GUALTIERI (Gualterio), Sebastiano
Nacque a Orvieto il 22 genn. 1513, primo dei dodici figli di Raffaele, di antica famiglia patrizia. A nove anni fu affidato al cardinale Agostino Trivulzio, al servizio del quale rimase fino alla morte di questo, nel 1548.
La famiglia Trivulzio apparteneva al partito filofrancese (il cardinale godeva di diversi benefici in Francia) e presto il G. ebbe modo di stringere rapporti personali con alcuni dei membri del clero e della corte francese. Accompagnò il Trivulzio nelle legazioni alla corte di Francesco I nel 1530-31 e nel 1536 e in seguito, tra il 1539 e il 1542, tornò come agente del cardinale presso la corte francese.
Il 15 marzo 1528 il G. prese l'abito clericale; nel 1532 gli fu assegnato l'arcidiaconato di Orvieto, di cui nel 1553 divenne anche amministratore.
Prese parte, come assistente del cardinale Girolamo Capodiferro e poi del cardinale Alessandro Farnese, al conclave che elesse Giulio III, uno dei più lunghi e complessi della storia della Chiesa, caratterizzato dallo scontro tra Gian Piero Carafa (futuro papa Paolo IV) e Reginald Pole, ovvero tra inconciliabili visioni del cattolicesimo e della Chiesa di Roma. La scelta compiuta il 7 febbr. 1550, quando fu trovato un accordo sul nome di Giovan Maria Ciocchi Del Monte, aprì al G. le porte della carriera diplomatica.
Una lontana parentela legava, infatti, il G. alla famiglia del papa: Balduino, fratello di Giulio III, aveva sposato una cugina del G., Giulia Mancini, la cui madre era imparentata con la famiglia Nobili, da cui veniva il marito di una sorella del papa.
Il 13 genn. 1551 il G. fu consacrato vescovo di Viterbo, dove fece il suo ingresso il 21 giugno. Nel giugno del 1554 partì per la Francia come nunzio apostolico.
Il compito del G. non era semplice, nonostante egli conoscesse la situazione francese. L'eco della crisi gallicana non si era ancora spenta e la guerra di Siena era nel vivo: la città, difesa anche da una guarnigione francese, era ancora sotto l'assedio delle truppe di Carlo V e si sarebbe arresa solo l'anno successivo. Le spedizioni dei Turchi, alleati dei Francesi, minacciavano ogni anno le coste del Regno di Napoli e dello Stato della Chiesa.
I rapporti tra Giulio III ed Enrico II erano destinati a rimanere tesi, eppure in due anni il G. riuscì a migliorarli sensibilmente, consolidando la fiducia del papa nei suoi confronti e guadagnandosi la stima di molte personalità della corte francese.
Nel 1555 la morte di Giulio III e l'ascesa di Paolo IV segnarono un'improvvisa battuta d'arresto per il Gualtieri. La sua missione finì nell'estate del 1556, quando fu richiamato a Roma perché Carlo Carafa, nipote del papa, aveva bisogno di un esecutore obbediente e sottomesso. Solo con la fine del pontificato del Carafa (durante il quale i posti chiave della diplomazia pontificia furono interamente occupati dai membri di quella famiglia) e l'elezione di Pio IV il G. tornò in servizio attivo nuovamente in Francia. Nominato nunzio il 29 marzo 1560, il G. si insediò in giugno.
Anche questa volta la sua missione si prospettava molto delicata. La radicata presenza degli ugonotti stava infatti lacerando l'unità religiosa del paese, che presto si sarebbe dissanguato nella lunga carneficina delle guerre di religione. Il compito principale del G. era quello di evitare "con ogni sorte d'ufficio" la convocazione di un concilio nazionale e di convincere il re e il clero ad appoggiare la decisione del papa, del 29 novembre di quell'anno, di riaprire il concilio (sospeso cinque anni prima a Bologna). Quanto più il G. osservava la situazione francese, tanto più si radicava in lui l'impressione che la regina, Caterina de' Medici, fosse inaffidabile e inadatta a reprimere l'eresia ugonotta, e si convinceva che il partito dei Guisa, viceversa, fosse l'unico e più solido baluardo del cattolicesimo. Solo la nascita di una grande coalizione cattolica e l'intervento del re di Spagna, Filippo II, potevano aiutare la Chiesa a salvare il paese che ormai, a suo avviso, stava per diventare calvinista.
Fedele a questa visione, il G. si legò all'ambasciatore spagnolo in Francia e ad Antoine de Granvelle. Fu invece aspro nemico di Michel de l'Hôpital, il fautore della politica del dialogo e del compromesso con il mondo protestante francese. Il papa, da parte sua, pur approvando la condotta del suo nunzio, diffidava di quella inutile severità e gli consigliava di usare "la via della piacevolezza", ma i Francesi presto si convinsero che il G. fosse una spia al soldo del re di Spagna.
