SESSO (XXXI, p. 481; App. II, 11, p. 813)
Le più notevoli scoperte dell'ultimo decennio, relative ai problemi del s., sono quelle della cosiddetta "cromatina sessuale" e delle anomalie nel numero dei cromosomi sessuali nell'uomo.
La cromatina sessuale. - Nel 1933 E. Kawaguchi aveva descritto una masserella di cromatina più condensata (eteropicnotica) nelle cellule nutrici dell'ovario e negli ovogoni del baco da seta. S. S. Stanley (1945) in un altro lepidottero, Archips fumerana, descrisse un corpicciolo simile, visibile nei nuclei delle cellule somatiche delle sole femmine, e lo interpretò come dovuto ad un addensamento dei cromosomi sessuali, che persiste anche nei nuclei in riposo. G. Frizzi (1948) osservò lo stesso fenomeno nel baco da seta.
A questo reperto non fu data molta importanza, finché M. L. Barr e E. C. Bertram (1949) non fecero, casualmente, un'analoga osservazione in un mammifero. Nelle cellule dei centri nervosi di gatto questi autori osservarono, nel nucleo, una masserella di cromatina, per lo più aderente al nucleolo, che si trova soltanto negli individui di sesso femminile. Fu chiamata dapprima satellite nucleolare, poi (M. L. Barr, 1951) cromatina sessuale. Nel 1954, M. A. Graham dimostrò la presenza della cromatina sessuale anche in embrioni di gatto dell'età di 19-24 giorni, nei quali non è ancora evidente il differenziamento sessuale. Questo reperto indicava la possibilità di diagnosticare il s. di un embrione in stadio precoce, quando ancora nessun altro carattere lo consente.
Nella specie umana la cromatina sessuale fu messa in evidenza nelle cellule spinose dell'epidermide (K. L. Moore, M. L. Barr e M. A. Graham, 1953); in seguito fu trovata in numerose altre cellule, alcune delle quali molto facilmente ottenibili dal vivente (cellule di desquamazione della mucosa orale, della mucosa vaginale). La cromatina sessuale si presenta nell'uomo, come nel gatto e in alcuni altri mammiferi, sotto forma di una piccola masserella (cromocentro) positiva alla reazione di Feulgen, che si trova per lo più adiacente alla membrana nucleare, dal lato interno. La si può individuare in una buona percentuale (dal 50 al 90%) delle cellule degli individui di sesso femminile; è assente in quelle dei maschi (soltanto nell'1-5% delle cellule di questi ultimi si osserva qualche granulo che può simulare la cromatina sessuale). Perciò si suol dire che le femmine sono positive, i maschi negativi per la cromatina sessuale.
Una singolare struttura legata al s. fu poi scoperta (W. M. Davidson e D. R. Smith, 1954) nei nuclei dei granulociti (globuli bianchi a nucleo polimorfo). È una massa di cromatina più o meno completamente isolata dal resto del nucleo, e si presenta spesso con l'aspetto di una bacchetta da tamburo (drumstick degli autori inglesi).
Il significato citologico della cromatina sessuale è ancor oggi oscuro: alcuni ritengono che si tratti dei due cromosomi X proprî del corredo femminile, che, nel nucleo in riposo, si fondono a formare un cromocentro; una tale ipotesi non è confermata. Singolare, a questo proposito, quanto si è osservato negli uccelli (pollo, I. L. Kosin e H. Ishikazi, 1959), in cui la cromatina sessuale è presente nella femmina. Poiché in questo animale, a differenza dei Mammiferi, il sesso omozigote per i cromosomi sessuali (XX) è il maschio e quello eterozigote (XO o XY) la femmina, ci si dovrebbe aspettare, per analogia con i Mammiferi, che i maschi fossero positivi e le femmine negative. Anche le farfalle, che hanno gli eterocromosomi distribuiti come gli uccelli, presentano la masserella cromatinica nel s. femminile, come abbiamo detto.
