Scuole cattoliche e formazione di base
Sommario: L’educazione cattolica in forma di scuole: geografie e tipologie. Una geografia storica delle scuole cattoliche - Una tipologia delle scuole cattoliche - Le scuole valdesi ▭ Educazioni cattoliche in forme non scolastiche. Progetti educativi del movimento cattolico - Il progetto educativo della Gioventù femminile - La formazione della classe dirigente cattolica - Le scuole di formazione all’impegno sociale e politico - Comunione e liberazione e il meeting di Rimini: una storia da scrivere ▭ Educazioni cattoliche: un bilancio provvisorio
In questo saggio si cercherà di dar conto – seppure alla luce di una situazione degli studi ancora solo in parte adeguata – del modo in cui forme intenzionali di educazione cattolica, scolastica e non, hanno contribuito all’educazione degli italiani nel periodo che dall’Unità arriva ai nostri giorni1.
Per cominciare può essere utile ritagliare una panoramica sulla geografia storica delle scuole cattoliche nella penisola, tenendo presente che la difformità delle rilevazioni disponibili per committenti, finalità e modalità rappresenta essa stessa una problematica storiografica degna d’interesse, che s’intreccia peraltro con questioni relative, per esempio, alla normativa in materia e al relativo dibattito, trattate più in dettaglio da Luciano Pazzaglia nel suo saggio in questo volume.
Dopo l’unificazione. L’insieme degli avvenimenti del periodo 1859-1861 ebbe effetti variegati sulle istituzioni scolastiche ed educative gestite da ordini e congregazioni religiose. Molte furono infatti le differenze che caratterizzarono l’operato dei vari governi provvisori e le transizioni sulle quali, dal punto di vista di questa trattazione, occorre ancora indagare2.
Nel contesto dei dibattiti preliminari alla soppressione delle congregazioni religiose si colloca l’inchiesta promossa dal ministro Giuseppe Natoli3. Il volume con i risultati dell’inchiesta4 enfatizzava come tali scuole raggruppassero il 7% degli alunni delle scuole primarie e il 22% degli alunni delle scuole secondarie e come si trattasse di una presenza assai meno rilevante di quella della vicina Francia5. Le percentuali di alunni di scuole gestite da religiosi erano inoltre molto disomogenee per area geografica e per genere degli iscritti. Gli ordini e le corporazioni religiose maschili che contavano un maggior numero d’istituti d’educazione erano: gli Scolopi (68 istituti), i Barnabiti (16), i Fratelli delle scuole cristiane (15), i Somaschi (13), i Missionari (12) e i Francescani (11). Fra le corporazioni femminili spiccavano le Suore e le Figlie della carità con 199 istituti, le Collegine (95), le Figlie di S. Giuseppe (41), le Suore della misericordia (39), le Benedettine (38). Tra l’altro, istituti femminili come i Collegi di Maria in Sicilia così come i conservatori toscani, attendono tuttora, malgrado gli studi già compiuti, una riconsiderazione e una più matura comprensione, e mostrano come il radicamento di un’educazione femminile cattolica si sia intrecciato con particolari persistenze istituzionali6.
La legge del 1866 sulle congregazioni religiose, così come gli interventi sui seminari7 ebbero effetti significativi ma meno rilevanti di quanto era nelle intenzioni di alcuni – e nei timori di altri – e che sfociarono in un compromesso dovuto, probabilmente, non tanto a intenzioni conciliatoriste8 quanto piuttosto alla limitata capacità dello Stato, come pure degli enti locali, di costruire in modo diffuso e articolato una rete di scuole e prim’ancora un rinnovato corpo docenti. Alla luce dei successivi avvenimenti la dinamica forse più significativa sembra coincidere con il declino della presenza di congregazioni maschili come gli Scolopi e i Barnabiti che pure, in alcune situazioni, mantennero una presenza non irrilevante almeno sotto il profilo qualitativo, proprio là dove riuscirono a compiere la delicata ‘riconversione’ da gestori di scuole pubbliche a gestori di scuole private. Emblematici, per quanto ancora bisognosi di un approfondimento adeguato, sono i casi degli Scolopi di Firenze9 e dei Barnabiti a Bologna e a Genova, così come la quasi totale scomparsa degli Scolopi dalla Sicilia e dalla Sardegna. L’effetto sistemico più rilevante su tutto il complesso delle congregazioni insegnanti fu certamente quello della perdita, pressoché totale, della gestione di scuole pubbliche comunali. Ma significativo è anche il ridimensionamento di tradizionali presenze nella formazione delle élites maschili, come l’abbandono del Tolomei di Siena da parte degli Scolopi e dei collegi Longone di Milano e Maria Luigia di Parma da parte dei Barnabiti. Ampia e articolata è sempre stata la presenza di scuole cattoliche nella città di Roma10.
Dall’insieme dei materiali pubblicati11 e delle fonti12 si delinea un quadro abbastanza articolato dell’espansione dei discepoli di don Giovanni Bosco nel Mezzogiorno, che consente di attenuare, almeno in parte, le pur fondamentali acquisizioni di Gabriele De Rosa e della sua scuola sulla questione meridionale ecclesiastica. A proposito del radicamento dei Salesiani, Francesco Traniello13 ha parlato di un circuito salesiano con riferimenti a realtà anzitutto editoriali, ma se ne può parlare anche con riferimento a una presenza in cui l’insieme costituito da Chiesa, scuola e oratorio tende a ricostruire una comunità che pure non è più ‘naturale’ e tradizionale ma bensì ricostruita sulla base di un progetto consapevole. Non a caso tale realtà nasce in un contesto urbano e si sviluppa insieme alla principale grande azienda italiana; il microcosmo degli anziani Fiat è spesso anche un mondo di ex allievi delle scuole professionali salesiane. E grazie alle monografie di Giorgio Rossi e Augusto D’Angelo14 abbiamo anche due primi casi studio di come le scuole salesiane abbiano effettivamente dato il loro contributo alla configurazione di ambienti popolari e piccolo-borghesi nel Lazio. In ambito femminile la realtà delle Figlie di Maria Ausiliatrice15 presenta tratti di modernizzazione forse anche maggiori di quella dei Salesiani, anche tenendo presente che la donna istruita, soprattutto in alcune regioni d’Italia, è oggettivamente una novità. A questo proposito deve essere sottolineato che dopo l’iniziale insediamento piemontese, la seconda area di forte espansione delle Salesiane sia stata la Sicilia, dove portarono un nuovo tipo di religiosa e di donna, che causò inizialmente non poco stupore. La dimensione del cattolicesimo conciliatorista prima e del modernismo poi, se non è fenomeno solo di ristrette élites è in buona parte perchè si intrecciarono con presenze anche educativo-scolastiche come quelle dei Barnabiti, degli Scolopi e ovviamente dei Rosminiani.
La tradizione italiana dell’impegno degli intellettuali è anche tradizione di religiosi dediti all’insegnamento, basti fare l’esempio degli Scolopi toscani, soprattutto fiorentini, da Tommaso Pendola a Ermenegildo Pistelli fino a Ernesto Balducci, la cui specifica dimensione di docente, scrittore di scuola e autore di manuali scolastici è ancora in buona parte da approfondire. Il ritorno dei Gesuiti come gestori di istituzioni scolastiche aperte al pubblico avvenne tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo XIX16 e, in almeno un paio di casi – Brescia e Livorno – tale ritorno fu duramente contrastato anche sotto il profilo normativo da iniziative di matrice liberal-massonica e vide una mobilitazione della Chiesa e del movimento cattolico locali, di grande rilevanza soprattutto nel caso di Brescia con l’operato di Giuseppe Tovini in favore dell’Istituto Cesare Arici. Parallela, pur nella diversità dei carismi, la storia dei Barnabiti dopo il 1866, che vede diversi casi di fondazione di nuovi istituti in sedi di antica presenza come quelli di Firenze (1867) del Collegio Alla Querce, di Napoli, che vide nel 1867 il passaggio dal Collegio S. Maria al Caravaggio al Collegio Bianchi. Nel caso di Bologna la transizione dalle scuole pubbliche municipali alle scuole private cattoliche si compì tra il 1867, con la conclusione della lunga esperienza delle Scuole di S. Lucia fino all’assestamento, e il 1873, con la trasformazione del Collegio S. Luigi in scuola privata. La presenza a Genova, con l’Istituto Vittorino Da Feltre, risale al 1895 (ma era stato fondato nel 1876 dal marchese Girolamo Da Passano, esponente di rilievo del cattolicesimo conciliatorista), a Milano invece al 1897, con la fondazione dell’Istituto Zaccaria. Testimonianza dei diversi rapporti col sistema politico e amministrativo le divergenti vicende del gesuitico Collegio Mondragone, il cui pareggiamento, prima concesso e poi revocato, verosimilmente a seguito di pressioni massoniche, fu un caso politico nel 1899. Ben diverso il caso del pareggiamento concesso alla scuola normale delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Nizza Monferrato (1900), a testimonianza dei diversi rapporti degli ambienti salesiani col potere politico e anche di un diverso atteggiamento di una parte significativa delle élites liberali verso la presenza cattolica nel settore dell’istruzione popolare, specie femminile. Come evidenziato da Cavaglià17, tale pareggiamento fu reso possibile grazie all’attiva collaborazione del locale provveditore agli studi e, soprattutto, dell’amministrazione comunale, che garantì un’apposita convenzione in base alla quale rendere formalmente titolare della scuola l’amministrazione comunale, e non la congregazione religiosa. Le scuole secondarie gesuitiche, ma in qualche caso anche quelle degli Scolopi e dei Barnabiti, hanno mantenuto a lungo, in alcuni casi fino ai nostri giorni, la capacità d’esser significativi luoghi di formazione culturale per una parte delle élites italiane, basti pensare ai nomi di Carlo Azeglio Ciampi e di Mario Draghi. Si tratta di un aspetto della storia sociale delle istituzioni educative e del cattolicesimo italiani che, almeno finora, ha avuto solo qualche occasione di approfondimento storiografico18, mentre in altri casi disponiamo solo di fonti edite a stampa, come per esempio l’Enciclopedia querciolina (1968).
