Scienza greco-romana. Astrologia
Astrologia
L'esposizione storica dell'astrologia greco-romana presenta alcune difficoltà di ordine cronologico. È difficile, infatti, ricostruire con precisione il percorso di una disciplina che da una parte è caratterizzata da un elevato rispetto della tradizione (tanto che lo stesso materiale è presente a partire dai testi cuneiformi assiri fino alle raccolte bizantine) mentre dall'altra parte consente una libertà d'improvvisazione su alcuni temi di base che rende difficile l'individuazione di uno sviluppo teorico. L'unica cosa chiara è che un'esposizione storica non rientra facilmente nei limiti cronologici del periodo compreso tra il V sec. a.C. e l'epoca di Tolomeo (100 d.C. ca.-178 ca.). L'astrologia prende corpo molto più tardi dell'astronomia; in effetti, non possediamo nessun trattato astrologico completo che sia anteriore al I sec. d.C. (mentre possediamo frammenti di papiro, óstraka e brani tratti da autori più tardi). È stato osservato che, malgrado gli estesi compendi prodotti da Tolomeo e dal suo contemporaneo Vettio Valente, i testi superstiti sembrano indicare che alla fine del II sec. lo sviluppo teorico dell'astrologia non avesse ancora raggiunto il proprio culmine. Entrambi questi autori, infatti, probabilmente per rispetto della tradizione ‒ cosa piuttosto sorprendente nel caso di Tolomeo ‒ si sono astenuti dal servirsi delle loro opere astronomiche per migliorare l'accuratezza delle osservazioni astrologiche, cosa che invece si è verificata in seguito. Una storia dell'astrologia che includa la tarda antichità dovrebbe dunque dare una ricostruzione olistica della disciplina per non correre il rischio di proiettare all'indietro conoscenze appartenenti a epoche più tarde, e affrontare anche altri problemi, in primo luogo quelli causati dall'impossibilità di attribuire confini precisi a una materia di questo tipo. Le origini dell'astrologia, infatti, risiedono nella divinazione basata sui presagi celesti, ma, tenuto conto degli sviluppi successivi, è meglio attenersi a una definizione meno ampia, che ne limiti il campo all'interpretazione delle influenze delle 'stelle' sulla vita umana, sulla base di un insieme di teorie riguardanti i corpi celesti presenti nella fascia che circonda il percorso del Sole nel cielo, individuata dalle 12 costellazioni dello Zodiaco. Occorre poi tenere presente che, a differenza di quanto avviene oggi, nel mondo antico non esisteva una distinzione universalmente accettata tra astrologia e astronomia: le parole 'astronomia' e 'astrologia' erano usate in modo intercambiabile per indicare lo studio del cielo; la prima chiara distinzione tra i due termini risale agli inizi del VII sec. d.C. ed è contenuta nelle Etimologie (III, 27) di Isidoro di Siviglia. Ciò significa che non sempre è possibile determinare se si tratti o meno di astrologia; infine, bisogna considerare che questa disciplina presenta numerose sovrapposizioni anche con la cosmologia, la geografia, la matematica, la meteorologia e perfino con l'armonia e con la medicina.
Lo strumento caratteristico dell'astrologo è l''oroscopo'; questo termine deriva dal greco hōroskópos ('che osserva l'ora'), o 'ascendente', il punto in cui un dato astro sorge all'orizzonte in un dato momento, con il significato di mappa delle influenze celesti (positive, negative o di altra natura) che si presume agiscano in quel momento: tipicamente, la nascita. Era possibile stendere un oroscopo, oltre che per una nascita, anche per la fondazione di una città o per un momento qualsiasi in cui fosse necessario intraprendere un'azione, anche se l'astrologia degli oroscopi delle natività ('genetliaci') forniva il modello per il resto dell'astrologia oroscopica.
Un ramo molto importante dell'astronomia, nato a partire dal Rinascimento come astrologia 'oraria' o 'elettiva' (ma conosciuta anche da molti studiosi dell'Antichità come astrologia 'catartica') riguardava il momento in cui era intrapresa una qualche iniziativa. Anche questo genere di pronostici, cui si faceva ricorso per prendere decisioni in quasi tutti i campi dell'esistenza, richiedeva, a parte le varianti più rudimentali, la stesura di un oroscopo per i momenti cruciali dell'azione da intraprendere, senza tuttavia che fosse necessario conoscere i dati relativi alla nascita dell'interessato. Esisteva anche un ramo dell'astrologia che non faceva uso di oroscopi e che era noto sin dal Medioevo con il nome di astrologia 'giudiziaria'. Si trattava di una forma più antica e meno complicata di predizione, che utilizzava gli elementi più importanti dell'oroscopo ‒ i segni zodiacali e i pianeti ‒ per pronunciarsi sull'avvenire di un sovrano o di un luogo. Rientravano in quest'ambito l'astrologia meteorologica e la corografia, che attribuivano le diverse parti del mondo ai loro segni o pianeti dominanti; inoltre, nelle versioni più rudimentali dell'astrologia anche i mesi, i giorni e le ore erano posti sotto la signoria di un segno o di un pianeta.
