicata in G.U., 2013, I serie spec., n. 46.
20 Fermo restando pertanto il riconoscimento, operato dalla Consulta, della legittimità dell’utilizzazione (anche) del criterio del tenore di vita della pregressa vita coniugale.
21 «Il punto non condivisibile della decisione», scrive Quadri, E., I coniugi e l’assegno, cit., 894, non è «tanto quello di considerare gli ex coniugi ‘persone singole’ … quanto quello di considerarli senza un passato di vita in comune».
22 Nella fase dell’an debeatur, «occorrerebbe fare riferimento esclusivamente alle condizioni del soggetto richiedente e non a quelle del soggetto pagante, dovendosi escludere ogni valutazione di carattere comparativo tra le condizioni economiche degli ex coniugi», osserva, perplesso, Morace Pinelli, A., Il revirement della Cassazione in tema di assegno divorzile: in attesa delle Sezioni Unite, in Arch. giur. Serafini, 2018, 5.
23 Cass., 10.5.2017, n. 11504.
24 Rimini, C., Verso una nuova stagione per l’assegno divorzile dopo il crepuscolo del fondamento assistenziale, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1277, ha scritto che il cambiamento di giurisprudenza deciso dalla Cassazione con la pronuncia in esame risulta, in realtà, assai limitato. Il Giudice di legittimità, infatti, ha confermato l’affermazione secondo cui l’assegno divorzile per l’ex coniuge avrebbe natura esclusivamente assistenziale, e pure la natura bifasica del giudizio sull’assegno nel processo divorzile. L’unica novità consiste nell’aver sostituito il paramento (indipendenza economica in luogo di tenore di vita) in relazione al quale valutare l’adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno nella (sola) fase dell’an debeatur. Diversamente, Danovi, F., La Cassazione e l’assegno di divorzio: en attendant Godot (ovvero le Sezioni Unite), in Fam. dir., 2018, 51, ad es., ha sostenuto che «la decisione è giunta come un sisma» (evidenza aggiunta).
25 Il riferimento, testuale, è a Cass., S.U., n. 11490/1990, cit.
26 Questo passaggio di Cass. n. 11504/2017, cit., induce a ritenere che la Cassazione non intendesse negare la possibilità dell’utilizzazione del parametro fondato sul tenore di vita matrimoniale, ai fini del giudizio sul quantum dell’assegno divorzile. Ha scritto Quadri, E., I coniugi e l’assegno, cit., 896, che «la conservazione del ‘tenore di vita’ goduto durante il matrimonio», rappresenta «l’unica via per assicurare all’ex coniuge … una qualche compensazione degli sforzi profusi».
27 Cass. n. 11504/2017, cit. (evidenza aggiunta). In contrasto con questa valutazione Rimini C., Verso una nuova stagione, cit., 1278, osserva che «il coniuge più debole, al momento dello scioglimento del matrimonio, non cerca affatto assistenza – e considera anzi offensiva per la propria dignità la sola idea di riceverla – ma pretende una ricompensa per i sacrifici spesso assai rilevanti compiuti durante il matrimonio a favore della famiglia». Quadri, E., I coniugi e l’assegno, cit., 892, mostra di dubitare dell’adeguato rispetto della dignità della persona quando l’assegno divorzile si risolve in un’«elemosina graziosamente elargita a mezzo del giudice».
28 Cass. n. 11504/2017, cit. (evidenza aggiunta).
29 Roma, U., Assegno di divorzio, cit., 1006. Osserva Bianca, C.M., Diritto civile, 2, La famiglia, V ed., Milano, 2015, 298, che «la tendenza volta a ravvisare nel divorzio lo strumento di liberazione totale del matrimonio … ha trovato un limite nell’esigenza, alla quale la nostra società è ancora sensibile, di non lasciare al singolo l’arbitrio di cancellare senza tracce l’impegno assunto col matrimonio e di abbandonare alla sua sorte chi su tale impegno aveva costruito la propria famiglia».
30 Cfr., ad es., Cass., 22.6.2017, n. 15481 e, nello stesso senso, Cass., 9.10.2017, n. 23602. Costituisce una parziale eccezione Cass., 11.5.2017, n. 11538, che non ripropone la rigida distinzione tra il giudizio sull’an debeatur ed il giudizio sul quantum dell’assegno. Afferma la natura assistenziale del contributo, ma non che tale natura sia esclusiva. Propone, infine, quale parametro da prendere in considerazione per stimare il reddito “adeguato” ai sensi dell’art. 5, co. 6,
l. div., non “l’autosufficienza o indipendenza economica” bensì, «il reddito necessario a condurre un’esistenza libera e dignitosa».
31 Merita di essere evidenziato che, pur operando riferimento, in premessa, al parametro di valutazione definito “risarcitorio”, nello sviluppo della decisione le Sezioni Unite non vi assegnano specifico rilievo.
32 Cass., S.U., n. 18287/2018, cit.
33 Cass., S.U., n. 18287/2018, cit.
34 Scrivono efficacemente le Sezioni Unite che «la garanzia costituzionale della riserva di legge in ordine al prelievo fiscale e ad ogni forma di obbligo tributario inteso anche in senso lato», di cui all’art. 23 Cost., «risulta del tutto estranea al contesto giuridico-costituzionale all’interno del quale deve collocarsi la cd. solidarietà post coniugale», Cass., S.U., n. 18287/2018, cit.
35 Osserva Dosi, G., Resta fondamentale il contributo fornito durante l’unione, nota a Cass., S.U., 11.7.2018, n. 18287, in Guida dir., 2018, fasc. 32, 30, che «la pregressa vita matrimoniale non può rimanere esclusa dal giudizio relativo all’assegno divorzile … il vincolo c’è stato e ha prodotto conseguenze nella distribuzione dei compiti e dei ruoli e perciò quello che è avvenuto nel corso del matrimonio non può scomparire».
36 Cass., S.U., n. 18287/2018, cit. (evidenza aggiunta).
37 Aspettative cui sembra necessario assicurare riconoscimento, non trascurando di tener conto, naturalmente, dell’età del richiedente e della durata del matrimonio.
38 Si osservi come, prima che si pronunciassero le Sezioni Unite, Cass., sez. I, 7.2.2018, n. 2015, avesse affermato che «la conservazione del tenore di vita matrimoniale, non costituisce più un parametro di riferimento utilizzabile né ai fini del giudizio sull’an debeautur né di quello sul quantum debeatur».
39 La sensazione è che le Sezioni Unite intendano escludere, dai parametri utilizzabili in materia di assegno divorzile, il criterio del tenore di vita, ma non lo affermano con chiarezza.