Effetti della riforma Gentile. La volontà di Gentile di favorire la scuola non statale è solo un effetto secondario della sua volontà che le scuole statali fossero poche, ma buone. La diminuzione del numero degli iscritti alle scuole statali fu un fenomeno limitato e, in prospettiva, non duraturo, mentre più rilevante si rivelò l’effetto sul numero e la geografia delle istituzioni scolastiche, particolarmente nel delicato settore della formazione iniziale delle maestre elementari. Tale fenomeno si sovrappose alla lenta ma inesorabile scomparsa della presenza maschile nel settore dell’insegnamento elementare. Significative le presenze dell’editoria cattolica tanto nel settore dei libri di testo (La scuola, Società editrice internazionale) quanto in quello dei periodici scolastico-didattici («Scuola italiana moderna»)19. Rientra piuttosto nei cosiddetti ritocchi alla riforma Gentile il regio decreto 4 maggio 1925 n. 653, che portò a una rilevante serie di decreti di parificazione di istituti magistrali cattolici. Sebbene una parte della storiografia abbia fortemente sottolineato la discontinuità tra le intenzioni di Gentile e i successivi ritocchi, tale aspetto, a differenza di quelli postconcordatari, non ci sembra estraneo allo spirito della riforma Gentile nel suo insieme, che vide certamente un aumento del peso del cattolicesimo nella costituzione materiale del sistema scolastico italiano. A tal proposito, Monica Galfrè20 è giunta ad affermare che tale aumento non fosse dovuto a una reale domanda dal basso, ma solo ai meccanismi della decisione politica. La questione s’intreccia alle interpretazioni che si danno del rapporto tra attualismo e fascismo da un lato21, fra regime fascista e Chiesa cattolica dall’altro – interpretazioni che naturalmente pervengono a esiti diversi a seconda che ci si ponga dal punto di vista della storia delle idee o di quello della storia delle politiche. Come evidenziato da vari studi22 le reazioni degli ambienti cattolici di fronte alla riforma Gentile sono abbastanza variegate. In riferimento alla questione delle scuole cattoliche sono da registrare il pragmatismo più accentuato di Agostino Gemelli e quello più moderato dell’associazionismo cattolico avente il suo organizzatore politico in Luigi Montresor, principale animatore dell’Associazione nazionale istituti scolastici privati. In tale ambito è da ricordare la proposta, poi caduta nel vuoto, avanzata dal gesuita Mario Barbera nel 1928, di un meccanismo autonomo di accreditamento di qualità delle scuole. La figura del padre Barbera ha accompagnato, come prima di lui il padre Gaetano Zocchi, e dopo di lui il padre Giuseppe Giampietro, la storia dell’impegno cattolico in campo pedagogico e scolastico23 ma attende ancora il suo biografo scientifico. Effetto immediato del Concordato, sebbene formalmente a esso non collegata, è la prima serie di cosiddette parificazioni conseguenti al regio decreto 25 aprile 1929 n. 64, che interessarono istituzioni secondarie di livello medio-alto. Dopo i Patti Lateranensi e l’ulteriore stabilizzazione seguita alla crisi del 1931, avvenne l’istituzionalizzazione di forme di controllo e coordinamento delle scuole cattoliche italiane a opera della Sacra congregazione dei seminari e delle università, che segnano la definitiva transizione di tale mondo dal cattolicesimo ‘movimento’ al cattolicesimo ‘istituzione’. Anche a seguito delle richieste connesse alle pratiche di ‘parificazione’ venne svolta una serie di ispezioni interne sulle quali abbiamo solo qualche sondaggio storiografico24. Si tratta di materiali da cui emerge la separatezza di alcuni ambienti d’élite, presso i quali l’alterità rispetto al fascismo era una conseguenza di una nazionalizzazione debole, che portava alcune élites a ricercare un’educazione distinta anche dal punto di vista linguistico e culturale. La consapevolezza dei limiti culturali dell’ambiente delle scuole cattoliche emerge anche dalle colonne di testate come «Scuola e clero», che cercarono di sensibilizzare anche in direzione della creazione di una didattica scolastica della religione che andasse oltre la tradizione dell’insegnamento catechistico. La creazione dell’Ente nazionale istruzione media nel 1938, al di là delle originarie intenzioni di Giuseppe Bottai, portò a un più stretto intreccio tra scuole cattoliche e regime ma anche a una pratica molto più lassista di riconoscimenti legali dagli effetti almeno dubbi sulla qualità delle scuole cattoliche, soprattutto nel lungo periodo. In tale contesto si collocano le iniziative per il coordinamento delle religiose insegnanti a partire da un convegno svoltosi dal 2 al 6 giugno 1940. In quella occasione emerse un atteggiamento verso il fascismo e le sue organizzazioni che si sarebbe tentati di definire come opportunistico. In questo ambito devono essere ricordate anche le iniziative delle religiose insegnanti per la loro formazione iniziale, come per esempio l’apertura della sede dell’Università cattolica a Castelnuovo Fogliani e la fondazione dell’Istituto di magistero Maria SS. Assunta, oggi Lumsa, sorto grazie al cardinal Giuseppe Pizzardo e a Luigia Tincani, fondatrice delle Missionarie della scuola. Tali iniziative s’intersecano con quelle realizzate per il coordinamento delle religiose in generale. Come già evidenziato in altra sede25, l’incidenza percentuale del numero degli alunni delle scuole medie cattoliche sul totale degli alunni delle scuole medie rimase nel periodo per il quale disponiamo di dati maggiormente analitici (dal 1933-1934 al 1940-1941) sostanzialmente stabile, mantenendosi su valori compresi tra il 10% e l’11%. La circostanza che tale sviluppo avvenne con una significativa crescita nel settore dei licei classici è da ritenere dovuto alla concomitanza dell’accresciuta domanda d’istruzione classica e di una consolidata tradizione da parte di vari ordini, anzitutto i Gesuiti. La legge 19 gennaio 1942 n. 86 segna, al termine di una complessa trattativa diplomatica, il compimento del passaggio dalla normativa gentiliana a una normativa particolare per le scuole cattoliche che ne rafforza la dipendenza dall’autorità ecclesiastica e insieme concede loro alcuni privilegi che vengono ritenuti dalla Chiesa la condizione migliore per il loro sviluppo e, da parte dello Stato, una concessione che s’inserisce in un equilibrio funzionale ma pur sempre ambiguo.
Dopo il fascismo. La Federazione istituti dipendenti dall’autorità ecclesiastica (Fidae), fondata nel 1945, fu gelosa custode del regime di privilegio sancito dalla legge del 1942 e, nei fatti, anche non l’ultima fra le cause della mancata attuazione della previsione costituzionale dell’istituto della parità che, deve esser ricordato, è un istituto di diritto comune, e non un istituto di derivazione concordataria. I vertici della Fidae, in larga parte contigui agli ambienti del cosiddetto ‘partito romano’, cercarono di condizionare la stesura del testo costituzionale e la successiva politica scolastica, anche se con risultati molto parziali. Oltre a tale dimensione politica, l’organismo, successivamente articolatosi come Agidae (Associazione gestori istituti dipendenti dall’autorità ecclesiastica), possiede anche le caratteristiche di una classica associazione di datori di lavoro. Emblematica di tale stagione è, fra le altre, la figura del gesuita Giuseppe Giampietro26. I dati pubblicati27 mostrano come l’incidenza percentuale degli alunni delle scuole cattoliche nel decennio compreso dal 1947-1948 al 1958-1959 fu diversa a seconda degli ordini di scuola: stabile per le elementari, in calo per le medie inferiori, dal 15,2% al 10%, e in lieve calo per le superiori, dal 13,6% al 10,7%, in un contesto generale contrassegnato dal lieve calo del numero complessivo di studenti iscritti alle elementari, di un aumento assai rilevante degli studenti delle secondarie inferiori (+ 116,5%) e d’una crescita quasi altrettanto rilevante degli iscritti alle secondarie superiori (+ 81,8%). Nel grado preparatorio, in un contesto di moderata crescita (+18,5%) le scuole cattoliche ebbero un significativo decremento passando dal 42,7% al 26,1%. Il quadro offerto dalle statistiche ministeriali esprime bene la consapevolezza che le previsioni e le politiche di espansione del sistema contenute nel piano decennale della scuola avrebbero portato, rebus sic stantibus, a un ulteriore ridimensionamento del peso delle scuole cattoliche, che si mostravano incapaci di tenere il passo con la crescita complessiva del sistema. Da rilevare come tale dinamica si sia sviluppata in presenza di governi che non si potevano certo ritenere ostili alle scuole cattoliche e verso i quali significative voci della cultura laica e di sinistra rivolgevano periodiche campagne di stampa, con cui li accusavano d’esser troppo benevoli verso le scuole confessionali28. Com’è stato già osservato29, le resistenze di parti importanti dell’episcopato italiano alla politica scolastica del centro-sinistra rappresentavano un aspetto d’una opposizione di natura politica complessiva e, insieme, la preoccupazione per la tutela della scuola cattolica, che per essi rimaneva la tesi, mentre la scuola statale, pur solidamente egemonizzata dal governo a guida Dc e, almeno a livello elementare, dall’associazionismo cattolico degli insegnanti30, rimaneva una forma di ipotesi in balìa degli equilibri politici e culturali contingenti.
Il magistero del Vaticano II in tema di educazione è comunemente ritenuto il meno innovativo del Concilio considerato o nel suo complesso o rispetto a molti altri ambiti31, anche se della sua ricezione fanno poi parte documenti che, sebbene rivolti solo alla specifica situazione italiana32, hanno ricevuto un’attenzione tutta particolare in molti altri ambiti geografici e culturali33.
