POMPONIO, Sesto
Giurista romano dell'età classica. Contemporaneo, ma molto più giovane, dei due grandi dell'età adrianea, Celso e Giuliano, è molto inferiore a loro in penetrazione e coerenza sistematica; e piuttosto anticipa il programma, proseguito più tardi da Ulpiano e da Paolo, di esporre in una serie di commentarî tutto il diritto vigente al suo tempo, tirando le somme dall'opera delle due scuole sabiniana e proculiana. Non sembra che sia stato fra i giuristi ufficiali, muniti del ius respondendi: esercitò invece una lunga attività di maestro e di scrittore, dall'età di Adriano fino ai primi anni di M. Aurelio e L. Vero. Visse probabilmente una vita modesta, e non risulta che abbia mai rivestito cariche pubbliche.
La sistemazione del diritto romano non poteva essere unitaria, a causa del dualismo del diritto civile e pretorio. Per esporre il diritto civile, P. prese a fondamento le più insigni trattazioni del passato, parafrasandole e mettendole al corrente: nacquero in tal modo, sotto Adriano, i 35 o 36 libri ex Sabino, basati sui tre di Massurio Sabino, e, sotto Antonino, i 39 libri ad Q. Mucium, condotti sui 18 di Q. Mucio Scevola. Quanto al diritto pretorio, ne compose, probabilmente ancora sotto Adriano, un commento vastissimo, che forse raggiungeva i 150 libri. Più incerto è il carattere dell'opera, in 41 libri almeno, intitolata Variae lectiones, nonché dei 7 libri ex Plautio, sul cui contenuto si rinnovano le dispute intorno al contenuto dell'opera originale di Plauzio stesso. Alla casistica son dedicate le Epistolae (20 libri), edite sotto i divi fratres: questioni delicate, poste probabilmente nella scuola, con le relative soluzioni. Ricordiamo infine il libro delle Regulae e i due manuali detti Enchiridia, l'uno in due, l'altro in un libro: da quest'ultimo è tratto il lungo brano sulla storia del diritto e della giurisprudenza, che è riprodotto in Dig., I, 2, de orig. iur., 2, e che rappresenta per noi, ad onta delle sviste inevitabili, un sussidio prezioso.
I giuristi posteriori fecero delle opere di P. largo uso, valendosene anche come di repertorî della giurisprudenza antica; e i compilatori del Digesto ne riprodussero molti brani (trascurando però il commentario all'Editto). Fra riproduzioni testuali e citazioni, il nome di P. ci ritorna 861 volte: il che permette anche a noi di attingere spesso, e con profitto, alle larghe cognizioni di questo probo e limpido giurista.
Bibl.: J. G. Heineccius, De S. P. iurisconsulto (Opera, III, i, Ginevra 1746, p. 61 seg.); H. Pernice, Miscellanea, Praga 1870, p. 40 segg.; O. Lenel, Palingenesia iuris civilis, Lipsia 1889, II, c. 15 segg.; Krüger, Histoire des sources du dr. rom., trad. Brissaud, Parigi 1894, p. 230 segg.; S. Di Marzo, Saggi critici sui libri di P. ad Q. Mucium, Palermo 1898; Th. Mommsen, S. P., in Gesammelte Schriften, II, Lipsia 1907, p. 21 segg.; P. Bonfante, Storia del dir. rom., 3ª ed., Milano 1923, I, p. 386; F. Ebrard, Die Lehre von den Rechtsschulen und Rechtslitteratur römischer Juristen im Lichte eines vorjustinianischen Digestentitels, in Zeitschr. Savigny-Stift., XLV (1925), p. 111 segg.; P. De Francisci, Storia del dir. rom., II, i, Roma 1929, p. 359 seg.