SCOTTON, Jacopo , Andrea, Gottardo
– Jacopo (nato a Bassano del Grappa il 3 settembre 1834), Andrea (nato a Bassano il 2 marzo 1838) e Gottardo (nato a Bassano il 22 giugno 1845) erano rispettivamente il primo, il quarto e il settimo figlio di Giovanni, commerciante in cereali, e di Paola Basso.
Dei dodici figli della coppia, tre furono sacerdoti e due suore. I tre futuri sacerdoti, dopo aver frequentato il ginnasio comunale di Bassano, entrarono in anni diversi nel seminario di Vicenza giungendo quindi all’ordinazione: Jacopo nel 1857, Andrea a Padova nel 1860, Gottardo nel 1869.
Il clero veneto e vicentino era allora diviso tra i sostenitori della proposta formulata da Angelo Volpe nello scritto La questione romana e il clero veneto (1862), fautore della conciliazione fra religione e patria e della rinuncia del papa al potere temporale, e la Protesta antivolpiana, animata da Francesco Panella. Influenzati dalla figura del futuro vescovo di Parma Domenico Villa, sin dagli inizi degli anni Sessanta i fratelli Scotton si schierarono con l’ala più intransigente, manifestando avversione per il clero di simpatie cattolico-liberali, sensibile alle lezioni antitemporaliste di Antonio Rosmini, Alessandro Manzoni e Giacomo Zanella.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, Jacopo venne inviato, nel 1857, come curato a S. Vito di Bassano, incominciando quasi subito a predicare in centri del Veneto e, poco per volta, dell’intera penisola. Anche Andrea, sospeso nel 1866 dall’insegnamento della religione nel ginnasio-liceo di Vicenza a causa dei suoi sentimenti non favorevoli al nuovo Regno d’Italia, si dedicò a un’intensa attività di predicazione, seguito da Gottardo. Per quasi un quarantennio i tre fratelli visitarono, predicando, quasi tutte le città italiane, operando congiuntamente e sviluppando temi strettamente legati all’attualità ecclesiastica, politica e sociale del momento ma, al tempo stesso, influenzati dagli scritti del gesuita Paolo Segneri e dai predicatori francesi del XIX secolo. Insieme, i tre fratelli pubblicarono nel 1877, in occasione del giubileo episcopale di Pio IX, Il sincero cristiano ed i suoi doveri verso Gesù Cristo, la Chiesa e lo Stato. Molte delle predicazioni confluirono nei nove volumi pubblicati da Gottardo a Bassano, fra il 1886 e il 1890, dedicati a Il Vangelo studiato minutamente dal parroco e spiegato al popolo in un corso di omelie per tutte le domeniche e feste dell’anno.
Nel 1881 Andrea divenne arciprete di Breganze, cittadina a una ventina di chilometri a nord di Vicenza, a metà strada fra Schio e Bassano. Il paese, ove poco per volta si raccolsero gli altri fratelli, la madre, la sorella Rita e dove fu trasferito da Bassano anche il negozio di stoffe per sacerdoti e di arredi per le chiese, divenne il fulcro delle attività della famiglia. Al suo centro, l’influenza della parrocchia, di stampo ‘alfonsiano’, plasmò la vita degli abitanti, fondata sul catechismo, sulle pratiche di pietà, sulle preghiere in rima, sulle giaculatorie, sulle mortificazioni, sulla santificazione delle feste, sulle devozioni al S. Cuore, alla Madonna e ai santi, ma anche sulla carità cristiana, espressa in un fitto reticolo di opere sociali, nelle associazioni e nelle confraternite. Nel paese e nella zona di loro influenza, i tre fratelli agirono secondo una sostanziale tripartizione: Jacopo occupò lo spazio politico-amministrativo, Andrea quello religioso e pastorale, Gottardo quello sociale.
Dopo la vittoria dei clericali (1886) nelle elezioni comunali di Breganze, a partire dal 1887, Jacopo si impegnò nel Consiglio comunale della cittadina, ricoprendo i ruoli di assessore (1887, 1889-94, 1907-10) e di sindaco (1887, 1893-94), ma assumendo incarichi anche nell’amministrazione provinciale (consigliere dal 1895 al 1905, membro della deputazione dal 1899 al 1905). Stimato da Giovanni Battista Paganuzzi, Jacopo si impegnò anche nell’Opera dei congressi, divenendo negli anni Novanta membro del consiglio direttivo e segretario generale. Nelle assise del movimento svolse le relazioni sull’associazionismo cattolico nelle varie diocesi italiane. Assorbito dai crescenti impegni Jacopo lasciò poco per volta la predicazione.
