SCUDO (scutum, σκύτος; cfr. sanscr. sku "coprire"; per altre denominazioni v. sotto)
L'uso dello s., non documentato fino a tutto il neo-eneolitico, è attestato a partire dall'Età del Bronzo, sia da esemplari conservati, sia da monumenti figurati. Non sembra che alla preistoria mediterranea occidentale appartenga il "bastone-s." arma insieme difensiva e d'urto, propria dei cicli culturali "primitivi" contemporanei.
Oriente antico. - In Egitto sono attestati varî tipi di s.: ve ne sono di rettangolari, terminanti superiormente a ogiva, oppure oblunghi o a ferro di cavallo. Erano di legno coperti di cuoio e dipinti con motivi ornamentali geometrici, figure e geroglifici. Presso i Sumeri, in Mesopotamia, grandi s. rettangolari, con borchie all'esterno, si vedono nella raffigurazione della falange sulla stele di Eannatum, ma lo s. resta poco diffuso. Esso è invece largamente impiegato dagli eserciti assiri, come rivelano sia alcuni esemplari bronzei, di forma rotonda, rinvenuti a Nimrud, sia specialmente le raffigurazioni dei rilievi. Il tipo forse più diffuso è quello dello s. rotondo ad ampia sezione conica, con umbone centrale; altri s. hanno invece una forma rettangolare, incurvati sui lati lunghi e arrotondati superiormente. Durante gli assedî si usavano anche specie di grandi scudi, fatti di vimini intrecciati, che venivano poggiati a terra e sostenuti da un soldato per riparare gli arcieri; erano incurvati superiormente per meglio riparare la testa. Presso le popolazioni siro-anatoliche erano largamente diffusi piccoli s. rotondi, portati anche da cavalieri; su un rilievo assiro (da Khorsābād) si vede un tempio urarteo di Musasir con scudi rotondi, di varie dimensioni, appesi sulla facciata. Presso le popolazioni siriane settentrionali dell'inizio del I millennio a. C. è attestato anche lo s. bilobato. Questi scudi erano di solito costruiti in cuoio e rinforzati con borchie e cerchioni di bronzo. Grandi scudi sono testimoniati indirettamente dal fatto che il filisteo Golia appare, nel noto episodio biblico, accompagnato da un portatore di scudo. Nella Persia achemènide sono noti grandi s. rotondi, fortemente convessi, portati da soldati sciti.
Egeo e Grecia. - Lo s. compare nei paesi dell'Egeo fin dall'età minoico-micenea. Grandi s. sono rappresentati in un vaso di steatite di Haghìa Triada certamente fatti di pelli bovine distese. Nel pugnale ageminato da Micene, del XVI sec. a. C., con caccia al leone, vediamo sia lo s. grande bilobato con spina centrale, che compare anche in anelli incisi, in gemme e avorî (oltre che come motivo decorativo in pitture parietali di Cnosso e di Tirinto), sia lo s. semicilindrico con il lato superiore curvo, che è raffigurato anche in un vaso conico argenteo con scena guerresca da Micene. Ambedue si portavano con l'aiuto di una cinghia a tracolla per alleggerirne il peso e facilitame la manovra. La superficie esterna appare decorata a macchie o a campi plurilobati; sono sempre rappresentate le cerchiature di rinforzo lungo i bordi e la spina centrale rilevata come umbone. Nella ceramica dipinta del Tardo Miceneo compaiono lo s. a pelta, come nel Vaso dei Guerrieri di Micene, e anche lo s. piccolo rotondo. Il grande s. bilobato minoico-miceneo corrisponde alla descrizione di quello omerico. Nei poemi omerici lo s. è generalmente indicato col nome di ἀσπίς. Gli s. omerici erano di pelle bovina a più strati, ricoperti e rinforzati da metallo. Gli strati erano tenuti insieme da borchie metalliche, le cui capocchie (ὀμϕαλοί) sporgevano dal lato esterno. Dalla borchia centrale più grande (ὀμϕαλός per eccellenza) deriva il caratteristico rigonfiamento che aveva funzione difensiva e anche offensiva quando lo s. era usato come arma d'urto. L'insieme degli ὀμϕαλοί, nella sua stretta funzionalità, è già di per sé un'embrionale decorazione e la prominenza centrale tendeva a distribuire gli elementi periferici in stretta connessione con la forma dell'oggetto. Le dimensioni dello s. omerico sono sempre grandi (quello di Aiace [Il., vii, 209] è paragonato ad una torre); esso proteggeva l'intera persona. Si sosteneva mediante una correggia passata attorno al collo e si manovrava per mezzo di maniglie fissate lungo l'orlo. Il grande s. circolare è certamente d'origine asiatica. Il testo omerico parla di provenienza fenicia per gli esemplari metallici decorati. La decorazione è cosa di per sé ovvia, specie perché allora e poi le decorazioni potevano avere valore apotropaico o aspetto terrificante. Lo s. di Agamennone aveva al centro una testa gorgonica che riunisce in sé entrambi i caratteri; a meno che non si tratti in questo caso di attribuzione a tempi antichi di un uso piu recente. Per lo s. di Agamennone si parla anche di cerchi concentrici che dovevano servire di rinforzo. In relazione con ciò è certamente la decorazione distribuita su corone concentriche dei primi s. conosciuti e tale doveva essere anche la complicata ornamentazione dello s. di Achille; certo la decorazione concentrica ha origine funzionale, come conseguenza della struttura dell'arma; l'insieme è da connettersi con un gusto propenso a scomporre le superfici in zone geometricamente definite e logiche. La descrizione omerica dello s. di Achille si può riferire all'arte orientalizzante. Sviluppo di questo motivo è lo s. del museo di Ancona, di cui resta in parte il rivestimento in lamina di bronzo sbalzato già applicato su cuoio (Stucchi).