La legge 10 Marzo 2000 n. 62 sulla parità scolastica (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione) attua la previsione costituzionale dell’istituto della parità, pur limitandosi agli aspetti giuridici, con l’importante affermazione di principio secondo cui le scuole paritarie divengono parte del sistema nazionale d’istruzione, mentre quelli economici sono in larga parte legati a legislazioni regionali in tema di diritto allo studio, talora anche significativamente diverse fra loro. La sua approvazione appare non causalmente legata alla stagione del ministero Berlinguer, che anche attraverso di essa cercò di attenuare le perplessità di quegli ambienti cattolici che scorgevano nel prospettato prolungamento dell’obbligo scolastico una potenziale minaccia per la sopravvivenza delle scuole cattoliche e più in generale mantenevano un atteggiamento di prudenti riserve verso un governo che vedeva un rilevante ruolo di esponenti postcomunisti, come lo stesso ministro.
Il Centro studi per la scuola cattolica. Operante dal 1998, il Centro studi per la scuola cattolica (Cssc), tipica espressione del diretto impegno della Conferenza episcopale italiana sotto la guida di Ruini, ha indubbiamente segnato un salto di qualità nella consapevolezza culturale della realtà delle scuole cattoliche, testimoniata per esempio dai rapporti annuali pubblicati, a partire dal 1999. Ci si chiede però in che misura, tali risultati, costituiscano realmente un patrimonio conosciuto e condiviso del cattolicesimo italiano nel suo insieme. Il livello scientifico di tali pubblicazioni è pari solo a quello di cui disponiamo per alcune provincie italiane, come Milano o Trento, mentre per l’insieme del sistema scolastico italiano disponiamo solo di dati quantitativi spesso pubblicati con modalità lontane dagli standard internazionali, soprattutto perché difficilmente rielaborabili da parte di studiosi esterni alle amministrazioni che li hanno prodotti. Tali dati sembrano suggerire, per gli ultimi anni, una lieve ripresa quantitativa, anche se rimane l’interrogativo se essa debba essere interpretata come legata a un miglioramento delle scuole cattoliche oppure a un peggioramento della realtà culturale e sopratutto educativa delle scuole statali34. Non indulge comunque all’ottimismo il lucido testo di monsignor Diego Coletti, che si mostra testimone delle difficoltà attraversate dal sistema scolastico italiano nel suo complesso:
«Questo rapporto tende a superare, entro la Scuola Cattolica, due cronici limiti educativi che sono anche di tutta la scuola italiana: […] la permanente autoreferenzialità dei soggetti professionali della scuola (personale direttivo e docente) e quindi la radicata diffidenza ad accettare il confronto verificativo con l’altro da sé; la sostanziale incapacità dei genitori, e perciò dei soggetti sociali, alla partecipazione al vero discorso culturale della scuola e quindi la sostanziale impossibilità di un reale colloquio educativo con i docenti […]»35.
Il presule lombardo aggiunge poi che «la Scuola Cattolica deve diventare capace di darsi strutture di governo unitario e autonomo e di organizzare in proprio quella che è simultaneamente autonomia scolastica e comunione ecclesiale, mantenendo saldi i propri ancoraggi alle comunità ecclesiali di riferimento»36. Va rimarcato come le esperienze finalizzate a una maggiore ‘personalizzazione’ previste dalla riforma Moratti abbiano trovato, in diverse scuole cattoliche, una eco molto maggiore rispetto a molte scuole statali. Un aspetto rilevante del dibattito in materia di scuola paritaria è poi quello legato alla proposta di un buono-scuola, di derivazione soprattutto statunitense, significativamente legato alla letteratura in tema di economia dell’educazione, sulle cui esperienze italiane, per lo più lombarde, pare utile riportare le conclusioni di due fra i più autorevoli studiosi della questione:
«Siamo partiti presentando l’approccio della school choice, secondo il quale una maggiore possibilità di scelta informata da parte delle famiglie dovrebbe favorire una maggiore concorrenza tra le scuole, e quindi un miglioramento della qualità dell’istruzione impartita e/o un uso più efficiente delle risorse. L’impiego di buoni scuola per favorire l’accesso alle scuole private è stato suggerito da più parti come uno degli strumenti per conseguire questo obiettivo. Sono necessarie due condizioni, affinché tale politica abbia successo: che le scuole private siano mediamente di qualità superiore rispetto alle scuole pubbliche; che i buoni scuola siano disegnati in modo da favorire i figli brillanti delle famiglie povere. Nessuna di queste due condizioni sembra verificarsi nel caso italiano, dove le scuole private svolgono piuttosto la funzione di corsi di recupero e dove i buoni scuola sono disegnati in modo inappropriato»37.
Altre esperienze scolastiche di ispirazione cattolica. Le scuole facenti capo alla Federazione opere educative della Compagnia delle opere mostrano già nelle rispettive intenzioni programmatiche un amalgama singolare fra il richiamo all’‘esperienza cristiana’ e quello alla ‘dottrina sociale della Chiesa’, con una forte sottolineatura di temi quali la ‘libertà di scelta delle famiglie’, da conseguire attraverso l’‘effettiva parità’, o anche di suggestioni più o meno tecnocratiche come per esempio la ‘rilevanza dell’educazione e del capitale umano per lo sviluppo della società’. In molti casi, tali scuole non sono altro che la prosecuzione in forma di cooperativa di scuole cattoliche abbandonate da congregazioni che hanno dovuto imporsi un ridimensionamento quantitativo o elaborare una ridefinizione dei loro ambiti di apostolato. Da ricordare, a questo proposito, anche il sito internet http://www.ilsussidiario.net/, promosso dalla Fondazione per la sussidiarietà, che svolge un’accorta opera di sostegno alle politiche ministeriali, soprattutto quando vi sono interlocutori politici ritenuti più accomodanti e sensibili.
Realtà di élite legata alla prelatura dell’Opus Dei è quella delle scuole Faes (Famiglia e scuola)38. La prima di tali scuole opera dal 1974 a Milano, una realtà urbana in cui convivono significative esperienze di ‘scuole di tendenza’, anche con altre ispirazioni, come per esempio diverse scuole ebraiche e quelle steineriane. Non è dunque un caso se proprio a Milano qualcuno abbia cercato di mettere in piedi la prima scuola islamica italiana. Le scuole Faes tendono a presentarsi, come le altre opere promosse dagli stessi ambienti, come per esempio le residenze universitarie facenti capo alla Fondazione Rui, come riposta a un bisogno effettivo dell’utenza. Da rilevare anche come le scuole Faes non siano associate alla Fidae, così come le realtà editoriali a essa collegate non aderiscono all’Unione editori cattolici italiani (Ueci).
Si cercherà ora di presentare una proposta di classificazione delle scuole cattoliche sulla base del loro target sociale.
Gli asili. L’iniziale atteggiamento cattolico verso gli asili infantili non è privo di ambiguità. È noto che il movimento degli asili s’intreccia con l’idea di ‘sociabilità’ liberale, e che il papa Gregorio XVI, già nel 1837, condannò gli asili, impedendone la fondazione nei territori dello Stato pontificio. Vero è anche, però, che il primo fondatore italiano di asili è un sacerdote, Ferrante Aporti, del cui operato si è sottolineato di recente39 la continuità con le tradizioni del clero borromaico e teresiano, in contrapposizione a una sua lettura liberale, che tende a retrodatare alcune vicende relative alla biografia del personaggio e che, soprattutto, risulta troppo schiacciata sull’immagine costruita da uno dei suoi nipoti, Pirro Aporti, autorevole esponente della massoneria. Solo nel caso toscano si può parlare di un contesto di ‘sociabilità cristiana’, ma non specificamente cattolica, specie per il ruolo dei riformati Matilde Calandrini, Enrico Mayer e Piero Guicciardini, fra i quali peraltro non è facile trovare un minimo comun denominatore e, nel caso livornese, un intreccio di sociabilità, soprattutto in relazione al know how e al fund-raising, di cui erano parte anche qualificati ambienti israelitici. La crescente presenza di congregazioni religiose femminili nella gestione degli asili è un processo molecolare, di cui manca ancora un quadro d’insieme per ragioni dovute allo stato degli studi e per l’oggettiva realtà di una presenza tanto diffusa quanto frammentata, in cui s’intrecciano innumerevoli storie di congregazioni e di opere pie ma anche di associazioni nate sotto il segno della sociabilità borghese e liberale. L’inchiesta Gioda40, pubblicata nel lontano 1889 e basata su dati del 1887, testimonia, oltre al primo sforzo statistico dello Stato nel settore, la presenza di 1.889 insegnanti «appartenenti a corporazioni religiose» su un totale di 5.119 insegnanti. Anche ma non solo per questo dato si può affermare che la stragrande maggioranza degli asili italiani hanno offerto non da ultimo un’elementare educazione religiosa, fatta di pratiche di pietà e di contenuti religiosi non sofisticati, e tuttavia non supportata da forme di coordinamento o da un rapporto, seppur dialettico, con la cultura pedagogica dell’epoca, almeno fino alla formulazione del cosiddetto metodo Agazzi, sviluppatosi, non a caso, in un asilo comunale di una città come Brescia e destinato a divenire un’icona dell’egemonia organizzativa ed editoriale cattolica nel settore. Con questo sfondo vanno ricordate anche le complesse vicende connesse allo sviluppo e alla fortuna del metodo Montessori41. L’Associazione educatrice italiana (Aei)42 fu fondata nel 1925 da Alessandro Alessandrini, fratello delle Scuole cristiane, e dal suo successore, Annita Ferrari, che svolse in effetti un ruolo di primo piano nell’organizzazione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole a ridosso del Concordato. Meritano di esser sottolineate tanto la capacità di fratel Alessandrini di stabilire contatti duraturi con l’amministrazione centrale e periferica della Pubblica istruzione quanto la sua collaborazione con Lombardo Radice, che testimonia una sorta di passaggio del testimone fra l’egemonia neoidealista e quella cattolica. La delega data dallo Stato all’Associazione educatrice italiana in materia di formazione delle educatrici degli asili appare complementare al non intervento statale in materia di scuole dell’infanzia durato fino al 1968. Risale al 1964 ovvero al periodo in cui inizia il processo che porterà alla istituzione della scuola materna statale43, la fondazione della Federazione italiana scuole materne, che peraltro non è formalmente un’associazione confessionale, associando anche le scuole materne israelitiche. È comunque indubbio che nel settore dell’educazione infantile gli ambienti cattolici siano riusciti almeno fino agli anni Sessanta del secolo XX a mantenere una preponderanza sotto il profilo non solo gestionale ma anche culturale, non da ultimo grazie alla divulgazione delle proposte agazziane: operazione forse approssimativa dal punto di vista culturale, ma di indubbia efficacia. Si tenga presente, infatti, che rispetto alle ben più raffinate proposte montessoriane, esse erano di gran lunga più economiche per quel che riguardava la formazione del personale e l’acquisto degli ausili didattici.