L'elemento fondamentale dell'oroscopo è il 'grado', cioè l'ampiezza angolare, dell'arco dello Zodiaco visibile sull'orizzonte orientale in un determinato momento (in effetti, esso si troverà esattamente a oriente soltanto all'equatore o durante gli equinozi, data l'inclinazione dell'eclittica rispetto all'equatore). Lo Zodiaco è una fascia delimitata da due cerchi massimi della sfera celeste paralleli all'eclittica e distanti da questa 8°, lungo la quale si compie il cammino apparente del Sole circondato dai pianeti. Anche le posizioni di questi ultimi sono quindi determinate in rapporto allo Zodiaco, il quale nell'astrologia classica era diviso in dodici sezioni, larghe trenta gradi ciascuna, le quali corrispondevano ai cosiddetti 'segni' zodiacali, tuttora noti e intitolati ad altrettante costellazioni. I pianeti erano proiettati sull'eclittica per definirne la latitudine e la longitudine celesti, sulla base della trigonometria sferica sviluppatasi in Grecia a partire dal II sec. a.C. Anche in epoca più tarda, malgrado la disponibilità di queste tecniche accurate, molti astrologi si limitavano all'analisi del segno in cui si trovavano i diversi pianeti, che di solito era calcolato facendo ricorso a delle tavole 'tutto fare', le quali non sempre erano attendibili ma fornivano i tempi del sorgere dei pianeti, con le correzioni per le diverse latitudini.
I pianeti erano i primi a esercitare un influsso sulla vita degli uomini, di tipo benigno (Giove e Venere), maligno (Saturno e Marte) o mutevole (il Sole, la Luna e Mercurio), influsso che era ulteriormente determinato dall'azione di altri elementi. All'interno di questo schema di base, erano possibili però considerevoli variazioni: oltre all'influenza esercitata dai pianeti 'vagabondi', vi era quella delle stelle 'fisse', chiamate così a causa dell'immensa distanza dalla Terra che le rendeva apparentemente immobili. Infine vi erano gli effetti prodotti dalle stelle particolarmente luminose e dai paranatellónta, ossia le stelle e le costellazioni che sorgono contemporaneamente a un determinato grado dello Zodiaco. Mentre i pianeti e le stelle erano visibili nel cielo, la maggior parte delle entità astrologiche erano il prodotto dell'organizzazione dei cieli secondo principî indipendenti dall'osservazione, nell'ambito di un processo iniziato con l'elaborazione dello stesso Zodiaco. Se, infatti, in un primo momento la suddivisione di quest'ultimo era utile tanto agli astrologi quanto agli astronomi, interessati ad avere uno strumento sistematico che permettesse di tracciare i diagrammi dei moti planetari, nella fase immediatamente successiva si passò a suddividere arbitrariamente le costellazioni (che costituivano già divisioni soggettive del cielo), allo scopo di ottenere una ripartizione in parti uguali. I caratteri fondamentali dei pianeti erano modificati dalle loro posizioni in rapporto a una serie di elementi della mappa celeste. Si presumeva che esistessero particolari segni zodiacali in cui i pianeti erano maggiormente valorizzati (quando si trovavano nel segno in cui erano 'esaltati' o in cui avevano il proprio 'domicilio'), mentre in altri trovavano il punto delle loro 'depressioni'. Inoltre, anche la loro relazione angolare con altri pianeti o con altre entità astrologiche (come l'ascendente), all'interno dei diversi segni, poteva modificarne l'influsso: l'angolo di 180°, chiamato 'opposizione', e quello di 90°, chiamato 'quadratura' o 'quartile', erano considerati negativi; mentre quelli di 120°, o 'trigono', e di 60°, o 'sestile', erano ritenuti positivi. Erano anche prese in esame le congiunzioni, per le quali erano state trovate alcune regole che ne indicavano gli effetti, variabili a seconda del carattere delle entità coinvolte. I caratteri dei segni erano determinati da diversi fattori, a volte specifici di un segno, a volte comuni a gruppi di tre o quattro segni (come i segni singoli e doppi, e i segni