Dopo aver rinunciato a entrare nel seminario delle Missioni estere, Andrea incontrò a Roma, nel giugno del 1867, don Giacomo Margotti, il polemista dei giornali L’armonia e L’unità cattolica. Fu un evento importante nella vita di Andrea, che ne uscì confermato nella militanza intransigente e nel suo impegno, anche sulle colonne del settimanale Il Berico, nato a Vicenza nel 1876, organo di rigorosa impostazione anticonciliatorista. Poco per volta il predicatore, in familiarità con don Giovanni Bosco e che pare impressionò il giovane Luigi Sturzo in una sua predicazione a Caltagirone, si trasformò in polemista e scrittore: dei tre fratelli, Andrea «fu forse il più colto e versatile» (Lanaro, 1976, p. 200 n. 1). «Persona severa e di poche parole», fu «la guida della famiglia», dotato del prestigio e dell’autorità «per essere ascoltato dai fratelli» e per intervenire «per riparare gli errori di Gottardo», quest’ultimo «estroverso e strambo» (Azzolin, 1998, p. 55), «sempre considerato il più estremista dei tre fratelli» ma anche il più versato in questioni teologiche e dottrinali (Lanaro, 1976, p. 200 n. 1). Nel 1874 Andrea venne proposto a vescovo di Padova, ma la candidatura fu respinta e altri tentativi per una promozione episcopale fallirono negli anni successivi. Dopo le accuse mosse al vescovo di Vicenza, Giovanni Antonio Farina, presso il cardinale Giacomo Antonelli e gli attacchi a Zanella che aveva avuto parole di compianto per Vittorio Emanuele II, appena scomparso (9 gennaio 1878), Andrea, nel 1889, diede alle stampe una Risposta allo scritto Roma e l’Italia e la realtà delle cose, che il vescovo di Cremona Geremia Bonomelli aveva pubblicato il 1° marzo 1889 sulla Rassegna nazionale, auspicando una conciliazione fra lo Stato italiano e la S. Sede. A partire dal 1907 videro la luce i quattro volumi di un Corso completo di catechismi dedicati da Andrea al simbolo apostolico, ai sacramenti, al decalogo e all’orazione e alla giustizia cristiana.
Nel giugno del 1868 Gottardo, ancora chierico, aveva accusato il suo insegnante Giovanni Battista Dalla Valle di febronianesimo, cioè di giurisdizionalismo, realizzando la prima denuncia di una lunga serie contro membri del clero e del laicato ritenuti infedeli, che rinfocolò in diocesi la contrapposizione fra intransigenti e conciliatoristi. Anche lui a lungo impegnato nell’attività di predicazione in vari centri della penisola, a Breganze si dedicò in modo particolare a opere sociali: dal caseificio alla cassa rurale, dalle iniziative per l’antigrandine all’assicurazione sugli animali. Nel marzo del 1891 il cardinale Mariano Rampolla, segretario di Stato di Leone XIII, incaricò Gottardo di visitare le diocesi italiane per istituire o rianimare i comitati cattolici. Negli stessi anni Gottardo organizzò e accompagnò pellegrinaggi a Roma, ad Assisi, a Loreto, per conto dell’Opera dei congressi che allo scopo aveva anche creato la Società promotrice per gli interessi cattolici, con sede a Firenze. Il 27 giugno 1898, a Milano, nel clima arroventato dopo la rivolta popolare di maggio e la repressione da parte delle truppe comandate da Fiorenzo Bava Beccaris, Gottardo venne arrestato e, trascorsi trentaquattro giorni in carcere, fu processato per aver fatto stampare migliaia di cartoncini con la rivendicazione della sovranità temporale del papa. Nel processo Gottardo si appellò alla legge delle guarentigie che assicurava una sia pur minima indipendenza territoriale del papa. In La mia autodifesa (1902), Gottardo reagì alle accuse di don Davide Albertario e dell’Osservatore cattolico di avere in realtà accettato, con quella linea di difesa, il ridimensionamento del papa nel piccolo territorio che gli era rimasto. Nel 1904 Gottardo pubblicò La vita di Gesù Cristo per i quattro evangeli concordati in uno, dedicata a Pio X, con il quale la conoscenza degli Scotton risaliva ai primi anni della sua vita sacerdotale.
