SERRA DI CASSANO, Gennaro Maria
– Nacque a Portici il 30 ottobre 1772 da Luigi, duca di Cassano (v. la voce in questo Dizionario), e da Giulia Carafa Cantelmo Stuart, figlia di Gennaro Maria principe di Roccella.
La famiglia, di antiche origini genovesi, era iscritta al seggio napoletano di Portanuova e faceva parte del settore dell’aristocrazia più aperto al riformismo politico promosso dall’illuminismo. Il padre Luigi era iscritto alla loggia massonica La Vittoria, principale nucleo della Gran Loggia nazionale.
In quanto figlio cadetto, Serra fu indirizzato alla carriera ecclesiastica e inviato insieme al fratello maggiore Giuseppe (v. la voce in questo Dizionario), di un anno più anziano, presso il collegio benedettino di Sorèze in Linguadoca, che nel 1771 aveva ottenuto la qualifica di scuola militare reale.
Il 5 febbraio 1786, Serra ricevette la prima tonsura, ma ottenne l’esonero dopo appena un anno. Le ragioni di tale scelta furono da lui stesso spiegate al padre in una lettera, scritta in Francia il 15 agosto 1789, nella quale riferiva di aver intrapreso la carriera ecclesiastica solo per assecondare la volontà familiare, e che avrebbe preferito dedicarsi invece alla vita militare. Nella lettera, egli rivelava anche di essere stato testimone diretto degli eventi innescati dalla Grande paura dell’estate 1789 nelle campagne francesi, i quali ebbero un ruolo decisivo nella decisione dell’Assemblea costituente di abolire i privilegi feudali nel corso dello stesso mese di agosto.
Rientrati a Napoli, i fratelli Serra divennero membri attivi della massoneria, probabilmente nella loggia gestita da Antonio Letizia. Il 29 novembre 1792, Gennaro Maria ottenne il titolo di cavaliere gerosolimitano. Il clima politico generato dalla proclamazione della Repubblica in Francia e l’affiliazione ai settori più radicali della massoneria spinsero entrambi i fratelli su posizioni filogiacobine. Il 12 gennaio 1793 entrambi parteciparono, insieme ad altri confratelli, al pranzo di addio organizzato dal contrammiraglio, e massone, francese Louis Le Vassor, conte di Latouche-Tréville, sulla nave Le Languedoc nella rada napoletana. La spedizione dell’ammiraglio era volta a ottenere il riconoscimento dell’ambasciatore della Repubblica presso la corte napoletana, Louis-Armand de Mackau, nonché la fine delle pressioni esercitate da Ferdinando IV su Costantinopoli perché non accettasse le credenziali dell’ambasciatore Charles-Louis de Sémonville.
La presenza del contrammiraglio e della sua squadra navale sancì un momento fondamentale nell’organizzazione del movimento giacobino napoletano. Nel 1794, dopo la scoperta di una congiura per rovesciare la monarchia, i fratelli Serra furono deferiti alla giunta di Stato per difendersi dalle accuse di complicità. L’anno successivo Giuseppe venne arrestato e imprigionato in Castel Sant’Elmo, dove rimase per tre anni, mentre Gennaro, sul conto del quale le notizie scarseggiano per questo periodo, non sembra sia stato oggetto di specifici provvedimenti, malgrado la conferma delle sue responsabilità da parte dei delatori in una citazione dell’8 marzo 1797.
Con la proclamazione della Repubblica Napoletana, nel gennaio 1799, si arruolò nella guardia nazionale con il grado di capitano, divenendone il vicecomandante il 6 marzo, sotto gli ordini di Agamennone Spanò. Partecipò all’organizzazione di una cavalleria nazionale che suscitò le proteste di Eleonora de Fonseca Pimentel, in quanto la legge prevedeva che ciascun cavaliere avrebbe dovuto provvedere a proprie spese per il cavallo, l’uniforme e le armi, a eccezione di quelle da fuoco. Fonseca Pimentel pubblicò sulle pagine del Monitore napoletano del 20 aprile il testo della norma con la sua petizione e la risposta di Serra, il quale motivava la decisione del governo con l’urgenza strategica di possedere una cavalleria, per quanto provvisoria, al fine di controllare e difendere la capitale.
All’arrivo delle truppe sanfediste del cardinale Fabrizio Ruffo, Serra coordinò insieme agli altri comandanti l’ultima difesa della città. Al termine dei combattimenti, egli fece parte del gruppo di rivoluzionari cui Ruffo garantì il salvacondotto per la Francia, ma che per volontà del sovrano furono infine fatti sbarcare con la forza dalle navi in partenza per essere processati.
Fu condannato alla decapitazione il 18 agosto 1799 dalla giunta dei rei di Stato. Il 20, tra le due e mezza e le quattro del pomeriggio, fu eseguita la sentenza nella piazza del Mercato grande di Napoli. Il primo a essere giustiziato fu Giuliano Colonna di Stigliano, seguito da Serra, dal sacerdote Nicola Pacifico, dal vescovo di Vico Equense Michele Natale, da Vincenzo Lupo, da Antonio Piatti e infine da Eleonora de Fonseca Pimentel. Il cadavere di Serra fu inumato insieme a quelli di Pacifico e di Colonna nella sala del capitolo della chiesa del Carmine maggiore a opera della Compagnia dei Bianchi della giustizia.
Fonti e Bibl.: Napoli, Archivio storico diocesano, Compagnia dei Bianchi della giustizia, n. 240; Atti, leggi proclami e altre carte della Repubblica Napoletana 1798-1799, I-III, a cura di M. Battaglini, Salerno 1983, II, pp. 655, 657, 661, 801, 806, 809, 1309, III, p. 1931; C. De Nicola, Diario napoletano (1798-1825), a cura di R. De Lorenzo, I, Napoli 1999, pp. 133, 136, 218, 247, 272 nota, 285, 287, 340; Il Monitore napoletano 1799, a cura di M. Battaglini, Napoli 1999, pp. 53, 251, 464 s., 474, 488.
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