di terra, di aria, di acqua e di fuoco); anche il sesso di un pianeta contribuiva a definirne gli effetti. A partire dall'ascendente sono poi stati derivati altri elementi, che costituivano una specie di impalcatura per la rotazione dello Zodiaco. Per primi venivano i 'cardini', detti anche 'punti cardinali'. Se consideriamo un osservatore situato in un preciso istante e in un determinato luogo, allora rispetto a lui l''ascendente' si troverà a 'oriente', nel punto in cui l'orizzonte interseca lo Zodiaco, mentre il 'mezzo cielo' (Medium caeli, MC) sarà posto esattamente sopra di lui, dove il meridiano dell'osservatore intersecherà lo Zodiaco; i due restanti punti cardinali sono il 'discendente' (Descendens, DESC), posto a 'occidente' in opposizione all'ascendente, e il punto 'sotterraneo' (Imum caeli, IMC) posto in basso, sullo stesso meridiano del mezzo cielo. In realtà, a causa dell'obliquità dell'eclittica, i quadranti s'incrociano perpendicolarmente tra loro soltanto all'equatore o durante gli equinozi. Molti astrologi hanno tuttavia continuato a ignorare questo problema fino alla Tarda Antichità, quando si diffuse maggiormente l'uso delle tavole astronomiche, che riportavano i tempi di ascesa alle diverse latitudini (i sette klímata canonici, determinati in base al rapporto tra il giorno più lungo e quello più corto). Perfino Tolomeo afferma che il mezzo cielo è posto in quartile con l'ascendente (Tetrabiblos, 3, 1, 1), mentre la possibilità di calcolarne più esattamente la posizione pur essendo ammessa (3, 2), non era specificata.
La posizione dei punti cardinali rispetto allo Zodiaco rendeva possibile un'ulteriore specificazione dei suoi effetti. L'ascendente, infatti, costituiva il punto di partenza per calcolare un'altra divisione dello Zodiaco in otto o dodici loci (le più mondane 'case' dell'astrologia moderna) e per determinare in base alle posizioni relative dei pianeti e dei cardini la posizione delle 'sorti' (quasi una serie supplementare di pianeti virtuali). Negli oroscopi delle natività, le case e le sorti presiedevano ai diversi campi dell'esistenza, come la prole, il patrimonio, i viaggi e le malattie. I segni zodiacali erano a loro volta suddivisi, senza riferimento ai cardini, in 'decani', 'termini' (hória), 'dodecatemoria' e in porzioni ancora più piccole, governate da particolari pianeti o segni o perfino da singoli gradi o frazioni di grado, a cui poteva essere attribuito un nome, come nel caso della Sphaera barbarica (versione greca della rappresentazione orientale del cielo) o della Myriogenesis, descritta da Firmico Materno (attivo verso il 334-337 d.C.).
In ogni caso, era sempre possibile un ampio margine di variazione e di elaborazione di questi temi fondamentali. Le variazioni erano elaborate nell'ambito del dibattito competitivo, o agṓn, che formava il contesto pubblico dell'attività intellettuale, oppure all'interno della relazione maestro-discepolo, il modello pedagogico dominante; di conseguenza, un determinato trattato teorico non doveva fornire necessariamente un quadro completo di tutte le dottrine esistenti, né tanto meno queste erano necessariamente applicate tutte al momento dell'interpretazione. Esisteva un enorme spazio per la proliferazione di diversi metodi e, conseguentemente, di possibili risposte anche ai problemi più semplici.
Gli apporti delle diverse civiltà allo sviluppo della teoria astrologica (inevitabilmente collegato a quello dell'astronomia) sono da sempre al centro di un acceso dibattito. Troppo spesso, in passato, l'assenza di testimonianze certe ha favorito il ricorso a stereotipi che riguardavano la mentalità delle diverse civilizzazioni, con oscillazioni tra i due estremi, dal panbabilonismo ottocentesco che attribuiva le origini di tutto alla Mesopotamia, alla successiva sopravvalutazione del contributo egizio, mentre il ruolo svolto dalla Grecia è stato valutato in misura variabile a seconda dei periodi.