Il 17 agosto 1890 vide la luce a Breganze il primo numero di La Riscossa per la Chiesa e per la patria. Voluto da Paganuzzi, il settimanale, pur non essendo organo ufficiale del comitato permanente dell’Opera dei congressi, venne da lui raccomandato come «pubblicazione [...] aiutatrice dell’Opera nostra» (Gambasin, 1958, pp. 576 s.). In seguito, Andrea attribuì proprio a Leone XIII l’idea e il titolo del giornale. Diretto da Jacopo, redatto essenzialmente dai tre fratelli, all’inizio aiutati da Nicolò Rezzara e negli ultimi anni dal sacerdote Giovanni Menara, il periodico, che raccoglieva largamente estratti da altri organi della stampa cattolica, fu l’iniziativa che per un venticinquennio fuse «in un impegno totale, e per la vita, le risorse intellettuali e fisiche» degli Scotton (Azzolin, 1998, p. 82). Considerato il più violento e battagliero organo dell’intransigenza cattolica, La Riscossa sostenne costantemente le ragioni del non expedit e le rivendicazioni territoriali della S. Sede quale garanzia d’indipendenza, opponendosi ai ‘novatori’ e ai ‘larghi’. Con il pontificato di Pio X il giornale divenne la voce più polemica contro le tendenze ritenute moderniste nell’episcopato, nel clero e nel laicato. A Vicenza le tensioni erano già acute nel 1906, un anno prima dell’enciclica Pascendi, dopo la messa all’Indice del Santo di Antonio Fogazzaro. Attivo in un consiglio diocesano di vigilanza antimodernista, Andrea, spesso presente sul giornale con gli pseudonimi di Romanus e Miles Christi, mosse accuse a docenti del seminario e a Giuseppe Arena, presidente dell’Ufficio cattolico del lavoro e fondatore delle prime leghe democratico-cristiane in provincia di Vicenza. Ma l’episodio più celebre di questa lotta, senza quartiere e con ogni mezzo, contro il modernismo fu lo scontro del settimanale con l’arcidiocesi di Milano e il suo vescovo.
Dopo la morte di Jacopo (17 maggio 1910), avvenuta a Venezia per una fulminante setticemia, Gottardo assunse la direzione del giornale impegnato in una linea sempre più polemica. Prendendo spunto dal recente caso del sacerdote milanese Luigi Fontana, sospeso a divinis per non aver voluto prestare il giuramento antimodernista, un trafiletto della Riscossa, scritto da Gottardo e pubblicato il 17 dicembre 1910, accusò il seminario ambrosiano di essere «semenzaio di modernismo». L’arcivescovo di Milano, il cardinale Andrea Carlo Ferrari, reagì vivacemente in una lettera pastorale (28 dicembre 1910) e con una serie di lettere al cardinale Gaetano De Lai, segretario della Congregazione concistoriale, e agli stessi Scotton.
Le autorità romane assunsero una linea di privata riprovazione degli eccessi degli Scotton, senza però mai prendere pubblicamente le distanze dal giornale, per non indebolire la battaglia da essi condotta, e al tempo stesso notando che le accuse potevano avere qualche fondamento. Nella vicenda entrava anche l’antica prevenzione degli Scotton, ma anche di De Lai e dello stesso Pio X, nei confronti del cattolicesimo liberale milanese e lombardo, ritenuto filiazione del giansenismo e del rosminianesimo.
