COLMANO, Severino
Nacque il 12 ott. 1872 a Levico (Trento), piccolo centro della Valsugana, da Riccardo e da Flaminia Poffo. Nonostante le modeste condizioni della famiglia, prosegui negli studi fino a conseguire la laurea in lettere.
Personalità piuttosto contorta e introversa, visse nell'anonimato fino all'inizio del secolo quando aderì al movimento operaio e socialista dove, favorito dal suo grado di istruzione e da una permanente carenza di quadri, raggiunse subito cariche di grande responsabilità. Il suo inserimento coincise con una fase molto delicata per le organizzazioni operaie trentine, che ancora subivano, con sbandamenti e defezioni, gli effetti di una sfortunata sequenza di conflitti salariali tra il 1897 e il 1899.
Prima di assumere le mansioni di segretario del Segretariato del lavoro nel settembre del 1901, il C. aveva già avuto modo di farsi conoscere affrontando i problemi delle società operaie nello spirito di un sindacalismo radicaleggiante, derivato più da una scelta temperamentale che da una specifica consapevolezza teorica: la carica anticlericale che lo contraddistingueva faceva certo parte della tradizione del laicismo trentino, ma non mancava di ambiguità nei motivi riduttivamente "nazionali" dell'opposizione alle forze clericali in quanto "austriacanti".
Tra le molteplici attività di quei mesi merita di essere menzionata, in particolare, la sua missione a Vienna, nell'aprile del 1901, dove ottenne che la Centrale sindacale austriaca ripristinasse le sovvenzioni alle società trentine, interrotte durante il precedente periodo di agitazioni, giudicate dai dirigenti della capitale troppo disordinate e corporative: sotto questo profilo acquista anche rilievo l'intensa opera di propaganda politica e sindacale che il C. svolse nel successivo mese di agosto tra i lavoratori del Trentino. ma anche tra le organizzazioni giuliane e istriane.
Assunta la carica di segretario del Segretariato del lavoro, il C. impresse al movimento sindacale trentino un orientamento tale da compromettere in breve tempo i rapporti col partito, fino ad arrivare a un'aperta rottura. Esasperata da astiosi contrasti personali con Cesare Battisti (col quale pure collaborò per un certo periodo alla redazione del Popolo, nonostante la crescente reciproca insofferenza di carattere), la polemica del C. investì la stessa linea generale del partito che, a suo giudizio, privilegiando gli obiettivi della lotta nazionale, si stava esponendo, anche sul terreno elettorale, a forme ibride di alleanza e di compromesso con settori (definiti "progressisti") della borghesia liberale.
Contemporaneamente, in campo sindacale, il C. si preoccupò di allargare le previdenze ai sussidi per gli emigrati e al patrocinio legale gratuito, ma soprattutto di vincere le persistenti tendenze localiste delle società operaie e di spingerle verso l'organizzazione centralizzata, secondo una scelta che i dirigenti delle grandi federazioni sindacali austriache in quel periodo non si stancavano di raccomandare.
In rappresentanza dei lavoratori organizzati del Trentino il C. partecipò al terzo congresso della sezione adriatica del partito socialdemocratico che si svolse a Trieste il 6 genn. 1902 e in quell'occasione ebbe modo di dichiararsi per l'unità d'azione coi socialisti delle province orientali (Istria e Venezia Giulia). Poi, in aprile, prese a dirigere El Batocio, il nuovo organo delle società operaie, e su questo giornale pubblicò numerosi articoli per propagandare presso la base i superiori vantaggi dell'organizzazione professionale centralizzata: egli però non escludeva che, nel caso dei lavoratori italiani emigrati in Austria, ci fosse un obiettivo interesse ad appartenere anche alle società locali. La sua propaganda non fu priva di effetti pratici, agevolati dalla ripresa delle agitazioni salariali che caratterizzarono gli ultimi mesi del 1902 e durante le quali i lavoratori in sciopero poterono sperimentare in concreto il valore della solidarietà dei sindacati centrali. Tuttavia, furono proprio queste le circostanze che inasprirono i contrasti tra il C. e il gruppo dirigente del partito socialista trentino che, interferendo nei conflitti di lavoro, tendevano verso soluzioni compromissorie (talvolta perfino secondo i criteri della conciliazione degli interessi tra capitale e lavoro) da lui ritenuti inaccettabili.