L’istruzione tecnica e professionale. Come chiarito da Giancarlo Rocca44 l’istruzione professionale femminile nasce dalla modernizzazione del ruolo tradizionale affidato alle congregazioni femminili, che in misura significativa passa anche dalla fondazione di nuove congregazioni dedite all’educazione e all’assistenza di nuove figure professionali femminili. In ambito maschile, l’istruzione professionale è spesso uno dei principali ambiti di competenza di nuove congregazioni, che si inseriscono nel vasto filone della santità sociale e che incarnano un aspetto indubbiamente importante di quella prevenzione che è al centro dell’operato di don Giovanni Bosco e di altri fondatori ‘minori’, come per esempio padre Lodovico Pavoni. Oltre a ciò, questi nuovi organismi matureranno progressivamente la consapevolezza che solo un popolo istruito potrà essere economicamente utile e politicamente non ‘pericoloso’. Va tenuto presente come i percorsi formativi tecnici e professionali nascano molto spesso in anticipo rispetto ad analoghe iniziative pubbliche. Di conseguenza non sempre esse possono essere censite con precisione attingendo a statistiche scolastiche di vario genere. Soprattutto nel caso dei Salesiani tali iniziative hanno sede in grandi complessi che ospitano scuole diverse per ordine e organizzazione ma anche in luoghi educativi programmaticamente rivolti alla generalità della gioventù, come gli oratori.
Significativa è l’esperienza delle scuole espresse dalla Chiesa valdese tanto nelle Valli valdesi quanto nelle zone di missione, fra cui spicca la Toscana45. Resta da approfondire la sinergia tra missionarietà protestante e missionarietà massonica46, indubbia in casi come quello del sostegno degli ambienti valdesi italiani alla diffusione del metodo froebeliano47.
Scuole valdesi sorte con finalità di evangelizzazione – solo in parte riuscita – svolsero comunque, nei primi decenni successivi all’unificazione della penisola, un ruolo di supplenza rispetto alle carenze che affliggevano la rete delle scuole elementari gestite dai comuni, com’è stato ben documentato per il caso toscano48. Diversa è la situazione delle scuole operanti nelle Valli valdesi, come la scuola normale valdese di Torre Pellice (attiva dal 1852 al 1883 e dal 1913 al 1925) e soprattutto il liceo valdese di Torre Pellice fondato nel 1831. L’istituto, la cui sede fu edificata nel 1835, fu realizzato grazie all’interessamento del canonico anglicano William Stephen Gilly. Finalizzato dapprima alla formazione dei pastori evangelici, il liceo ampliò il suo ambito con la creazione di una sezione pedagogica e l’organizzazione di attività di vario genere in cui furono impegnati i suoi professori: la Biblioteca, i giornali locali, la libreria, la Società di studi valdesi e le attività culturali nei comuni. Nel 1898 diventò liceo classico pareggiato, con gli stessi diritti e doveri di una scuola di Stato, ed è tuttora una realtà molto qualificata non solo per la sua identità religiosa ma anche perché le sue attività sono tese a sviluppare il pieno inserimento in una realtà ormai fortemente cosmopolita: cosa tutt’altro che frequente in una scuola secondaria italiana. Tali caratteristiche appaiono correlate, del resto, a caratteri originari della presenza protestante in Italia. Basti ricordare come le patenti di grazia del 1655, che permisero la sopravvivenza legale dei valdesi in Piemonte grazie all’interessamento di Oliver Cromwell – insieme alla protezione dapprima inglese quindi statunitense – garantirono la sopravvivenza alle missioni protestanti nell’Italia degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta. Scuole valdesi sono presenti anche in Sicilia.
Esiste una variegata galassia di esperienze volte all’educazione infantile e giovanile come pure all’educazione fra adulti, intrecciate a percorsi associativi ed ecclesiali. Ci troviamo qui di fronte a un’intenzionalità educativa religiosa che ha avuto esiti anche politici e professionali. Esula dall’oggetto di questo saggio la dinamica che ha fatto sì che i ‘preti del movimento’ siano stati a loro volta generati dal movimento.
La settimana sociale dei cattolici è una formula di lungo periodo che attraversa almeno tre stagioni della lunga storia di quello che una volta si chiamava il ‘movimento cattolico’, la stagione delle unioni, quella dell’Azione cattolica italiana e quella della centralità della Conferenza episcopale italiana. Come in casi analoghi rimane il dubbio se, pur rimanendo il nome, non sia cambiata la sostanza ma, in linea di massima, presupponiamo che la sopravvivenza nel tempo del nome sia indizio anche di un certo mantenimento della sostanza. Tematiche esplicitamente educative o scolastiche compaiono in almeno sei occasioni (Pistoia 1907, Venezia 1912, Firenze 1927, Trento 1955, Pescara 1964, Catania 1968). Nella stagione delle unioni è evidente l’eco della mobilitazione su tematiche che all’epoca sono molto più unificanti e insieme molto meno problematiche rispetto, per esempio, a quelle economico-sociali. Dal punto di vista dottrinale, la settimana sociale svoltasi a Firenze nel 1927 si colloca nel contesto poi sfociato nella redazione dell’enciclica Divini illius Magistri del 1929, documento che segna il massimo dell’autoconsapevolezza dei diritti e dei compiti educativi della Chiesa nella sua contrapposizione allo Stato moderno – di cui i totalitarismi sono in qualche modo un’estrinsecazione accentuata – e alle filosofie dell’educazione naturalistiche. E non è certo casuale il fatto che la prima organizzazione nazionale del movimento cattolico intransigente sia la Società della gioventù cattolica italiana (Sgci), rimasta peraltro una realtà d’élite con scarse capacità di propaganda su più vasta scala. La figura di Francesco Olgiati costituisce un delicato snodo nella modernizzazione della presenza cattolica nella società italiana, e questo non solo in rapporto alla collaborazione prestata ad Agostino Gemelli nell’opera di fondazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dei primi istituti secolari, ma anche per la definizione del progetto educativo del movimento cattolico, e più ancora nello specifico delle organizzazioni giovanili a esso afferenti49. Merita di esser sottolineato, in particolare, il suo ruolo di catalizzatore della rifondazione tanto dell’organizzazione giovanile maschile quanto di quella femminile, a fronte di una storiografia che, derivando non di rado dalla memoria associativa50, ha finito per delineare due percorsi paralleli. Significativo aspetto del progetto educativo è la rifondazione dell’identità psicologica del giovane cattolico, operazione anzitutto a uso interno, con la parola d’ordine della lotta al ‘coniglismo’ e al ‘rispetto umano’51.
Condivisibile appare perciò il giudizio di Giorgio Vecchio: «[…] intransigenza sul piano educativo da applicarsi riguardo all’obiettivo da raggiungere: la completa formazione cristiana del giovane, via via allenato ad una profonda vita interiore capace peraltro di riverberarsi in una pubblica coerente testimonianza»52. Lo storico milanese offre spunti di ricerca ancora in larga parte da sviluppare:
«Il propagandista era ben più che un organizzatore o un agente pubblicitario: egli era un vero e proprio ‘apostolo’, un missionario, un militante a tempo pieno capace, di farsi a sua volta testimone ed educatore. La cura posta per formare i propagandisti fu quindi enorme: i corsi, comprendenti lezioni, dibattiti, esercizi pratici di eloquenza, furono strutturati secondo una disciplina rigidissima e persino militaresca, con un incessante appello alla puntualità, al buon esempio, alla tenace applicazione»53.
Tale modello fu sistematizzato e diffuso ma, come riconosciuto dallo stesso Vecchio a proposito di Olgiati54, era stato definito dalla gioventù cattolica milanese sotto la guida di Piero Panighi. Pare opportuno ricordare che nell’ampia attività organizzativa e pubblicistica di monsignor Olgiati, accanto a una vasta pubblicistica d’impronta storico-filosofica, vi è anche una specifica trattatistica di teoria pedagogica che affronta le diverse correnti della pedagogia contemporanea, usando come chiave di lettura il tema rossiniano e gentiliano dell’unità dell’educazione e giungendo a una presentazione della pedagogia cristiana come il più conseguente esempio della coerenza ‘tra pedagogia e vita’. L’importanza dell’impostazione di Olgiati per l’ambito maschile era già stata messa in luce da Ernesto Preziosi e da Liliana Ferrari55:
«[…] sezioni aspiranti, dove i ragazzi apprendono come un gioco le modalità della vita organizzativa, ad essere soci disciplinati, ma anche dirigenti in sedicesimo, a considerarsi parte di un grande complesso che distribuisce compiti e gratificazioni, che si affianca alla famiglia, ma richiede quote sempre maggiori del tempo libero dell’aspirante, dove soprattutto il sacerdote assistente ed il dirigente (delegato) diventano figure autorevoli e oggetto di affettività»56.