Nel fitto scambio di lettere fra le diverse parti in causa si inserì un altro trafiletto della Riscossa (4 febbraio 1911), con nuove accuse alla diocesi («a Milano in ordine ai principii si sta male, assai male»). Agli inviti al silenzio provenienti da Roma, per evitare polemiche pubbliche nel fronte cattolico, Gottardo reagì con un’intervista rilasciata il 22 febbraio al Corriere della sera, al Gazzettino di Venezia e al Giornale di Vicenza e pubblicata il 24 febbraio con il titolo Il piccolo Vaticano di Breganze (il testo dell’intervista in Azzolin, 1998, pp. 222-225). In essa Gottardo rivendicò il legame fra la S. Sede e La Riscossa, attaccò nuovamente la diocesi di Milano «in mano al modernismo» e il suo arcivescovo «rimorchiato dall’on. Meda» e ribadì l’impossibilità di una conciliazione con lo Stato italiano. Seguirono una veemente reazione di Ferrari, che in una dichiarazione al Corriere della sera si disse «disgustato», nuove lettere tra De Lai e Ferrari, una parziale rettifica di Gottardo (Il mio confiteor, pubblicato nella Riscossa del 4 marzo), ma anche il rilancio delle accuse sul modernismo a Milano. Ai primi di maggio del 1911 incominciò una visita al seminario milanese del domenicano Pio Tommaso Boggiani che riferì a Roma di un quadro piuttosto negativo.
Nella vicenda, nella quale Azzolin ha ipotizzato che gli Scotton abbiano agito d’intesa e su impulso di De Lai e di Umberto Benigni, a capo del Sodalitium Pianum, una rete di informatori con finalità antimoderniste, le autorità romane mostrarono un atteggiamento duplice: da un lato la deplorazione per gli eccessi e le intemperanze di Gottardo, dall’altro il sostanziale sostegno alla linea del giornale che rendeva impensabile una sconfessione pubblica che ne avrebbe indebolito l’influenza. Le perplessità del papa nei confronti delle espressioni degli Scotton sono manifestate nella frase pronunciata quando ricevette, poco dopo la nomina (14 febbraio 1911), il nuovo vescovo di Vicenza, Ferdinando Rodolfi: «Avete gli Scotton che si credono di dettar legge a tutto il mondo. Sono due, l’uno savio [scil.: Andrea] e l’altro matto [scil.: Gottardo]; ma il matto mena il savio. Avete visto cosa m’hanno fatto adesso con Milano» (Azzolin, 1998, p. 233). L’apprezzamento di Pio X è invece mostrato dalla contemporanea replica alle parole di Menara, il collaboratore degli Scotton, in crisi di coscienza nel gennaio del 1911 per la polemica con Milano e con Ferrari: «Ringrazi il Signore di aver avuto a maestro monsignor Andrea Scotton e procuri di non dimenticar mai le lezioni ricevute e l’esempio dato dalla Riscossa» (Dieguez - Pagano, 2006, I, p. 347).
I rapporti degli Scotton con il nuovo vescovo di Vicenza, Rodolfi, si rivelarono subito difficili, come mostrano gli scambi di reciproche accuse per il mancato successo dei candidati cattolici nelle elezioni politiche del 1913 nei collegi di Marostica e Valdagno, le tensioni a proposito della stampa locale e le polemiche della Riscossa contro l’‘episcopalismo’, ritenuto espressione del modernismo, cioè la tendenza di quei sacerdoti e laici cattolici leali con il vescovo vicino per sottrarsi all’obbedienza del papa lontano. Discepolo del vescovo di Cremona Bonomelli, con simpatie giolittiane in politica, Rodolfi divenne poco per volta il maggior antagonista dei fratelli Scotton, anche se la sua riprovazione nei loro confronti, già espressa in messaggi a Roma del 1912 e del 1913, poté incidere solo quando, con il cambiamento di pontificato, mutarono gli equilibri ecclesiastici. Furono infatti la morte di Pio X (20 agosto 1914) e l’inizio del pontificato di Benedetto XV (3 settembre 1914), che da arcivescovo di Bologna aveva manifestato il suo dissenso dai metodi degli Scotton, a segnare per i due fratelli superstiti e per le loro iniziative l’inizio della fine. Il 15 agosto 1914 Rodolfi scrisse al cardinale De Lai, segretario della Congregazione concistoriale, accusando Gottardo di molteplici e ingiustificabili attacchi contro arcivescovi e cardinali e, implicitamente, stigmatizzando l’appoggio ricevuto da Roma; si chiedeva quindi che l’ordinario del luogo e la S. Sede procedessero di pari passo e nella stessa linea. Dopo la risposta di De Lai (28 agosto 1914), che prese parzialmente le distanze da Gottardo, Rodolfi proibì a Gottardo di scrivere sulla Riscossa e su qualsiasi altro giornale (6 settembre 1914). Dopo un’udienza del papa a Gottardo (17 settembre 1914), Rodolfi scrisse al segretario di Stato, Domenico Ferrata, per assicurarsi che il prete non potesse avere, o millantasse di avere, appoggi a Roma (28 settembre 1914). Ottenute assicurazioni da Ferrata (2 ottobre 1914), ricevuto in udienza dal papa (6 novembre 1914), rafforzato dall’enciclica Ad Beatissimi (1° novembre 1914), che restituiva ai vescovi tutta la loro autorità, Rodolfi lanciò la sua offensiva contro gli Scotton, con la determinazione di chiudere ogni «chiesuola» e di organizzare le forze cattoliche sotto la sua responsabilità (lettere del 30 novembre e dell’8 dicembre 1914).