"Il Gualteri da questi segni traeva sventuratissimi augurj ed era divenuto sospetto a' politici francesi" - scrive il Pallavicino - "quasi penetrasse i loro intendimenti in materia di religione, e gli palesasse a' Ministri spagnuoli e con l'ufficj lor violenti ne distornasse l'effetto. Ond'erano fin arrivati a ritener i suoi corrieri, persuadendosi di ritrovar nelle lettere qualche trattato occulto col re Filippo".
Ormai anche il cardinale legato, Ippolito d'Este, trovava difficile lavorare con lui: il cardinale, infatti, pensava di servire la causa stabilendo stretti legami con la regina e la corte francese in modo da poter influenzare la politica religiosa; il G., viceversa, era convinto che Caterina fosse una cripto-protestante e che fosse necessario adoprarsi per destituirla. Nell'estate del 1561 il G. fu dunque richiamato e sostituito da Prospero Santacroce.
La fine della missione in Francia, però, non segnò il tramonto del G.; anzi il papa lo accolse con molto calore a Roma e c'è motivo di credere che si sia lasciato ancora consigliare dal G. sugli affari francesi.
Il ritorno del G. in Italia segnò l'inizio della sua ultima vicenda politica e diplomatica, il cui teatro furono le tormentate, conclusive sessioni del concilio di Trento. Nel 1561 il papa era faticosamente riuscito a fare riprendere i lavori e subito erano sorti i primi problemi sulla questione della residenza dei vescovi nelle diocesi. Già nel 1547 i padri conciliari si erano pronunciati su questo tema, inasprendo le punizioni per i vescovi non residenti, ma quei provvedimenti non si erano rivelati sufficienti. Alla fine del 1562 i gallicani respingevano ogni espressione che escludesse la superiorità del concilio sul papa; il cardinale Carlo di Guisa (il cardinale di Lorena) e altri prelati francesi erano episcopalisti e si sarebbero volentieri liberati di ogni ingerenza nella scelta dei vescovi, avvicinandosi così alle posizioni degli spagnoli i quali, per parte loro, si piegavano all'autorità pontificia ma chiedevano il riconoscimento del principio dell'ordinazione dei vescovi direttamente da Dio. Gli zelanti (in maggioranza italiani) rimproveravano agli spagnoli che in questo modo si sarebbe trasformato il vescovo in un piccolo papa e intaccato il potere del pontefice. Tra l'inverno del 1562 e la primavera del 1563 i lavori furono bloccati e per diversi mesi pesò sul concilio la minaccia dello scisma. La situazione fu resa ancora più grave dal fatto che i due legati, i cardinali Ercole Gonzaga e Girolamo Seripando, avevano perso la fiducia di Pio IV. In questa situazione, ago della bilancia fu il cardinale di Lorena, giunto a Trento nel novembre del 1562 alla guida di un gruppo di teologi e prelati francesi. Guadagnarlo alle posizioni pontificie significava trovare un insostituibile e prezioso alleato e il G. era ideale per questo compito, perché godeva della fiducia del Lorena.
A metà novembre del 1562 il papa mandò il G. a Trento ordinando ai legati, con un breve del 13 novembre, di accoglierlo "come cosa nostra e come se fusse del nostro proprio sangue".
Pio IV sperava di poter rimuovere gli ultimi ostacoli che ancora impedivano la chiusura del concilio e l'arrivo della delegazione francese rappresentava dunque un ulteriore motivo di apprensione.
La terza missione diplomatica del G. era di carattere dichiaratamente confidenziale: era a Trento per fare da tramite tra il cardinale di Lorena e il papa. Come aiutante scelse il suo segretario Ludovico Saracinelli (che gli era già stato accanto durante le precedenti missioni in Francia) e, in seguito, Ludovico Antinori, familiare del cardinale François de Tournon e agente del cardinale Carafa alla corte di Parigi.
Già nel suo primo rapporto (scritto tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre 1562), il G. si mostrava ottimista circa le intenzioni che avevano mosso il Lorena a partecipare al concilio: "vedendosi la regina frustrata della speranza in che è vissa sin qui di poter regger la Francia con due religioni […] et sollecitata da i catolici a non lassar serrare detto concilio senza ricercar da quello qualche remedio alla loro infermità, si è servita del offerte che gli ha fatte infinite volte questo cardinale di voler venire personalmente a esponere il bisogno della Francia et a procurarne ancho il rimedio […]".
Il G. era giunto a Trento il 22 nov. 1562, in tempo per prendere parte alla congregazione per l'accoglienza del cardinale di Lorena. Lasciò la città il 6 genn. 1563 per portare a Roma, per conto dei legati, le petizioni dei Francesi e per dare al papa alcune vitali comunicazioni del Lorena. Il 5 marzo tornò a Trento facendo una breve sosta durante il viaggio nella sua diocesi. Rimase a Trento fino al termine della sua missione (fine luglio 1563).