Fulvio De Giorgi57 ha sostenuto che il militante cattolico sia un caso del tipo di militante così come la chiesa totalitaria sia un caso di una più complessiva epoca o società totalitaria. Tale suggestiva lettura richiede forse una più accurata considerazione della proposta e del carattere di svolta del terminus ad quem, questione quest’ultima che s’intreccia con quella ben più ampia della continuità o discontinuità del Vaticano II, con tutte le questioni, non solo storiografiche, che a essa si collegano.
Analogamente Guido Formigoni sostiene che
«L’obiettivo formativo era una sintesi vitale abbastanza semplice, centrata sull’apostolato e perciò decisamente ecclesiocentrica, e nutrita di una formazione religiosa essenziale, di una forte vita sacramentale e in particolare eucaristica, oltre che permeata dal senso della devozione alla Sede di Pietro e dei “doveri” connessi al proprio stato di vita. Questo obiettivo era perseguito attraverso una pedagogia molto attenta alle articolazioni e alle scansioni – soprattutto per età – e munita di strumenti organizzativi frutto del contributo di un orientamento pedagogico “attivista” che stava prendendo piede nel mondo cattolico: dai “concorsi alle gare di cultura religiosa, dalle campagne annuali centrate su un tema catechistico particolare, fino alla cura per la figura del propagandista e del “capo” a tutti i livelli»58.
Luigi Gedda è figura che va ben oltre l’oggetto di questo saggio59 e che in larga parte attende ancora il suo biografo scientifico. È comunque noto a grandi linee come sotto la sua guida la gioventù maschile di Azione cattolica diede vita a un vero e proprio progetto di organizzazione scientifica dell’apostolato basato anche sulla sua formazione di medico e su quello che si sarebbe tentati di definire come una sorta di psicotecnica delle vocazioni (anche) laicali. Nel prendere congedo dalla Gioventù maschile rivendicò il ruolo formativo di un’organizzazione interclassista di «quegli elementi socialmente diversi, la Gioventù Cattolica li rese spiritualmente complementari»60 e soprattutto la centralità di percorsi che passavano attraverso l’esempio e le dinamiche orizzontali del gruppo dei pari: «l’insegnamento che viene impartito è assimilato, ma ciò che più importa e più forma è l’esempio dei compagni»61, che aveva il suo culmine in brevi corsi residenziali di alcuni giorni.
«Chi vuol conoscere il volto autentico della Gioventù di Azione Cattolica, non deve rivolgersi alle Assemblee dove le preoccupazioni organizzative e procedurali conferiscono una serietà di circostanza, ma a questi episodi di vita collettiva dove si prega, si studia, si mangia e si dorme assieme»62.
Tipico esempio di come si venne a costituire una vera e propria pedagogia dell’Azione cattolica è il libro di Giuseppe Nebiolo63, che si autodefinisce ‘libro di testo ufficiale’ per la formazione dei delegati diocesani juniores, cioè i giovani di Azione cattolica di età compresa fra i 15 e i 20 anni. Il testo costituisce anche un interessante documento per gli storici della psicologia per taluni suoi contenuti ma soprattutto per lo studioso dell’editoria e della cultura diffusa, essendo in larga parte costruito come un’ampia bibliografia ragionata in cui il ricercatore del tempo presente ritrova anche autori che la storiografia ha, se non contrapposto, certo fortemente differenziato – come il Gemelli psicologo e Gesualdo Nosengo64 – ma anche l’indicazione di prime traduzioni italiane di autori come Carnegie65, nati in ambiente protestante statunitense e destinati a diventare dei classici della formazione manageriale. Il tipo di attivismo pedagogico esplicitamente dichiarato era riassunto nel motto ‘non dare la verità già scoperta, ma aiutare a scoprirla’66. Altri interessanti spunti di ricerca interpretativi – più punti di partenza che punti d’arrivo – sono invece offerti da Francesco Piva:
«[…] Carretto lasciò in eredità un modello d’apostolato ambientale che aveva compiuto un indubbio sforzo per avvicinare operai e contadini ai problemi della loro condizione. Fondato sulla separazione tra formazione e conquista, quel modello oscillò tuttavia fra due poli piuttosto divaricati. Da un lato furono elaborati percorsi di formazione individuale costruiti in prevalenza su astrazioni psicopedagogiche, che pretendevano di catalogare esaustivamente la complessità sociale e le reazioni comportamentali, poco valorizzando l’esperienza dei militanti. Ne risentiva inevitabilmente la tanto invocata “spiritualità professionale” che, in assenza di un confronto più personalizzato con la realtà, non andava molto oltre le esortazioni di metodo […]»67.
Il caso Carretto segna l’apogeo del progetto della formazione maschile di massa e l’esplosione delle sue contraddizioni ma mostra fin nelle biografie dei suoi protagonisti come una parziale diaspora cattolica sia stata anche una forma della sua egemonia68. La Gioventù italiana di azione cattolica (Giac) di Carlo Carretto è l’organizzazione in cui si sono almeno in parte formati alcuni dei futuri protagonisti della cultura italiana del secondo dopoguerra, come Umberto Eco e Gianni Vattimo.
Il Vaticano II e la sua ricezione si sono certamente intrecciati con una profonda trasformazione delle modalità della presenza quantitativa e qualitativa della Chiesa e in particolare dell’associazionismo cattolico nella società italiana. Con lo statuto del 196969 si ha la fine della separazione tra organizzazioni maschili e femminili che porta alla creazione del settore giovani e soprattutto dell’Azione cattolica dei ragazzi (Acr)70. Il rinnovamento del progetto educativo di Azione cattolica s’intreccia con il processo di redazione e d’implementazione dei nuovi catechismi, che anticipano il processo che porterà al nuovo catechismo della Chiesa cattolica a livello globale.
Assai noto è il caso della Gioventù femminile e della sua fondatrice, Armida Barelli, su di esso disponiamo anche di sondaggi71, anche se certamente non rappresentativi della quantità e della qualità di documentazione oggi reperibile. Armida Barelli72 testimonia lo sforzo per costruire un’organizzazione omogenea e capillare servendosi di una rete d’occasioni formative articolate e di una stampa periodica differenziata per fasce d’età e condizioni personali. Da rilevare come le prime delegate regionali furono in alcuni casi scelte fra propagandiste nazionali non originarie della regione dove vennero mandate a organizzare la nuova rete associativa, analogamente a quanto avveniva con una parte dei quadri delle organizzazioni politiche socialiste prima e comuniste poi. Da tenere presente come la stessa Barelli dichiari che l’esigenza di fondare una moderna organizzazione femminile cattolica di massa sia nata come risposta alla propaganda socialista73. Maria Sticco sottolinea il ruolo svolto da Francesco Olgiati:
«[…] al suo molto lavoro aggiunse anche questo, e seppe dare al corso l’impostazione sistematica e la severità disciplinare di una vera scuola, con interrogazioni e esercitazioni delle allieve […]. Non era l’istruzione catechistica vecchio metodo della parrocchia e del collegio, erano le verità del cristianesimo messe a riscontro delle teorie avverse, con ampia inquadratura storica; erano non tanto precetti quanto idee, e con le idee argomenti validi da opporre alle idee demolitrici degli anticattolici»74.
Ricordando come già dal 24 giugno al 2 luglio 1919 si fosse tenuta la prima ‘settimana di studio e organizzazione’ finalizzata alla formazione prime delegate regionali della Gioventù femminile75, monsignor Olgiati76 dedicava specifiche e ampie trattazioni a La scuola di formazione e di propaganda e a I corsi di conferenze per le propagandiste, interventi con cui si proponeva un modello ideale di giovane italiana:
«Questo nostro Paese, ricco nella sua storia di pagine immortali, oggi all’inizio di un’epoca nuova ha bisogno di italiane vere, che dal Cristianesimo attingano, come da pura sorgente, l’affetto al suolo natale, unendo così nella loro vita un patriottismo fattivo, e non mendace, all’ardore di quella fede che è sempre stata la gloria e la salvezza dell’Italia»77.
E definiti i contorni della figura della propagandista cattolica rispetto ad altre figure femminili, aggiungeva:
«[…] la propagandista della GGCI non è una oratrice che si imbroglia, perde il filo del discorso e fa brutte figure; non è una professoressa che parla una lingua pura e perfetta, secondo tutte le regole del vocabolario della Crusca o della farina; non è una ripetitrice d’una lezione studiata a memoria, e ricantata come una nenia; non è una raccoglitrice di applausi e di complimenti»78.
Altrettanto mirata avrebbe dovuto essere, dunque, la sua formazione:
«La scuola delle propagandiste non deve essere concepita come una fabbrica di conferenze, ma come una formazione intellettuale nel vero e pieno senso della parola. Più che la trattazione esauriente di un argomento, essa fornisce un metodo di studio. Insegna a studiare, a pensare, a riflettere»79.
Il testo recava in appendice una bibliografia di ben ventisei pagine curata da Adriano Bernareggi, futuro vescovo di Bergamo. Giorgio Rumi ha messo in luce come fosse previsto un itinerario formativo composto dalla sequenza corso di formazione spirituale, corso di organizzazione, corso sulla questione sociale80. Oltre a ciò egli ha poi sottolineato come:
«la cultura religiosa dev’essere sottratta ai pochi fruitori d’uso, e aperta ai laici, alle donne e soprattutto alle giovani. Finisce la “ripetizione meccanica di formule” a pro di una “conoscenza cosciente sempre più profonda” […]. Il gradualismo permette e anzi giustifica la costituzione di “gruppi di élite”, di maggiore e migliore preparazione, cui spettano proporzionate responsabilità all’interno di questo mezzo milione di socie raggiunte negli anni Trenta, e all’esterno, sull’insieme della società italiana»81.
