SATTA, Sebastiano
– Nacque a Nuoro il 21 maggio 1867. Il padre, nuorese, Antonio, fu un avvocato assai noto; la madre, Raimonda Gungui di Mamoiada, villaggio vicino a Nuoro, fu donna di poca cultura ma ricca di sofferta dolcezza. Un suo fratello, Giuseppino, fu alto funzionario presso il ministero di Grazia e Giustizia.
Il padre morì a Livorno, dove si era recato per affari, quando Satta aveva compiuto appena cinque anni. Rimasto orfano, conobbe il disagio e le umiliazioni della povertà e la madre crebbe lui e il fratellino – scrisse poi – «con il fuoco del focolare scarso e poco».
A Nuoro Bastianu, come veniva chiamato dagli amici, frequentò le scuole elementari e il ginnasio proprio in un periodo in cui nuove esigenze di vita e di pensiero si andavano evolvendo in seguito al tumulto di Su Connotu (il Conosciuto), scoppiato a Nuoro il 26 aprile 1868, con i rivoltosi che assaltarono il Municipio chiedendo il ripristino dell’antico sistema di gestione comunitaria dei terreni, eliminati dall’editto delle chiudende (1820) prima, e dall’abolizione dei diritti ademprivili (diritti di pascolo in comune) poi, con legge del 23 aprile 1865.
In seguito a questa rivolta il parlamentare Giorgio Asproni sollecitò il governo italiano ad avviare un’indagine sulle condizioni sociali ed economiche della Sardegna, caratterizzate dalla recrudescenza del banditismo, dall’emigrazione, dalla miseria e dalla malaria. In tale contesto sorsero a Nuoro alcuni poeti, soprannominati ‘i poeti di Su Connotu’, che vissero in conviviale amicizia con Satta.
Fra questi, Giovanni Antonio Murru, Pasquale Dessanai, Salvatore Rubeddu, che si scagliarono, con la loro poesia popolare e in lingua sarda, contro le leggi ingiuste che avevano permesso a pochi privilegiati di impossessarsi di vaste tanche. Fu nel clima di questo piccolo rinascimento locale che si affermarono personaggi come Grazia Deledda e Francesco Ciusa, il maggior scultore sardo, e con loro Antonio Ballero e Giacinto Satta, pittori e romanzieri nello stesso tempo.
Terminato il ginnasio, Satta lasciò Nuoro e si recò a Sassari per frequentare il liceo, dove ebbe come insegnante di italiano il carducciano Giovanni Marradi. Conseguita la licenza liceale interruppe gli studi per fare il servizio militare a Bologna (1887-88). Qui scrisse la sua prima opera poetica, I versi ribelli, di chiara ascendenza carducciana, che pubblicò a Sassari nel 1893. Finito il servizio militare, raggiunse di nuovo Sassari dove rimase fino al 1894 frequentando l’Università e laureandosi in legge. Furono gli anni più importanti della sua formazione culturale, letteraria e ideologica, nell’ambiente vivace di una città repubblicana e radicale, accanto a operatori culturali prestigiosi come Salvator Farina, Enrico Costa, Luigi Falchi, Pompeo Calvia, Salvatore Ruju.
Collaborò con il quotidiano sassarese l’Isola, che lui stesso fondò insieme a Gastone Chiesi e che ebbe vita breve (dal dicembre 1893 al luglio 1894), ma scrisse anche su La Nuova Sardegna, sul Burchiello (un settimanale goliardico), sul periodico sassarese Sardegna letteraria e sul cagliaritano Vita sarda.
Gli scritti in prosa che apparvero su l’Isola erano firmati con lo pseudonimo Povero Jorik, che aveva una scoperta origine letteraria: Povero Jorik è infatti il buffone del re nell’Amleto shakespeariano. Da ricordare, insieme ai gustosi capicronaca, L’Intervista ai banditi, il pezzo più famoso dell’epoca, che fece scalpore e varcò i confini dell’Isola e dell’Italia. Si trattò di un’intervista a tre feroci banditi (Francesco Derosas, Pietro Angius e Luigi Delogu).