Il 15 marzo 1915 Gottardo scrisse al papa, rivendicando il valore dell’opera sua e dei fratelli, sempre per la difesa «dei sacrosanti diritti della Chiesa e del Papa», nel solco delle indicazioni della S. Sede (Azzolin, 1998, pp. 297 s.). L’indiretta risposta negativa del pontefice (23 marzo 1915) alla richiesta di distruggere le lettere ritenute infamanti per gli Scotton conservate nell’archivio vescovile fu la conferma dell’isolamento e dell’emarginazione dei due fratelli e della crisi irreversibile dell’intransigentismo vicentino (Il Berico cessò le pubblicazioni il 23 maggio 1915). Nell’aprile del 1915 Andrea ebbe un grave collasso e si temette per la sua vita. Ripresosi, fra aprile e luglio scrisse un ricorso alla Congregazione concistoriale, contro i giudizi e l’operato di Rodolfi (il testo è pubblicato in Azzolin, 1998, pp. 354-382). Al centro delle rimostranze era sempre la dura lettera del vescovo di Vicenza dell’8 dicembre 1914. Il memoriale non ebbe risposta ma, conosciuto da Rodolfi, ne confermò e acuì l’indignazione contro i suoi due preti. Alla morte di Andrea (27 novembre 1915), il vescovo non partecipò ai funerali né inviò alcuno a rappresentarlo. Come riferì Andrea nel suo ricorso-memoriale alla Congregazione concistoriale, Rodolfi era convinto che l’opera della Riscossa e del «Miles Christi» dal 23 luglio 1911 all’8 dicembre 1914 «fu esiziale alla religione, nefasta alla causa della Chiesa e disonorevole al Papato, del cui nome anche troppo abusò» (cfr. anche Perin, 2010, p. 248). Qualche settimana prima, il 19 settembre 1915, una predica di Gottardo a Breganze sull’amore per i nemici gli attirò accuse di disfattismo contro la partecipazione italiana al conflitto in corso; seguirono l’arresto, il processo e l’internamento di Gottardo a Oropa (4-9 novembre 1915). Allontanatosi dal santuario ove era trattenuto, Gottardo cercò rifugio a Roma, anche per cercare mezzi di sussistenza per la vecchiaia. L’8 gennaio 1916 La Riscossa sospese definitivamente le pubblicazioni. Il 25 febbraio 1916 la S. Sede decise l’assegnazione di un sussidio annuo per l’ultimo dei fratelli Scotton che il 1° marzo 1916 scrisse la sua ultima lettera, indirizzata a De Lai (il testo è pubblicato in Azzolin, 1998, pp. 383 s.), da Padova, dove aveva trovato ospitalità presso gli oratoriani e dove morì il 9 marzo 1916.