Il Lorena era stato avvertito dall'agente francese a Roma, A. Guillart (l'abbé de l'Isle), del sospetto che il G. e l'Antinori fossero due spie. Ciononostante il G. riuscì inizialmente a guadagnarsi la stima del cardinale, tanto che questi non gli tenne nascosto quanto gli aveva detto il Guillart e gli promise di discutere con lui tutti gli avvenimenti e di rendergli note anticipatamente le sue decisioni di voto nelle assise conciliari. In realtà il Lorena, come appare chiaro da una lettera che scrisse a Caterina de' Medici il 27 nov. 1562, era ben deciso a non rivelare al G. nulla di cui il papa non fosse già al corrente. La frequentazione della casa del prelato francese permetteva però al G. di avere importanti informazioni da due persone al seguito del Lorena: Nicolas de Pellevé, arcivescovo di Sens, e Jêrome de la Souchière, abate di Clairvaux.
La fiducia del Lorena non durò a lungo: appena tornato dal suo viaggio a Roma, nel marzo del 1563, il G. si accorse di venire trattato con una certa freddezza dal prelato francese: il Lorena era stato escluso dalla nomina del nuovo legato e ciò dovette creare dei problemi tra i due. È anche possibile che un ruolo in tale senso sia stato giocato da Filippo Musotti e dal cardinale di Ferrara, Ippolito d'Este.
A questo punto le attenzioni del G. si orientarono su Arnauld du Ferrier, l'ambasciatore francese, la cui influenza, secondo il G., poteva essere decisiva e sul quale egli era anche pronto a inaugurare la "pratica" della corruzione, come era chiamata nei dispacci inviati regolarmente a Roma.
Era un'idea che il G. accarezzava già da diverso tempo, come si deduce da una lettera del card. Carlo Borromeo al cardinale Gonzaga ancora il 12 dic. 1562: "Il vescovo di Viterbo accenna che forse saria bene donar qualche danari all'orator Ferreris […] trovando che per questa via si possa guadagnar il detto Ferreris non si resti di fargli una buona mancia, la quale non sia manco di 500 scudi et più". L'idea non spiacque nemmeno al papa, che secondo Musotti "in tante difficultà non pensava ad altro se non a suspendere il concilio et per haver li francesi fece tentare dal vescovo di Viterbo di guadagnare il presidente Ferriero, promettendogli 10.000 scudi".
Il tentativo del G. non ebbe seguito, né fu sostenuto dal cardinale Giovanni Morone, che portò finalmente il concilio alla conclusione. Venendo a mancare il vero motivo della sua presenza a Trento, il G. ottenne il permesso di ritirarsi e lasciò la città prima della chiusura del concilio. Ormai era vecchio e non godeva di buona salute. Anche l'ultima speranza di ottenere il cappello cardinalizio (per il quale era stato raccomandato dal Gonzaga) con la morte di Pio IV tramontava definitivamente: il suo raggio d'azione era ormai limitato alla diocesi di Viterbo, dove passò gli ultimi anni della sua vita e dove morì il 22 sett. 1566. Il suo corpo fu traslato nella cattedrale di Orvieto.
Del sinodo diocesano da lui indetto non rimangono documenti ed è dunque difficile giudicare se e come applicò i dettami tridentini. Il G. non fu certamente né un teologo né un canonista; la sua attività principale si concentrò sempre sulla politica (anche se questa valutazione è in parte viziata dal tipo di fonti in nostro possesso). In particolare le lettere al Borromeo da Trento rispecchiano in pieno questo giudizio: raramente si trovano accenni alla travagliata lotta dogmatica e teologica in corso nel concilio, e spesso i suoi resoconti sembrano quelli di un ambasciatore veneziano.
Fonti e Bibl.: Concilii Tridentini, diariorum pars prima, I, a cura di S. Merkle, Friburgi Brisgoviae 1901, pp. XXX-XXXV, 3 ss., 125; III, a cura di U. Mazzone, ibid. 1985, pp. XXX-XXXII, 198; R. Ancel, Nonciatures de France, I, 2, Paris 1911; G. Drei, La corrispondenza del cardinale Ercole Gonzaga, presidente del concilio di Trento(1562-1563), in Arch. stor. per le provincie parmensi, XVII (1917), pp. 141-143; J. Lestocquoy, Correspondance des nonces en France Lenzi et Gualterio, 1557-1561, Rome 1977; P. Sarpi, Istoria del concilio tridentino, a cura di C. Vivanti, Torino 1974, pp. 681, 979, 1012, 1018 s.; S. Pallavicino, Istoria del concilio di Trento, Venezia 1802-03, I, 1, p. 208; V, 9, p. 179; VII, 11, pp. 20-22; VII, 12, pp. 207, 209 s.; VII, 14, pp. 116 s., 223, 231; L. von Pastor, Storia dei papi, VI-VII, Roma 1927-28, ad indices; H. Jedin, Die Berichte des S. G. von Trienter Konzil, 1562-63, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und für Kirchengeschichte, XLIII (1935), pp. 287-295; Id., Das Konzil von Trient. Ein Überblick über die Erforschung seiner Geschichte, Rom 1948, pp. 24, 30, 106, 213; Id., Storia del concilio di Trento, IV, 1, Brescia 1979; IV, 2, ibid. 1981, ad indicem; G. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 335; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXII, coll. 516-518 (R. Aubert).