In agraria, nome (per lo più usato con valore collettivo) con cui sono indicati i semi destinati alla semina; s’intendono così i semi propriamente detti, ma anche vari frutti secchi monospermi come le cariossidi dei cereali, gli acheni della canapa, del girasole ecc.; in senso più generale si possono chiamare s. anche parti di pianta che si seminano, come i tuberi di patata, i bulbi di aglio, cipolla, zafferano ecc.
Per ottenere una buona s. si devono seguire norme opportune, badando che essa provenga da una coltura ben sviluppata ed esente da mescolanze con varietà o specie diverse e ponendo gran cura nelle operazioni di raccolta e di conservazione per evitare inquinamenti, ammuffimenti, attacchi di parassiti e deterioramenti di ogni genere. La s. deve presentare particolari requisiti che si determinano con opportune analisi in laboratori specializzati: si verificano le qualità agrarie, si stabiliscono la proporzione delle impurezze e particolarmente dei semi di cuscuta nonché la presenza di semi estranei, mescolati eventualmente per frode; l’analisi determina anche la germinabilità, la massa di un certo quantitativo, per lo più quella di 1000 semi, e la densità. Prima dell’impiego alcune s. vengono sottoposte a trattamenti speciali (concia) che hanno lo scopo o di affrettare la germinazione o di disinfettarle e proteggere le piante da parassiti che sui semi possono trovarsi allo stato di spore. Anche l’eliminazione dei semi di erbe infestanti o dannose rientra in questo quadro (➔ selezione). Le s. commerciali devono rispondere a requisiti di uniformità, relativa purezza genetica e capacità germinativa, che non deve essere, generalmente, inferiore al 90-95%. La produzione di s. con particolari pregi è regolata per legge e per esse è istituito da tempo un Registro delle s. elette.