Da questi spunti iniziali, nel corso del 1903 sulle pagine di El Batocio il C. arroventò la polemica anche sulla politica dei socialisti, spingendosi fino a parlare apertamente di "fornicazioni" con le forze borghesi per il raggiungimento prioritario di obiettivi. di lotta (come la questione nazionale e l'università italiana in Austria) che erano propri dei programma liberalnazionale e per i quali il partito sembrava smarrire la sua vera identità di partito operaio e socialista.
La situazione precipitò quando questa violenta campagna si fece personale, coinvolgendo direttamente Cesare Battisti, per i criteri con cui gestiva la direzione del Popolo, che, pur essendo il giornale del partito, egli finanziava di tasca propria. Il C. lo accusò di eludere il controllo della commissione esecutiva del partito e di operare con troppa autonomia anche nella scelta del corpo redazionale. La cosa fece molto rumore e nel congresso del 1903 i socialisti trentini affrontarono formalmente la questione.
In quella sede il dibattito ebbe momenti di forte tensione e quando alla fine il congresso confermò a maggioranza la fiducia a Battisti, il C. abbandonò la seduta con altri dirigenti del Segretariato del lavoro e della Camera del lavoro. A quel punto la frattura tra il partito e il movimento sindacale provocò dannose conseguenze.
Subito dopo il congresso il Segretariato del lavoro rielesse il C. alla direzione e si proclamò "ente economico indipendente da qualsiasi organizzazione politica". Nonostante il tentativo del partito di dar vita a un organo sindacale rivale, la grande maggioranza delle società operaie rimase fedele alle vecchie istituzioni: l'episodio, però, non mancò di gettare maggiore confusione tra i lavoratori e di esacerbare gli attacchi dei sindacalisti contro l'opportunismo tattico e l'accodamento dei politici alle iniziative borghesi, in nome di un internazionalismo intransigente che il C. continuò a rivendicare, ma con toni piuttosto velleitari e astrattamente dottrinali.
Da questa crisi il socialismo trentino uscì, gravemente provato, attraverso una difficile opera mediatrice diretta perfino da esponenti della direzione del partito di Vienna e della Centrale sindacale austriaca. Nel 1905, quando la scissione fu composta in base a un compromesso, il C. aveva già abbandonato la sua carica e, trasferitosi nel Vorarlberg, si era dedicato all'insegnamento.
Negli anni successivi, il C. stesso, divenendo testimonianza del disorientamento ideologico dei tempi, si convertì progressivamente a posizioni nazionaliste. Entrata l'Italia in guerra, passò in Italia e poi si recò a Parigi dove, rinnegando il socialismo, diventò segretario della sezione "Italia irredenta" e corrispondente del giornale nazionalista Idea nazionale. Nel dopoguerra fece parte della commissione per lo studio del problema altoatesino, distinguendosi come fautore dell'oltranzismo nazionalista del suo corregionale Ettore Tolomei.
Trascorse il resto della vita come insegnante a Bolzano, da dove negli ultimi anni, già quasi cieco, si ritirò a Levico, morendovi il 22 ag. 1959.
Tra i suoi scritti citiamo La battaglia di Levico, Bolzano 1924 e La figura di Ettore Tolomei, Trento 1957.
Bibl.: R. Monteleone, Il movimento socialista nel Trentino, 1894-1914, Roma 1971, pp. 120, 129, 164 s., 167-177, 180 ss., 187-190, 203 s., 208 ss., 213; Id., La politica dei fuorusciti irredenti nella guerra mondiale, Udine 1972, pp. 173, 217, 238; Id., C. S., in IlMovimento operaio italiano. Diz. biografico, a cura di F. Andreucci -T. Detti, II, Roma 1976, pp. 68 ss.