Qualunque sia il significato da attribuirsi alla cromatina sessuale dal punto di vista cariologico, essa rappresenta un mezzo utilissimo per riconoscere il sesso "cromosomico" di una cellula, indipendentemente dal differenziamento sessuale dell'organismo di cui essa fa parte. Perciò consente anche la diagnosi precoce, prenatale, del sesso. A questo scopo sono state utilizzate le cellule che si trovano nel liquido amniotico, che si possono ottenere per puntura senza compromettere l'esito della gravidanza (L. Sachs, D. M. Serr. L. Danon. 1956). Grazie a questo metodo, quando si disporrà di osservazioni sufficientemente numerose, si potrà arrivare a stabilire qual'è il rapporto primario dei sessi (v. sesso, XXXI, p. 482). C. R. Austin e E. C. Amoroso (1957) affermano che nel gatto il rapporto primario dei s. è spostato significativamente verso il s. maschile; ma nell'uomo, dai dati fin qui raccolti, sembra che la notevole predominanza numerica dei maschi nell'epoca prenatale, che si credeva esistesse, in realtà non si verifichi.
L'applicazione più importante della cromatina sessuale è stata quella che ha consentito la diagnosi del s. genetico in molti casi d'intersessualità nell'uomo.
Intersessualità e inversione del sesso nei Vertebrati. - Fattori esterni al genotipo, che con denominazione comprensiva si chiamano ambientali, possono far deviare più o meno notevolmente lo sviluppo e influire così sulla manifestazione definitiva del carattere. L'inversione del s. per cause esterne, cioè non genetiche, è un fenomeno ben noto non soltanto negli Invertebrati, ma anche nei Vertebrati (v. sesso, XXXI, p. 488). Negli ultimi anni sono state eseguite ulteriori ricerche, alcune delle quali hanno dato risultati di notevole interesse. Negli Anfibî Anuri C. Y. Chang e E. Witschi (1955) e L. Gallien (1956) hanno ottenuto, con la somministrazione di ormoni sessuali durante lo stadio larvale, la completa femminizzazione dei maschi genetici di Xenopus laevis; questi maschi trasformati in femmine, depongono uova che, fecondate da spermî di maschi normali, danno origine a una progenie costituita interamente da maschi. Ciò dimostra che il s. maschile, in Xenopus come nei Bufonidi, è omozigote per i cromosomi sessuali, il femminile eterozigote: ♂ = zz; ♀ = zw. La stessa situazione si verifica negli Anfibî Urodeli (Amblystoma, Hynobius, Pleurodeles) come era già noto precedentemente. Invece in Rana japonica, T. Kawamura e R. Yokota (1959) hanno dimostrato la condizione opposta: femmine genetiche, mascolinizzate con la somministrazione di ormoni androgeni, accoppiate con maschi normali danno origine al 100% di femmine. Quindi ♂ = xy; ♀ = xx. In un pesce teleosteo d'acqua dolce, Oryzias latipes. T. Yamamoto (1958) ha ottenuto sia la mascolinizzazione completa e funzionale della femmina, somministrando metiltestosterone, sia la femminizzazione completa dei maschi genetici somministrando ormoni estrogeni.
In alcuni casi la somministrazione di ormoni sessuali determina soltanto un'inversione parziale, con formazione d'individui intersessuati. In talune specie l'effetto degli ormoni è nullo: il s. genetico non può venire alterato. Una serie di casi di particolare interesse è quella dei cosiddetti effetti paradossali (E. Padoa, 1938, 1942); per es. gli ormoni estrogeni, somministrati a debole concentrazione ai girini di rana, determinano un effetto leggermente femminilizzante sui maschi; a dosi medie producono lo sviluppo di intersessuati, a forti concentrazioni (240 μg/litro) mascolinizzano le femmine genetiche. Analogamente gli ormoni maschili possono, a seconda della specie, determinare effetto normale ("ortodosso") oppure effetto paradossale, o patogeno più o meno intenso sul differenziamento delle gonadi e del sistema renale. Queste ricerche confermano in sostanza la possibilità che il s. originario genetico venga deviato, durante il differenziamento, verso il s. opposto, da cause non genetiche (in questi casi, gli ormoni sessuali). Le varie specie dimostrano una diversa suscettibilità e diverso modo di reagire all'azione degli ormoni; tali diversità sono caratteri determinati geneticamente.