Nel frattempo, secondo una prospettiva culturale che indendeva farsi portavoce delle condizioni sarde, aprendo l’Isola a un respiro più vasto, collaborava a quotidiani e periodici, quali Nuova Antologia, Giornale d’Italia, Il Resto del Carlino, Tempo e Italia del popolo.
Su Satta giornalista ha scritto Salvatore Manconi: «Egli era un narratore spontaneo, un coloritore del pensiero, un artista della parola. Mai nei suoi scritti una volgarità, anche nella rampogna e nell’ironia era un signore. Come cronista era inarrivabile. Il fatterello più insignificante gli offriva lo spunto per uno di quei capocronaca, taluno in versi, che lo avevano reso popolare e amato in tutta Sassari» (Albo sattiano, 1924, p. 47).
Nel 1893 pubblicò un’altra silloge poetica, Nella terra dei Nuraghes (firmata con Luigi Falchi e Pompeo Calvia), che conteneva otto liriche, di cui due in lingua sarda: Su battizu (il battesimo) e Sa ferrovia (il treno), di modesto valore artistico, ma utili per comprendere l’itinerario spirituale del poeta.
Finalmente nel 1895 rientrò a Nuoro, dove fu consigliere comunale nel 1900-03. Dal 1896 al 1908 esercitò la professione di avvocato, nella quale «ebbe fama di valente penalista e di oratore brillante, facondo, irruente, temuto per le sue arringhe, perché sapeva cogliere dalle circostanze più disparate la nota umana» (Bonu, 1961, p. 534).
Nel 1905 si unì in matrimonio con Clorinda Pattusi da cui ebbe una prima figlia, Raimonda, chiamata con vezzo Biblina, che morì bambina nel 1907 e che venne ricordata nei Canti dell’ombra con un lirismo accorato e triste, modulato sulle antiche monodie locali. Nel 1908 nacque il secondo figlio, provocatoriamente chiamato Vindice, che spese la sua vita nella cura del lascito culturale e civile del padre, prima di spegnersi nel 1984.
Nello stesso anno Satta fu colpito da paralisi: il ‘gigante buono’, Pipieddu (bambinetto) come venne chiamato, con un’ironia antifrastica tipicamente sarda, fu abbattuto ma non cessò per questo di comporre versi, dettando le sue poesie più famose che confluirono dapprima nei Canti barbaricini (1909) e poi nei Canti del salto e della tanca (usciti postumi nel 1924).
I Canti barbaricini nacquero nel periodo in cui Satta svolgeva a Nuoro, da penalista, un’intensa attività.
Ecco come lui stesso nella Premessa li presenta: «Barbaricini, ho voluto chiamar questi canti perché sono accordi nati in Barbagia di Sardigna; ed anche quando essi non celebrano spiriti e forme di quella terra rude e antica, barbaricini sono nell’anima e barbaricine hanno le fogge e i modi. Le Selvagge, che sono il cuore nero del libro, ricordano gli ultimi anni di sconforto e di tenebra, quando gli ovili erano deserti e tremende e tragiche suonavano le monodie delle Prefiche, e l’animo era smarrito e percorso da sciagure e odi nefandi. Ah il poeta vide veramente quelle madri vagare sui monti, cercando i figli feriti nelle stragi omicide e vide veramente arar la terra coi fucili legati all’aratro! Ma la notte dileguò e si udirono i canti antelucane» (Canti, 2003, p. 7).
I giudizi sulla poesia di Satta furono contrastanti: vanno dalle stroncature come «tranne qualche lineamento di poesia, il resto è retorica e imitazione» (Momigliano, 1924); a valutazioni più equilibrate: «Si rivela degno di rispetto, per la passione che mise nel suo sforzo di una poesia pienamente impegnata; per la serietà con la quale tentò di risolvere il problema storico che aveva davanti a sé, di una letteratura, se mi è possibile dir così, sardo nazionale» (Petronio, 1965, pp. 76 s.).