Non si può ridurre l’opera e il pensiero degli Scotton alla lotta antimodernista. Come ha scritto Ermenegildo Reato, la loro religione appare agli antipodi dalle inquietudini fogazzariane, radicalmente fedele al papa, impegnata nella storia e nella realtà sociale, contro la peste della rivoluzione liberale. La Chiesa è l’unica «arca di salvezza», che combatte con spirito militante le battaglie contro le diverse incarnazioni di Satana. Proprio perché militante la Chiesa è essenzialmente gerarchica, anzi monarchica (di qui la svalutazione del ruolo dei vescovi). Il loro pensiero politico può essere distinto in due fasi: fino al 1885, prevale il legittimismo temporalistico; dopo il 1885, l’attenzione si concentra sul piano ideologico nella contrapposizione alla massoneria, sul piano sociale nell’opposizione alle conseguenze della crisi agraria. La massoneria, madre del socialismo, penetra e informa il ceto medio possidente, i grandi proprietari e i despoti delle banche, giunti al potere con la Sinistra, rei di una politica filoindustriale che colpiva gli agricoltori e provocava l’odio di classe. La lotta senza tregua al Paese legale, con una rigorosa disciplina astensionistica sul piano politico (che va di pari passo con rivendicazioni per la libertà del papa, per l’insegnamento catechistico nelle scuole, per la difesa della piccola proprietà), si accompagna all’affermazione del Paese reale, che nella parrocchia e nelle istituzioni religiose trova l’elemento di coesione. Il nemico di fondo è il liberalismo nelle sue molteplici espressioni. A proposito degli Scotton si è quindi parlato di «intransigenza socialmente impegnata» e di «populismo clericale», nutrito dall’utopia fisiocratica e dalla fiducia nel regime mezzadrile.
Fonti e Bibl.: Venezia, Archivio dell’Opera dei congressi, Comitato regionale veneto, Comitato permanente, Vicenza; Vicenza, Archivio della Curia vescovile, Stato delle chiese: Breganze; Archivio del Seminario, bb. De Lucchi, Navarotto, Salerno; Breganze, Archivio parrocchiale; Archivio comunale. Manoscritti degli Scotton sono conservati a Breganze, Archivio Giovanardi e Archivio Sartori (cfr. Azzolin, 1998, pp. 335-353). Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Arch. part. Pio X; Congr. Concist., Positiones, Vicenza 1.
Per l’elenco delle pubblicazioni degli Scotton (sino al 1908): S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei secoli decimottavo e decimonono, III, S-Z, con appendice di aggiunte e correzioni, Venezia 1908, pp. 101-106.
Mons. Gottardo S. ed i suoi trentaquattro giorni di carcere. Episodio dei tribunali di guerra 1898, Breganze 1898; G. Menara, I fratelli S. (mons. Jacopo, Andrea e Gottardo). Memorie biografiche, Firenze 1925; M. Lecce, S., fratelli, in Enciclopedia cattolica, XI, Città del Vaticano 1953, coll. 166 s.; A. Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei Congressi (1874-1904). Contributo per la storia del cattolicesimo sociale in Italia, Roma 1958, pp. 289 s., 576 s. e passim; P. Pecorari, Ricerche sull’intransigentismo nel Veneto: uno scritto inedito di Jacopo S. (1861), in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXVII (1973), pp. 185-199; S. Lanaro, Società e ideologie nel Veneto rurale: 1866-1898, Roma 1976, pp. 200-269; C. Snider, L’episcopato del cardinale Andrea C. Ferrari, I, Gli ultimi anni dell’Ottocento, Vicenza 1981, passim, II, I tempi di Pio X, 1982, pp. 264 s., 312-319, 324-326 e passim; E. Reato, S., Jacopo; S., Andrea; S., Gottardo, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, 1860-1980, II, I protagonisti, Casale Monferrato 1982, pp. 591-593; G. Azzolin, Gli S. Prediche, battaglie, imboscate. Tre fratelli monsignori, papi, cardinali e vescovi tra liberalismo e modernismo dall’Unità d’Italia al primo Novecento, Vicenza 1998; A.M. Dieguez - S. Pagano, Le carte del «sacro tavolo». Aspetti del pontificato di Pio X dai documenti del suo archivio privato, Città del Vaticano 2006, I, pp. 346-357, 364-366, II, pp. 725-729, 751-753, 798-803 e passim; R. Perin, Reazioni curiali antimoderniste. Il caso vicentino, in La condanna del modernismo. Documenti, interpretazioni, conseguenze, a cura di C. Arnold - G. Vian, Roma 2010, pp. 207-249.
, Andrea,
Gottardo