Per indagare le cause dell'effetto paradossale, G. Chieffi e coll. (1956 e segg.) hanno eseguito ricerche sistematiche sul metabolismo in vivo e in vitro degli ormoni sessuali da parte di diverse specie di Anfibî Anuri e Urodeli. Si può pensare, infatti, che alcune specie trasformino l'ormone somministrato in un prodotto chimicamente simile all'ormone del s. opposto. I risultati del Chieffi sembrano invece escludere l'ipotesi che la diversa reazione delle varie specie agli ormoni sessuali sia dovuta ad un differente metabolismo qualitativo, cui verrebbero sottoposti.
Gli stati intersessuali nella specie umana. - Le ricerche citate e varie altre che non è possibile ricordare singolarmente, hanno contribuito alla interpretazione degli stati intersessuali nell'uomo. Seguendo in parte la classificazione proposta da E. Witschi, W.O. Nelson e S. J. Segal (1957) distinguiamo le seguenti categorie di intersessi: a) pseudoermafroditismo femminile; b) pseudoermafroditismo maschile; c) sindrome di Turner; d) sindrome di Klinefelter.
La categoria dello pseudoermafroditismo femminile (sindrome adrenogenitale) comprende individui geneticamente femmine (cromatina sessuale positiva) con numerose turbe dei caratteri sessuali secondarî (amenorrea, irsutismo, riduzione dello sviluppo delle mammelle, timbro di voce maschile). Quest'anomalia è conseguenza di una iperplasia o neoplasia della corteccia surrenale, che si verifica per lo più precocemente durante lo sviluppo embrionale, o più tardivamente, nel corso della pubertà.
Nello pseudoermafroditismo maschile gli individui sono maschi genetici, provvisti di testicoli, ma con caratteri sessuali secondarî femminili. Secondo il Witschi, l'agente teratogenico agisce immediatamente dopo il processo del differenziamento sessuale nelle gonadi, cioè all'inizio del 3° mese di gravidanza.
Sotto il nome di sindrome di Turner si raccolgono casi che non si distinguono dalle femmine normali fino alla pubertà. In questa età cominciano a manifestarsi sintomi abnormi: amenorrea, scarsità o assenza di peli sul pube, scarso o nullo sviluppo delle mammelle, scheletro pelvico di tipo maschile. Alla laparatomia gli ovarî risultano assenti, e sostituiti da sottili pliche.
Nella sindrome di Klinefelter invece si tratta di individui che si presentano come ragazzi normali. Alla pubertà le mammelle acquistano uno sviluppo notevole e la distribuzione dei peli risulta di tipo femminile. I testicoli sono piccoli, il liquido spermatico per lo più non contiene spermatozoi.
Analisi cromosomica degli intersessi umani. - Gli pseudoermafroditi femminili e maschili hanno probabilmente corredo cromosomico normale, rispettivamente femminile (XX) e maschile (XY), e l'intersessualità è dovuta all'azione di ormoni sessuali eterologhi, analogamente ai casi sopra ricordati per gli Anfibî. Non è escluso, tuttavia, che alcuni casi classificati in queste categorie, soprattutto nella seconda, appartengano invece alle seguenti.
Dopo la scoperta della cromatina sessuale si constatò che la massima parte degli individui che presentano la sindrome di Turner sono negativi per la cromatina sessuale cioè (come si disse in un primo tempo) sono geneticamente maschi, e perciò sono da considerare come "pseudofemmine". Gli individui con sindrome di Klinefelter invece sono positivi cioè (si disse) sono geneticamente femmine, quindi "pseudomaschi".