Anche in relazione alla molteplicità dei ruoli della Barelli non deve essere trascurato lo stretto legame sussistente tra la Gioventù femminile e l’Università cattolica. Ricordando le origini, la sorella maggiore affermava:
«[…] bisognava dare a tutte le giovani che entravano nella G[ioventù] F[emminile], una formazione omogenea, bisognava formare una grande, bella famiglia spirituale nella quale tutte si sentissero sorelle, bisognava formare in tutte la mentalità cristiana, le idee, il carattere, la volontà, la coscienza cristiana»82.
La storia della Gioventù femminile, come e più di quella del movimento cattolico nel suo complesso, è anche la storia della costruzione di una memoria attenta alla sua documentazione e alla celebrazione del suo passato. Per questo non è solo aneddotica la circostanza che la prima socia degli ‘angioletti’ fosse Rosa Jervolino, figlia del presidente della Gioventù maschile, Angelo Raffaele Jervolino, e della presidente delle Universitarie cattoliche Maria De Unterrichter, entrambi membri dell’Assemblea costituente. Condivisibile appare la conclusione del già citato saggio di Rumi:
«Lo stato maggiore di donne preparato dalla Barelli è così destinato, col trascorrere del tempo, a guidare l’intero associazionismo femminile, assumendo nel paese, di fatto, un ampio controllo della scuola, un’influenza senza pari nelle famiglie e nell’educazione delle giovani generazioni»83.
Già Michela Di Cori e Paola De Giorgio hanno messo bene in evidenza, in uno loro pioneristico studio dato alle stampe nel 1980, come tale progetto educativo fosse realmente onnicomprensivo84. Si tratta, a ben guardare, di una pista di ricerca che ancora attende non pochi approfondimenti.
La Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci) degli anni Trenta, rappresentata in modo emblematico dalle figure di Giovanni Battista Montini e di Igino Righetti, è stata un luogo di formazione di una parte significativa della classe politica del secondo dopoguerra. Fra tutti basti ricordare i nomi di Aldo Moro e di Giulio Andreotti. Lo stesso si può dire per il Movimento laureati. In entrambi i casi la storiografia esistente85 si è molto concentrata sull’analisi dei gruppi dirigenti, piuttosto che avviare una prosopografia collettiva, per cui, per esempio, non sarebbe difficile dire quanti parlamentari siano passati per l’esperienza fucina – ancor oggi tre dei cinque presidenti della Fuci degli anni Ottanta siedono in Parlamento – mentre impresa ben più ardua sarebbe cercare di determinare, per esempio, il numero dei presidi di liceo passati dapprima per la Fuci quindi dall’Unione cattolica italiana insegnanti medi (Uciim). Analogamente, rimane ancora da scrivere la prosopografia delle élites non solo politiche ma anche professionali e burocratiche formatesi nell’Università cattolica, che vanno ben al di là dei confini del movimento cattolico o anche del generico mondo cattolico. Basti pensare, a questo proposito, a personalità come Nilde Jotti e Irene Pivetti. Strettamente intrecciata con la vicenda fucina, anche se ben più ampia e complessa, è poi la questione inerente la formazione di Giovanni Battista Montini, successivamente papa con il nome di Paolo VI86. Il percorso compiuto da personalità come Giuseppe Lazzati87 lascia trasparire la circolarità pedagogica dell’Azione cattolica nella sua epoca di massima fioritura. La sua biografia è scandita dalla partecipazione ai momenti di formazione rivolti ai quadri periferici di Ac – di cui più avanti egli stesso diventerà organizzatore e docente – in relazione all’intreccio tra formazione dei quadri dell’organizzazione di massa e formazione dell’élite politica (Assemblea costituente) ed accademico culturale (Università Cattolica). Non a caso, sotto il suo rettorato conosceranno particolare sviluppo i corsi di aggiornamento, con cui l’Università Cattolica si proietta verso l’esterno in una formazione permanente particolarmente qualificata, ed anche associazioni (Città dell’uomo) in cui l’intenzionalità formativa è momento caratterizzante. In relazione alla stagione del Vaticano II deve essere così ricordato come anche riviste quale per esempio «Testimonianze» abbiano contribuito a educare un’intera generazione di cattolici. Rimane tuttavia aperta la questione se ci si trovi davanti a un caso di egemonia del cattolicesimo sulla sinistra politica o viceversa88. Un’ulteriore questione – alla quale possiamo solo accennare in questa sede – è se e come anche il partito dei cattolici sia stato un partito educatore89.
La formazione di quadri politici è sempre stata una delle principali finalità delle organizzazioni del movimento cattolico, anche se tale ruolo è stato in genere un fenomeno oggettivo, seppur non inconsapevole, e per così dire incorporato in progetti educativi ben più ampi. La fioritura di una serie di iniziative di formazione politica era sintomo della crisi della Democrazia cristiana e insieme un tentativo di stimolarne il rinnovamento90. Non a caso, fra le guest star di tali iniziative si annoveravano sia protagonisti dell’esperienza degli esterni eletti nelle liste della Democrazia cristiana (Pietro Scoppola) sia esponenti dell’ultima stagione degli indipendenti di sinistra (Paola Gaiotti). La scelta religiosa dell’Azione cattolica fu insieme causa ed effetto della fine del collateralismo tra mondo cattolico – che assicurava una formazione di base – e partito cristiano – che in qualche modo garantiva una rappresentanza. In alcuni casi, direttamente in quello di Palermo con l’Istituto Pedro Arrupe, e indirettamente in quello di Genova91, significativo è stato il ruolo dei Gesuiti e in particolare di figure di religiosi noti anche al grande pubblico come Ennio Pintacuda. Gli anni cruciali di tale esperienza, anche alla luce del saggio di Gino Mazzoli92, possono essere considerati quelli tra il 1986 e il 1992, che coincidono del resto con quelli della crisi terminale della cosiddetta prima repubblica e della Democrazia cristiana, che ne era il perno.
L’esperienza dell’associazione «La rosa bianca»93 si allaccia a sua volta con quella di cenacoli dossettiani e con taluni aspetti di biografie di lungo periodo, come quella di Giuseppe Lazzati, promotore dell’associazione «Città dell’uomo». Nella biografia di molti s’intreccia con esperienze politiche come quella de La Rete di Leoluca Orlando nella sua fase di massima espansione anche extrasiciliana (per esempio Laura Rozza) a riviste come «Il margine» e alla Lega democratica e a sue proiezioni come «Appunti di cultura e di politica», che a essa sono sopravvissute94.
Anche in relazione al contesto, Comunione e liberazione è un oggetto storiografico in fieri, sul quale peraltro già esiste una significativa letteratura di taglio sociologico95 e testi di memoria istituzionale96, oltre che una varia pubblicistica coeva97, che dovranno essere adeguatamente utilizzati dallo storico futuro. Comunione e liberazione e la sua galassia sono indubbiamente fenomeni educativi di rilievo, la cui importanza e originalità sono un fatto non solo pratico e quantitativo. Ricercare l’originalità teorica di Giussani rispetto alla pastorale ambientale dell’Azione cattolica degli anni Cinquanta-Sessanta è impresa non inutile ma nel complesso deludente, analogamente a quanto si può fare rispetto all’esperienza di don Giovanni Bosco. Tale questione era già stata evidenziata da Antonio Gramsci ma letta, a torto, come un elemento di debolezza da parte di una cultura – quella a cui anche Gramsci apparteneva – che considera l’originalità e la discontinuità come un valore. L’esperienza di Giussani come insegnante di religione è ormai parte del mito di fondazione del movimento e delle istituzioni che esso tende a generare, mentre difficilmente si potrebbe parlare di movimento per realtà ecclesiali come la Fraternità sacerdotale dei missionari di S. Carlo Borromeo o i Memores Domini o esperienze politiche come il caso di Roberto Formigoni alla presidenza della Regione Lombardia. Tale esperienza viene narrata in forte discontinuità rispetto all’Azione cattolica, di cui peraltro faceva in origine parte, e al resto dell’esperienza dell’insegnamento della religione cattolica, di cui si sottintendono i risvolti istituzionali, così come marginali se non assenti sono i riferimenti al Vaticano II98. In testi come quelli di Giussani99, che qualche interprete assai benevolo100 fa assurgere al ruolo di ‘classici’, l’oggetto degli strali polemici è la scuola laica o neutrale, quale poteva essere proposta dai professori di filosofia più in vista del liceo Giovanni Berchet di Milano negli anni Cinquanta. Il movimento usa spesso la parola ‘scuola’ per la propria catechesi interna, e studiosi come Favale101 ne hanno sottolineato le dimensioni educative. L’insistita esigenza dell’unità dell’educazione riprende, pur senza citarlo, un tema rosminiano e maritainiano, ma i riferimenti alla cultura e alla società contemporanea appaiono (volutamente) generici e negativi. Il meeting è noto al grande pubblico come appuntamento politico di fine estate e certamente è nato anche in contrapposizione alle Feste dell’unità comuniste. Il meeting è anche un evento di marketing, cosa di cui gli organizzatori sembrano essere pienamente consapevoli102. Dal punto di vista economico-politico si potrebbe quasi dire che esso è la vetrina di una holding di servizi del terziario, largamente basata sul franchising di unità medio-piccole, le cui caratteristiche sono strettamente correlate a decisioni politiche sulle modalità di gestione del welfare. Si tratta di uno dei momenti di massima visibilità mediatica di un pezzo di mondo cattolico, ma è pur vero che sarebbe parziale e improprio ridurlo alla storia dei rapporti tra Comunione e liberazione e la politica103. Come ogni tentativo egemonico è luogo di (tentata) reciproca strumentalizzazione. Analogamente a quanto avveniva nelle feste comuniste, visitare il meeting è esperienza di pellegrinaggio, sempre in bilico tra devozione e turismo, e, per una minoranza qualificata, di un volontariato in cui le distinzioni fra religione e politica, società e religione, Stato e mercato, partecipazione e passività appaiono categorie inadeguate ma necessarie per l’analisi scientifica.