In età storica lo s. diminuisce di proporzioni, si abbandona del tutto il tipo rettangolare e si sviluppa quello circolare, l'ἀσπίς per eccellenza, più pratico nell'uso, perché ben equilibrato nel peso rispetto alla presa centrale e forse più confacente al gusto per la sua forma. Tuttavia nella ceramica di stile geometrico compare ancora lo s. oblungo, con i lati inflessi, il cosiddetto s. beotico, che presenta analogie con lo s. bilobato usato dalle genti micenee. Su una terracotta beotica entrambi i tipi sono rappresentati. Così s. beotico e s. circolare si alternano nelle figurazioni ceramiche. Comune ad entrambi è la forte convessità. Nelle scene di combattimento sui vasi dipinti abbiamo una documentazione vastissima della decorazione e della policromia, che in ogni caso doveva essere vivace. Scompare la decorazione concentrica, il campo circolare è visto come una superficie unitaria e l'abilità e il senso decorativo si manifestano nell'adattarvi in varî modi elementi geometrici o figurati. Così mentre già nella ceramica protocorinzia si hanno figure intere (animali, maschere) che occupano tutto il campo (v. tav. a colori), nei sarcofagi di Clazomene compare il motivo a girandola. Nella ceramica a figure nere del VI sec. a. C. vediamo anche scene figurate, generalmente leoni che azzannano tori o cervi, di evidente significato. Frequenti le maschere gorgoniche o sileniche, dipinte o a rilievo (s. di Achille nell'anfora vaticana di Exekias). La maschera a rilievo è indubbiamente una trasformazione plastica dell'ὀμϕαλός primitivo. Tali maschere, come le scene figurate, non occupano tutto il campo, ma sono sempre isolate e l'orlo dello s. è generalmente di colore diverso dal campo. Anche il lato interno dello s. è decorato a motivi geometrici. La decorazione esterna, ἐπίσημον, oltre ad assolvere una funzione meramente decorativa o apotropaica - terrificante, può diventare col tempo quasi l'impresa personale del possessore dello scudo. In tal caso si deve pensare suggerita dal committente all'armaiolo: lo s. di Alcibiade recava la figura di Eros. L'epìsemon figurato poteva essere sostituito da un motto (ἀγαϑῇ τύχῃ nello s. di Demostene). In un'anfora panatenaica lo s. di Atena reca il gruppo dei Tirannicidi (v. vol. i, fig. 854). Gli s. comuni delle truppe potevano avere simboli unificati: la civetta per gli Ateniesi, la Sfinge per i Tebani, un Σ (sigma) per i Sicioni, ecc. Dal principio del V sec. la decorazione interna si fa più ricca e ai motivi semplicemente ornamentali si aggiungono più tardi composizioni figurate (episodio di Bellerofonte nella stele di Rinchon). Ma già di questo uso vi era stata un'applicazione monumentale, nella statua di Atena Parthènos fidiaca. Dagli episema figurati trae origine anche la decorazione esterna dello s. della Atena Parthènos, dove una vasta amazzonomachia si svolge attorno al gorgonèion centrale. Ma è difficile che ciò potesse trovare riscontro nelle armi d'uso pratico. La scena figurata e il valore allegorico che ormai si attribuiva all'amazzonomachia dagli Ateniesi (vittoria sui barbari) sono piuttosto da mettersi in rapporto col rito antichissimo di consacrare gli s. tolti ai nemici come parte del bottino ed ex voto nei templi, sostituendo poi col tempo agli s. veri e proprî altri di materia preziosa e forniti di iscrizioni commemorative. Dalle iscrizioni commemorative è facile intuire il passaggio a figurazioni comunque connesse a fatti storici. Nel caso speciale dello s. della Atena Parthènos, che conosciamo attraverso la copia Strangford, la distribuzione circolare della scena figurata attorno ad un gorgonèion richiama le decorazioni concentriche dell'alto arcaismo, ma con una sintassi serrata di cui già gli antichi avvertirono l'inscindibile concatenazione compositiva (v. fidia). Una derivazione da questo prototipo è lo s. votivo della battaglia di Arbela nel rilievo di Laurentum; ma qui non si ha più la subordinazione ad un elemento centrale, tutto il campo essendo liberamente utilizzato per la scena.