Metodi precisi per lo studio dei cromosomi somatici nell'uomo si svilupparono dopo la constatazione di J. H. Tijo e A. Levan (1956), che in cellule coltivate in vitro, la formula cromosomica dell'uomo non è, com'era generalmente ammesso, 2n = 48, bensì 2n = 46, con una coppia di eterocromosomi XX nella femmina e XY nel maschio (v. genetica, in questa App.). Oggi il cariogramma umano, è ben conosciuto, e, con tecniche adeguate, si riesce a metterlo in evidenza, in tempo relativamente breve, su cellule facilmente ottenibili dal vivente (istiociti del midollo osseo, che si ottengono con la puntura sternale; monociti del sangue circolante). In tal modo si è potuto constatare che nelle sindromi di Turner e di Klinefelter, in generale la coppia dei cromosomi sessuali non è normalmente costituita: nella Turner vi è un solo X (formula XO), nella Klinefelter vi sono tre eterocromosomi, due X e un Y (formula XXY). Ciò dimostra che, contrariamente a quanto si riteneva in base agli studî sul moscerino Drosophila, nella specie umana il cromosoma Y porta i geni della mascolinità: infatti un individuo XO, che in Drosophila è maschio come l'XY (sebbene sterile), nella specie umana è femmina, e XXY, che in Drosophila è una femmina con un Y supplementare, nella specie umana è invece un maschio più o meno femminilizzato. Questa condizione dev'essere comune nei Mammiferi, perché W. L. Russell e coll. (1959-1961) hanno dimostrato che, nel topo, gli individui YO sono femmine fertili. Recentemente (1961) hanno trovato anche un individuo XXY, che è un maschio sterile.
Le anomalie cromosomiche cui abbiamo accennato derivano, analogamente a quelle che danno luogo al mongolismo (v. genetica, in questa App.), da mancata disgiunzione (non disjunction, v. sesso, XXXI, p. 484) dei cromosomi sessuali alla meiosi, oppure in una mitosi. In quest'ultimo caso possono originarsi individui costituiti da un mosaico di cellule con corredo cromosomico normale, e altre con corredo anormale. Alcuni casi sono stati descritti nell'uomo. Anche casi più complicati come corredi XXXY, XXYY, e altri sono probabilmente presenti in alcuni individui umani.
Lo studio delle anomalie del cariotipo (aneuploidia) nella specie umana costituisce un importante e vasto campo, che si è recentemente aperto all'indagine (v. genetica, in questa App.) e che, per quanto riguarda i cromosomi sessuali, ha recato già elementi preziosi per la conoscenza degli stati intersessuali.
Rapporto sessi. - Il rapporto numerico dei s., nella maggior parte della specie a s. separati, è prossimo all'unità, cioè l'uno e l'altro s. sono rappresentati circa dal 50% d'individui. Nell'uomo, dalle ricerche di A. W. F. Edwards (1958) e di M. Fraccaro (1960) non risulta che vi siano deviazioni significative nel rapporto sessi studiato nelle singole famiglie (cfr. anche B. Colombo, 1957). Il rapporto del 50% è il più vantaggioso, e ad esso conduce la selezione naturale, come ha dimostrato R. A. Fisher (1931). La dimostrazione del Fisher è stata recentemente ripresa e completata da W. F. Bodmer e A. W. F. Edwards (1960), R. F. Shaw (1958), H. Kalmus e C. A. B. Smith (1960).
In alcune specie, tuttavia, il rapporto sessi totale della popolazione, che è del 50%, viene raggiunto attraverso notevoli oscillazioni dei rapporti che si osservano nelle singole famiglie. Così in Asellus aquaticus (G. Vitagliano Tadini, 1955-58; G. Montalenti, 1960) vi sono, accanto a famiglie che non si discostano significativamente dal 50%, altre che presentano rapporti assai diversi, fino alla monogenia completa (100% d'individui di un sesso).
Questa variabilità è sicuramente genetica, cioè non determinata da condizioni ambientali. È probabile che esista anche in altre specie, soprattutto fra quelle relativamente poco mobili, in cui le popolazioni sono suscettibili d'essere frazionate in piccole unità riproduttive. L'interpretazione più plausibile è che questo sia una meccanismo di difesa contro la consanguineità, la quale produrrebbe un'eccessiva omozigosi. Queste constatazioni suggeriscono che varie anomalie del rapporto sessi, che si trovano in diverse specie, si dovrebbero considerare dal punto di vista del vantaggio ch'esse offrono, e per cui la selezione naturale le ha favorite.
In conclusione, molte ricerche sono state eseguite, negli anni recenti, sui problemi della sessualità, considerati da punti di vista genetico, citologico, embriologico, fisiologico, biochimico. Soltanto alcune di esse si sono potute ricordare qui. Ma questi cenni sono sufficienti a dimostrare che i problemi della sessualità rimangono fra i più importanti della ricerca biologica moderna.
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