È fenomeno molto recente la ripresa di un’attenzione specifica del magistero – anzitutto pontificio, quindi episcopale – per l’educazione all’insegna della constatazione allarmata dell’esistenza di una vera e propria emergenza educativa e, ancor più recentemente, di una sfida educativa. Sebbene gli spunti offerti dal magistero papale siano stati occasionali, e poco sviluppati, essi hanno immediatamente sortito un’ampia eco nella pubblica opinione e nei media, seppur con sottolineature diverse104. Dal punto di vista mediatico, il discorso sull’emergenza educativa s’intreccia con quelli, più generali, concernenti la crisi di senso e di efficacia performativa del sistema scolastico e la condizione giovanile.
Note
1 Per una bibliografia di riferimento sul tema si vedano: F. Olgiati, Primi lineamenti di pedagogia cristiana, Milano 1923; Le settimane sociali dei cattolici italiani (1907-1991), a cura di G. Di Capua, Roma 1991; Conferenza episcopale italiana, La presenza della scuola cattolica in Italia, Atti del I Convegno Nazionale (Roma 1991), Brescia 1992; G. Chiosso, Libertà e popolarità nell’esperienza storica della scuola cattolica, ibidem, pp. 69-112; A. Gaudio, Istanze educative nel cattolicesimo toscano dal secondo dopoguerra ad oggi. Tra tradizione e dissenso in La Toscana e l’educazione. Dal Settecento a oggi: un laboratorio nazionale, a cura di F. Cambi, Firenze 1998, pp. 465-479; Chiesa e scuola. Percorsi di storia dell’educazione tra XII e XX secolo, a cura di M. Sangalli, Siena 2000; G. Verucci, Idealisti all’Indice. Croce, Gentile e la condanna del Sant’Uffizio, Roma-Bari 2006; Dieci anni di ricerche (1998-2008). Scuola cattolica in Italia, a cura di G. Malizia, S. Cicatelli, Brescia 2008.
2 Cfr. G. Talamo, La scuola dalla legge Casati all’inchiesta del 1864, Milano 1960, pp. 23-30; G. Bonetta, Istruzione e società nella Sicilia dell’Ottocento, Palermo 1981, pp. 73-94; A. Gaudio, Educazione e scuola nella Toscana dell’Ottocento, Brescia 2001, pp. 250-280.
3 Sulla quale ha di recente richiamato l’attenzione F. De Giorgi, Le scuole dei religiosi alle soglie dell’Unità. L’inchiesta del 1864, in L’istruzione in Italia tra Sette e Ottocento. Lombardia – Veneto – Umbria, a cura di A. Bianchi, I, Studi, Brescia 2007, pp. 303-320.
4 Ministero dell’Istruzione pubblica, Istruzione primaria e secondaria data da corporazioni religiose. Anno scolastico 1863-64, Firenze 1865.
5 C. Langlois, Le Catholicisme au féminin. Les congrégations françaises à supérieure générale au XIXe siècle, Paris 1984.
6 Cfr. G. Rocca, Donne religiose. Contributo a una storia della condizione femminile in Italia nei secoli XIX-XX, Roma 1992; Gli istituti femminili di educazione e di istruzione (1861-1910), a cura di S. Franchini, P. Puzzuoli, Roma 2005.
7 C. Sagliocco, L’Italia in seminario, Roma 2008.
8 Cfr. G. Bachelet, La scuola italiana da Casati a Gentile, «Rivista trimestrale», 1962, 1, pp. 785-824.
9 L. De Marco, Celestino Zini. Lo straordinario di ogni giorno, Roma 2003.
10 Cfr. M. Casella, Ordini religiosi, scuole e associazioni cattoliche a Roma in una inchiesta governativa del 1895, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1977, 1, pp. 257-300; M.T. Mazzatosta, Educazione e pedagogia cattolica in Roma capitale (1870-1900), Roma 1978.
11 Cfr. Insediamenti e iniziative salesiane dopo Don Bosco. Saggi di storiografia, a cura di F. Motto, Roma 1996; F. Casella, Il Mezzogiorno d’Italia e le istituzioni educative salesiane. Richieste di fondazioni (1879-1922), Roma 2000.
12 Lettere circolari e programmi di insegnamento (1885-1917), a cura di J.M. Prellezo, Roma 2006.
13 Cfr. F. Traniello, La cultura popolare cattolica, in Fare gli italiani, a cura di S. Soldani, G. Turi, Bologna 1993, pp. 429-458.
14 G. Rossi, L’istruzione professionale in Roma capitale. Le scuole professionali dei Salesiani al Castro Pretorio (1883-1930), Roma1996; A. D’Angelo, Educazione cattolica e ceti medi. L’istituto salesiano “Villa Sora” di Frascati (1900-1950), Roma 2000.
15 Cfr. G. Loparco, Le Figlie di Maria Ausiliatrice nella società italiana (1900-1922): percorsi e problemi di ricerca, Roma 2002; P. Cavaglià, Educazione e cultura per la donna: la scuola Nostra Signora delle Grazie di Nizza Monferrato dalle origini alla riforma Gentile: 1878-1923, Roma 1990; M. Rua, Lettere e circolari alle Figlie di Maria ausiliatrice (1880-1910), a cura di P. Cavaglià, A. Costa, Roma 2010.
16 Cfr. A. Gaudio, Per una geografia storica delle scuole cattoliche, in Chiesa, cultura e educazione tra le due guerre, a cura di L. Pazzaglia, Brescia 2003, pp. 359-374; G. Martina, Storia della Compagnia di Gesù in Italia (1814-1983), Brescia 2003.
17 P. Cavaglià, Educazione e cultura per la donna, cit.
18 Cfr. A. Gaudio, Una nuova fondazione scolopica: il Collegio Convitto delle Scuole Pie alla Badia Fiesolana 1876-1915, in Cattolici, educazione e trasformazioni socio-economiche in Italia tra Otto e Novecento, a cura di L. Pazzaglia, Brescia 1999, pp. 401-417; S. Tabboni, Il Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri: un caso di socializzazione della classe dirigente italiana dell’Ottocento, Milano 1983; A. Cardoza, Aristocrats in bourgeois Italy. The Piedmontese nobility (1861-1930), Cambridge 1997, pp. 139-149; M. Santerini, Il “Massimo” nell’epoca fascista, «Studi di storia dell’educazione», 7, 1987, 2-3, pp. 65-86.
19 Cfr. Teseo ’900. Editori scolastico-educativi del primo Novecento, a cura di G. Chiosso, Milano 2008; La Scuola (1904-2004). Catalogo storico, diretto da L. Pazzaglia, Brescia 2004; F. Targhetta, La capitale dell’impero di carta. Editori per la scuola a Torino nella prima metà del Novecento, Torino 2007.
20 M. Galfrè, Una riforma alla prova, Milano 2000.
21 Cfr. G. Sasso, Gentiliana e Cantimoriana, «La Cultura», 2009, 2, pp. 187-246.
22 Cfr., per esempio, A. Gaudio, Scuola, chiesa e fascismo. La scuola cattolica in Italia durante il fascismo, 1922-1943, Brescia, 1995.
23 Cfr. G. Chiosso, Profilo storico della pedagogia cristiana in Italia (XIX e XX secolo), Brescia 2001; A. Gaudio, Scuola, Chiesa e fascismo, cit.; G. Verucci, L’eresia del Novecento, Torino 2010.
24 A. Gaudio, La scuola privata cattolica negli anni del fascismo, in V. Baldelli, G. De Rosa, N. Raponi, et al., Luigia Tincani: la scuola come vocazione, Roma 1998, pp. 87-108.
25 A. Gaudio, Scuola, Chiesa e fascismo, cit.
26 Cfr. Padre Giuseppe Giampietro S.J. e la libertà di educazione in Italia, a cura di R.S. di Pol, Torino 1998.
27 V. Sinistrero, La scuola cattolica diritti e cifre, Torino 1961.
28 Cfr. A. Gaudio, La politica scolastica dei cattolici. 1943 - 1953. Dai programmi all’azione di governo, Brescia 1991; A. Semeraro, Elogio dell’educazione laica: momenti di un dibattito (1945-1955), «Studi storici», 32, 1991, 3, pp. 701-727; R. Sani, “Il Mondo” e la questione scolastica, Brescia 1987.
29 Cfr. D. Gabusi, La svolta democratica nell’istruzione italiana. Luigi Gui e la politica scolastica del centro-sinistra (1962-1968), Brescia 2010.
30 Cfr. A. Gaudio, La politica scolastica dei cattolici, cit.; R. Sani, Le associazioni degli insegnanti cattolici nel secondo dopoguerra (1944-1958), Brescia 1990.
31 Cfr. G. Chiosso, Profilo storico della pedagogia, cit.; G. Tognon, Stato e Chiesa nell’educazione. Il magistero pontificio da Pio IX a Giovanni Paolo II, in L’educazione cristiana negli insegnamenti degli ultimi pontefici, a cura di N. Galli, Milano 1992, pp. 179-217.
32 Conferenza episcopale italiana, La scuola cattolica oggi, in Italia, Bologna 1983.
33 J.m. Hull, Catholic Church Documents On Religious Education, in International handbook of the religious, moral and spiritual dimensions in education, Dordrecht 2006.
34 Centro studi per la scuola cattolica, Scuole cattoliche in difficoltà, Roma 1999; Id., La scuola cattolica in cifre. Riprende la crescita. Anno 2002-2003, Roma 2005.
35 Centro studi per la scuola cattolica, VIII Rapporto: Il ruolo degli insegnanti nella scuola cattolica, Brescia 2006, p. 8.