Nell'ellenismo la tipologia dello s. continua quella dei tempi classici, ma con una maggiore ricchezza, che sappiamo ricercata specialmente da Alessandro (Svet., Caes., 68) e comprovata dalle prede di guerra prese dai Romani nella lotta contro i sovrani orientali. Una vasta esemplificazione di s. ellenistici si trova nei rilievi con panoplie, fra cui i più importanti dal punto di vista qualitativo sono di arte pergamena.
Europa centrale e settentrionale. - Nella prima Età del Bronzo lo s. non è documentato direttamente, ma si deve ritenere che fosse già in uso. Nell'Età del Bronzo recente lo s. è di forma circolare costruito in legno, graticcio, cuoio, rinforzato di metallo e fornito di umbone (II periodo di Haistatt: Svizzera, Savoia, Isole Britanniche e Scandinavia). La decorazione a cerchi concentrici, oltre che a comuni motivi di origine funzionale, ha fatto pensare ad influsso mediterraneo trasmesso attraverso l'Italia settentrionale, ma è implicita nello stesso comune rapporto fra funzione e decorazione, attesa la generale stretta funzionalità della decorazione pre e protostorica continentale. La cultura centro-europea e celtica di La Tène ha invece il caratteristico grande s. oblungo di legno, con umbone allungato e margine di ferro quasi piatto, disadorno o decorato, specialmente nel N (Isole Britanniche) con tipici ornati curvilinei. Questi s. celtici entrano anche nelle arti figurative dei paesi classici nelle rappresentazioni di celtomachie e nei trofei.
Italia antica. - Vi è generalmente diffuso lo s. rotondo; il tipo però dello s. italico, influenzato sia dall'Etruria che dalla Magna Grecia, è documentato in genere solo da date abbastanza recenti. Lo s. etrusco è sempre circolare. Gli esempî migliori risalgono al periodo orientalizzante e sono rivestiti di lamina bronzea; hanno decorazioni a sbalzo geometriche o ad elementi vegetali e animali, trecce, ecc. disposte in corone concentriche attorno all'umbone centrale (esemplari di Tarquinia, Preneste, Cerveteri, Marsiliana d'Albegna). Uno s. tarquiniese con rivestimento di lamina bronzea anche all'interno fa pensare che non si tratti di oggetti di uso pratico. Si conoscono pure umboni isolati. Eccezionalmente si ha lo s. bilobato (laminette orvietane, carro di Monteleone), decorato di maschere gorgoniche e protomi ferme. In questo caso si può pensare ad influssi diretti di fonti iconografiche greche. Nelle rappresentazioni posteriori lo a. etrusco è sempre circolare, con decorazione geometrica (stelle di cerchi, girandole) di rado figurata. L'epìsemon non è un motivo d'obbligo presso gli Etruschi. Più spesso è decorato l'orlo.
Nell'ambiente italico è degno di particolare rilievo lo s. del Guerriero di Capestrano una variante del clipeus pinnatus conosciuto già attraverso ceramiche a figure nere greche ed etrusche, collocato sul capo come segno di devotio del defunto agli dèi infernali. Questo s. ha grande umbone emisferico e nel lato interno presenta varî cerchi concentrici.