Sulla questione della lingua sattiana, specie in rapporto al sardo, è interessante e condivisibile questo giudizio: «Il rapporto con il sardo è costituito da un consapevole lavoro di adattamento risolto in un difficile amalgama espressivo: ne risulta una proposta di lingua poetica italiana immersa nel contesto culturale e linguistico regionale [...]. L’operazione poetica di Satta è dunque più ambiziosa e impegnativa di quanto non sia emerso dal dibattito critico che si è sviluppato sulla sua opera. Essa si fa carico di una tradizione poetica regionale, sia sul versante della tradizione in lingua sarda, sia sul versante della produzione in italiano, per rilanciare con una coscienza più scaltrita e aperta e meno subalterna, una esperienza poetica che ponga sullo stesso piano, i valori di una realtà locale, trascurata ed estranea, e gli strumenti espressivi e tecnici di una tradizione colta, in un momento in cui si tende a dar voce alle culture emergenti che ambiscono ed esigono di avere diritto alla parola nel concerto nazionale» (Canti, a cura di G. Pirodda, 1996, p. 15).
Satta morì, a Nuoro, il 29 novembre 1914. Fu sepolto senza funerali religiosi perché aveva espresso la volontà di non avere né preti, né preghiere alla sua morte. Le cronache narrano che folle di contadini, pastori e persino banditi, scesero dalle montagne per accompagnarlo alla sua ultima dimora, memori del suo amore per l’uguaglianza e il progresso sociale e della sua passione per la patria sarda.
Satta fu molto popolare e amato dalla sua gente che vedeva in lui un vero e proprio ‘vate’, cantore di una mitica e drammatica identità sarda, fatta circolare ampiamente in Europa da Grazia Deledda. La Sardegna come mondo primitivo, incantevole e selvaggio, remoto nel tempo e nello spazio. Una ‘barbarie’ rassicurante, nel cuore incontaminato d’Europa, pervasa di passionalità e religiosità, che tanto colpì David H. Lawrence, il quale la descrisse in Mare e Sardegna (Roma 2002). «Altri poeti furono più grandi di lui. Nessuno fu più pianto. Un simbolo era scomparso. Nasceva un mito» (Cossu, 1974, p. 3408).
Opere. Nella terra dei Nuraghes, Sassari 1893; Versi ribelli, Sassari 1893; Primo Maggio, Sassari 1896; Canti barbaricini, Cagliari 1909; Canti del Salto e della Tanca, Cagliari 1924; Poesie malnote, ignorate e disperse, Cagliari 1932; Canti «Canti barbaricini, Canti del Salto e della Tanca», Nuoro 2003.
Fonti e Bibl.: A. Momigliano, Canti barbaricini, in Giornale d’Italia, 7 agosto 1924; Albo sattiano, Cagliari 1924; S. Satta, Canti, a cura di M. Ciusa Romagna, Milano 1955; R. Bonu, Scrittori sardi, II, Sassari 1961, pp. 533-544; S. S. nel 50° anniversario della morte. Raccolta di manoscritti, documenti editi e inediti, Cagliari 1964; G. Petronio, S. S., Cagliari 1965; N. Cossu, in Letteratura italiana (Marzorati), I minori, IV, Milano 1974, pp. 3403-3408; I Canti e altre poesie, a cura di F. Corda, Cagliari 1983; S. S.: dentro l’opera, dentro i giorni, Atti delle giornate di studio... 1985, a cura di U. Collu - A.M. Quaquero, Nuoro 1988; A. Luce Lenzi, Canti barbaricini, Modena 1993; Canti, a cura di G. Pirodda, Nuoro 1996; D.H. Lawrence, Mare e Sardegna, Roma 2002; S. S., un canto di risarcimento, a cura di U. Collu, Nuoro 2015.