36 Ibidem, p. 16.
37 G. Brunello, D. Checchi, Buoni scuola made in Italy, in Per un’analisi critica del mercato del lavoro, a cura di L. Brucchi, Bologna 2005, p. 34.
38 Cfr. http://www.faes-scuole.it/ (26 ott. 2010).
39 M. Piseri, Ferrante Aporti. Nella tradizione educativa lombarda ed europea, Brescia 2008.
40 S.S. Macchietti, La scuola infantile tra pedagogia e politica dall’età aportiana ad oggi, Brescia 1985; E. Catarsi, L’asilo e la scuola per l’infanzia, Firenze 1994.
41 F. De Giorgi, Maria Montessori modernista, «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», 15, 2009, 16, pp. 199-216.
42 M. Sborchia, Un educatore apostolo. Fratel Alessandro Eugenio Alessandrini delle Scuole Cristiane, Roma 1963; R.L. Guidi, Fratel Alessandro Alessandrini delle scuole cristiane, «Archivio Storico Italiano», 167, 2009, 4, pp. 625 644.
43 Cfr. D. Gabusi, La svolta democratica nell’istruzione italiana, cit.
44 G. Rocca, Gli istituti religiosi e l’istruzione “professionale”, in L’eredità del beato Lodovico Pavoni, a cura di E. Bandolini, Milano 2009, pp. 91-117.
45 A. Mannucci, Educazione e scuola protestante, Firenze 1989.
46 A. Comba, Valdesi e massoneria. Due minoranze a confronto, Torino 2000.
47 A. Mannucci, S. Guetta Sadun, A scuola non solo i crocifissi. Il contributo all’educazione della stampa periodica ebraica e protestante tra Ottocento e Novecento, in G. Di Bello, S. Guetta Sadun, A. Mannucci, Modelli e progetti educativi nell’Italia liberale, Firenze 1998, pp. 143- 256.
48 Cfr. A. Mannucci, Educazione e scuola, cit.
49 G. Vecchio, Francesco Olgiati e l’Azione Cattolica, in Monsignor Francesco Olgiati nel primo centenario della nascita (1886-1986), Atti del Convegno di studi su Mons. Francesco Olgiati nel primo centenario della nascita (Milano 1986), Milano 1986.
50 A. Barelli, La sorella maggiore racconta, Milano 1948; M. Sticco, Una donna fra due secoli, Milano 1983.
51 F. Olgiati, I nostri giovani e il coniglismo, Milano 1921.
52 G. Vecchio, Francesco Olgiati e l’Azione Cattolica, cit., p. 68.
53 Ibidem, pp. 69-70.
54 F. Olgiati, Le battaglie dei giovani, Milano 1916.
55 E. Preziosi, Il progetto educativo dell’Azione Cattolica negli anni Venti e Trenta. Le “sezioni aspiranti”, «Studium», 85, 1989, 5, pp. 663-689; L. Ferrari, L’azione cattolica in Italia dalle origini al pontificato di Paolo VI, Brescia 1982, pp. 119-127; Id., Modelli di comportamento giovanile nella propaganda dell’Azione Cattolica, in Comune di Milano, Istituto lombardo per la storia del movimento di liberazione in Italia, Cultura e società negli anni del fascismo, Milano 1987, pp. 519-531.
56 Ibidem, pp. 519-531.
57 F. De Giorgi, La formazione del cattolico “militante” (1922-1958), in Formare alle professioni. Diplomatici e politici, a cura di A. Arisi Rota, Milano 2009.
58 Cfr. G. Formigoni, La gioventù cattolica maschile: associazionismo e modelli educativi (1943-1958), in Chiesa e progetto educativo nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1958), Atti del Convegno tenuto a Milano nel 1986, Brescia 1988, p. 240.
59 Cfr. G. Alberigo, Gedda ieri... e anche oggi?, «Cristianesimo nella storia», 31, 2000, 3, p. 687-694; E. Preziosi, A proposito degli archivi di Luigi Gedda (1902-2000), [s.l.] 2006.
60 L. Gedda, Addio gioventù, Roma, 1947, p. 20.
61 Ibidem, p. 26.
62 Ibidem, p. 51.
63 G. Nebiolo, Centro di giovinezza. Libro del delegato juniores, Roma 1947.
64 Laicato cattolico, educazione e scuola in Gesualdo Nosengo. La formazione, l’opera e il messaggio del fondatore dell’UCIIM, a cura di L. Corradini, Leumann 2008.
65 D. Carnegie, L’arte di conquistare gli amici e il dominio sugli altri, a cura di L. Corradini, Milano 1938.
66 Cfr. G. Nebiolo, Centro di giovinezza, cit., p. 109.
67 Cfr. F. Piva, La Gioventù Cattolica in cammino. Memoria e storia del gruppo dirigente (1946-1954), Milano 2003, p. 306.
68 F. Piva, La Gioventù Cattolica, cit.; G. Poggi, Il clero di riserva. Studio sociologico sull’Azione Cattolica Italiana durante la presidenza Gedda, Milano 1963.
69 M. Casella, L’Azione Cattolica nell’Italia contemporanea (1919-1969), Roma 1992, pp. 563-587.
70 E. Preziosi, Obbedienti in piedi. La vicenda dell’Azione Cattolica, Italiana, Torino 1996.
71 C. Luccioli, Armida Barelli e le universitarie cattoliche negli anni Venti, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2003, 2, pp. 217-234; G. Lazzati, A. Monticone, M. Poma, et. al, Armida Borelli nella società italiana, Milano 1983; M. Bocci, Una ‘distrazione’storiografica significativa: il caso di Armida Barelli, «Annali di storia moderna e contemporanea», 9, 2003, pp. 429-443.
72 A. Barelli, La sorella maggiore, cit.
73 A. Barelli, La sorella maggiore, cit., p. 5.
74 M. Sticco, Una donna fra due secoli, cit., p. 100.
75 Ibidem, p. 150.
76 F. Olgiati, I nuovi orizzonti della gioventù femminile, Milano 1919.
77 Ibidem, p. 15.
78 Ibidem, p. 53.
79 Ibidem, p. 73.
80 G. Rumi, Dalle carte di Armida Barelli. L’immensa opera di una donna ambrosiana, in Armida Barelli nella società italiana, Milano 1983, pp. 36-37.
81 Ibidem, p. 26.
82 A. Barelli, La sorella maggiore, cit., p. 117.
83 G. Rumi, Dalle carte di Armida Barelli, cit., p. 38.
84 M. De Giorgio, P. Di Cori, Politica e sentimenti: le organizzazioni femminili cattoliche dall’età giolittiana al fascismo, «Rivista di storia contemporanea», 9, 1980, 3, pp. 337-371.
85 R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), Bologna 1979.
86 M. Marcocchi, N. Galli, L. Pazzaglia, et al., Educazione, intellettuali e società in Giovanni Battista Montini-Paolo VI, Brescia-Roma 1992; G. Montini – G. B. Montini. Affetti familiari spiritualità e politica. Carteggio 1900-1942, a cura di L. Pazzaglia, Brescia-Roma 2009.
87 M. Malpensa, A. Parola, Lazzati. Una sentinella nella notte (1909-1986), Bologna 2005.
88 D. Saresella, Dal Concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968), Brescia 2005.
89 G. Formigoni, Associazionismo, partito ed educazione alla democrazia nel mondo cattolico organizzato, «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni educative», 2001, 8, pp. 43-55.
90 B. Sorge, La ricomposizione dell’area cattolica in Italia, Roma 1979.
91 F. Lombardi, I Gesuiti e le scuole di formazione politica, «Aggiornamenti sociali», 38, 1988, 12, pp. 807-814.
92 G. Mazzoli, Le scuole di formazione politica: bilancio di un decennio e prospettive, «Aggiornamenti sociali», 1997, 1, pp. 13-30.
93 Cfr. http://www.rosabianca.org (26 ott. 2010).
94 Testimonianza di quella stagione sono lavori come Capire la politica, 2 voll., Bologna 1993-1994: I, Un’esperienza e un metodo, a cura di G. Mazzoli, A. Morlini; II, Lezioni, a cura di G. Mazzoli; F. Casavola, A. Monticone, et al., Pensare politicamente. Linee di una ipotesi educativa, Atti del Convegno (Milano 1988), Brescia 1998.
95 S. Abbruzzese, Comunione e liberazione, Bologna 2001.
96 Cfr. M. Camisasca, Comunione e liberazione: le origini 1954-1968, Cinisello Balsamo 2001; Id., La ripresa (1969-1976), Cinisello Balsamo 2003.
97 Gli estremisti di centro: il neo-integralismo cattolico degli anni ‘70: Comunione e liberazione, a cura di S. Bianchi, A. Turchini, Rimini-Firenze 1975.
98 Cfr. G. Verucci, La Chiesa postconciliare, in Storia dell’Italia repubblicana, progetto e direzione di F. Barbagallo, G. Barone, G. Bruno, 3 voll., Torino 1994-1997: II, 2, N. Tranfaglia, A. Pizzorusso, L. Musella, et al., La trasformazione dell’Italia sviluppo e squilibri, Istituzioni, movimenti, culture, pp. 297-382, in partic. pp. 340, 346.
99 L. Giussani, Il rischio educativo, Milano 2005.
100 Sperare nell’uomo. Giussani, Morin, MacIntyre e la questione educativa, a cura di G. Chiosso, Torino 2009.
101 A. Favale, Movimenti ecclesiali contemporanei. Dimensioni storiche teologico-spirituali e apostoliche, Roma 1991.
102 Cfr. http://www.meetingrimini.org/default.asp?id=182 (26 ott. 2010).
103 G. Crainz, Autobiografia di una repubblica: le radici dell’Italia attuale, Roma 2009, p. 132.
104 La sfida educativa, a cura del Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana, Roma-Bari 2009; F. Miano, Chi ama educa, Roma 2010.