Roma. - Lo s. originario dell'esercito romano sembra esser stato quello circolare (clipeus o clipeum) a cui si accompagna presto, per sostituirlo poi del tutto presso la fanteria pesante, lo scutum, rettangolare o comunque allungato di origine sannitica, fatto di tavole con rivestimento di cuoio. Lo s. circolare di ridotte dimensioni (parma, πάρμη) resta alla cavalleria e alle truppe leggere col diametro di circa 3 piedi e nucleo di ferro. Lo scutum nella forma in cui lo vediamo presso la coppia di soldati sull'ara di Domizio Enobarbo ha umbone allungato e richiama il grande s. celtico. L'eclettismo praticistico dei Romani ha del resto spesso perfezionato l'armamento approfittando di esperienze diverse.
Carattere sacro aveva l'ancile dei Salii (ἀγκύλιον), che si diceva fosse caduto dal cielo e che si portava in processione con altri uguali eseguiti ad imitazione di esso. Di tipo arcaico oblungo, arieggiava quello bilobato miceneo, noto da rilievi e gemme.
In età imperiale lo scutum ha forma di rettangolo curvato quasi a semicilindro. Così esso appare di frequente nei rilievi della Colonna Traiana. Qui come nell'arco di Orange è amplissima la documentazione degli scudi. Frequenti quelli di forma esagona allungata con umbone rilevato e decorazione radiata. Gli scuta recavano spesso all'esterno ornati e decorazioni: fulmini, ghirlande, aquile, corone, mezzelune, ecc.; per i gregari, in generale, l'insegna della legione. Tali armi erano di legno coperto di cuoio, con umbone riportato in metallo. Molto varia la tipologia degli s. dei gladiatori, spesso larghi e curvi, con decorazioni assai cariche. Nell'Inghilterra nord-orientale (alveo del Tyne) è stata ritrovata una piastra di bronzo ageminata in argento, con umbone centrale emisferico, recante un'aquila ad ali aperte e attorno figurazioni varie e due iscrizioni con il nome del possessore e l'indicazione del corpo militare cui egli apparteneva. Un piccolo s. rotondo fatto di legno e vimini e coperto di cuoio, detto cetra, fu in uso in Spagna, Africa, Inghilterra. I clipei delle truppe ausiliarie e leggere e della cavalleria sono talora di forma ovale, con umbone centrale, attorno cui si dispongono variamente motivi ornamentali (volute, stelle, vegetali, ecc.). Nel tardo Impero lo s. rettangolare è scomparso, sostituito da quello ovale (rilievi dell'Arco di Costantino, base della Colonna di Teodosio). Ovale e convesso è lo s. squamato di Stilicone nel dittico di Monza; da un lato esso reca un medaglione a rilievo con due ritratti con ogni verosimiglianza della coppia regnante. Di forma analoga è anche lo s. retto da un dignitario del seguito di Giustiniano nel mosaico in S. Vitale a Ravenna. Tale S. reca il monogramma di Cristo e riproduce certamente un originale in oro e pietre preziose. Contemporaneamente presso le genti germaniche e slave era in uso lo s. in legno con il grande e prominente umbone di ferro utilizzato anche, di conseguenza, come arma d'urto. Umbone ed altri elementi metallici potevano essere decorati in esemplari da parata.
Bibl.: M. Greger, Schildformen und Schildschmuck bei den Griechen, Ebersolt 1908; W. Helbig, Das Homerische Epos, Lipsia 1884, p. 311 ss.; L. Weniger, Der Schild des Achilles, Berlino 1913; W. Reichel, Homerische Waffen, 2, Berlino 1901; G. Lippold, in Münchner Arch. Studien, 1909, p. 399; P. Coussin, Les armes romaines, Parigi 1926; M. Albert, in Dict. Ant., I, 2, s. v. Clipeus, p. 1248 ss.; J. Dechelette, Manuel d'arch. préhist., II, passim; Sprockoff, Thomsen, Meissner, in M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, XI, 1927-28, s. v. Schild; E. Curtius, Ueber Wappengebrauch, in Abhandl. Berlin. Acad., 1874, p. 91 ss.; W. Helbig, Sur les attributs des Saliens, in Mémoires Acad. Inscr., XLIV, 1905; G. Q. Giglioli, in Rend. Pont. Acc. Arch., XXV-XXVI, 1949-50, p. 95-103; Gossensteier, in Pauly-Wissowa, II A, 1923, c. 420 ss., s. v. Schild; Fiebiger, ibid., c. 914, s. v. Scutum; S. Stucchi, in Riv. Ist. Arch., XVII, 1959, pp. 5-58; G. Ch. Picard-J. J. Hatt, L'arc d'Orange, Parigi 1962, p. 77.