Non c'è dubbio che le origini dell'astrologia, come quelle dell'astronomia, vadano ricercate in Mesopotamia, dove il consolidamento dell'istituzione sacerdotale, incaricata di riferire al re i risultati delle osservazioni del cielo, ha certamente favorito lo sviluppo di queste due discipline. Come sappiamo grazie ai ritrovamenti di tavolette cuneiformi, in questa regione sin dal II millennio erano effettuate e registrate regolari osservazioni dei corpi celesti a scopi divinatori e per le esigenze del calendario religioso. In questa regione, inoltre, fu inventato lo Zodiaco: alcune costellazioni ricevettero un nome già nel 1800 a.C., mentre un documento del 1000 a.C. contiene una descrizione molto più antica delle diciotto costellazioni dell'eclittica (comprese dieci delle dodici costellazioni i cui nomi corrispondono agli attuali segni zodiacali). Le dodici costellazioni furono selezionate e battezzate a partire dalla metà del VI sec. a.C. (anche se i segni erano anticipati di cinque gradi). Non sembrano esserci dubbi neppure sul primato babilonese nel calcolo dei periodi planetari, basato sulla prima e sull'ultima visibilità, anche se non tutti gli studiosi concordano sul fatto che gli astrologi e gli astronomi greci si siano serviti dei dati babilonesi, senza ricavarli dall'osservazione diretta. Grazie allo sviluppo di un sistema, come lo Zodiaco, che permetteva di misurare le posizioni dei pianeti, era divenuto possibile seguirne i movimenti per lunghi periodi di tempo e stabilirne i cicli.
A lungo si è ritenuto che i Greci, avendo adottato lo Zodiaco e i dati sui moti planetari, avessero sviluppato l'oroscopo e tutto il sistema teorico a esso relativo, insieme ai sistemi astronomici. Le ricerche più recenti hanno però condotto a formulare un'immagine più sfumata, anche se ancora incompleta, della questione. Esistono infatti oroscopi babilonesi che risalgono al V sec. a.C. (nel caso dei genetliaci, al 410 a.C.), in cui sono prese in esame le posizioni dei pianeti nello Zodiaco, la visibilità del mese lunare, mentre le predizioni si limitano ad annotazioni di carattere generale. Si tratta di oroscopi simili a quelli dei papiri greci, prodotti però in un'epoca molto più tarda, quando la teoria astrologica aveva raggiunto una vasta diffusione. Gli oroscopi babilonesi hanno continuato a essere prodotti fino alla metà del II sec. a.C.; esistono anche ritrovamenti successivi dai quali è possibile desumere la presenza di un certo sviluppo teorico (esaltazioni, dodecatemorie), ma è difficile stabilire se il merito di questi risultati vada attribuito ai Babilonesi, visto che è tuttora irrisolto il problema della datazione degli sviluppi teorici compiuti in Grecia, paese con cui esisteva un reciproco scambio culturale. Si è però cercato di attribuire ai Babilonesi l'invenzione delle 'triplicità', cioè di gruppi di segni zodiacali, e perfino quella degli aspetti planetari. Un oroscopo babilonese del 264 a.C. si basa non soltanto sulla data di nascita dell'interessato, ma anche su quella del concepimento, stabilendo la durata della gravidanza in 273 giorni; la scelta della data del concepimento come momento determinante fu attribuita da Vitruvio (De architectura, IX, 6, 2) al 'caldeo' (babilonese) Achinapolo.
Le tavole planetarie, le cui origini sembrano essere babilonesi, sono state certamente usate dagli astrologi fin dopo l'epoca di Tolomeo; ma, nonostante l'indiscutibile rilevanza dell'apporto babilonese, che oggi si tende di nuovo a sottolineare, resta il fatto che non vi sono prove dello sviluppo di un modello geometrico del cielo. Anche ammettendo che siano stati i Babilonesi i primi a individuare gli aspetti planetari, non per questo si potrebbe dedurre una loro comprensione geometrica delle relazioni tra pianeti. Nei testi babilonesi, infatti, i rapporti sono espressi sempre numericamente e non vi è alcuna traccia di un interesse per l'elaborazione di un modello spaziale, mentre nel De caelo di Aristotele si trova testimonianza di una grande varietà di cosmologie basate sulla geometria, che possono essere datate come minimo al V sec. a.C.
In effetti, i risultati raggiunti dai presocratici in astronomia possono essere messi in dubbio a causa della tendenza a proiettare nel passato sviluppi teorici più tardi; vi sono però alcuni indizi nelle loro speculazioni che illustrano il linguaggio geometrico utilizzato dai Greci. È di particolare interesse il modello pitagorico che vede la Terra come una delle stelle (i pianeti) ruotanti attorno a un fuoco centrale (Aristotele, De caelo, 293 a, 20 segg.). L'ipotesi che i pitagorici abbiano svolto un ruolo fondamentale nel tentativo di determinare i rapporti numerici tra i corpi celesti, basandosi forse su una parziale conoscenza dell'astronomia babilonese, sembra dunque piuttosto plausibile. Dalla critica aristotelica alla teoria pitagorica dell'armonia delle sfere (Metaphysica, 985 b, 23 segg.) sembrerebbe che da questa derivi anche la scoperta dei rapporti numerici in ambito musicale; in seguito tutto ciò avrebbe avuto grande importanza per la teoria delle influenze astrali, e sarebbe stato ripreso, per esempio, nella Tetrabiblos di Tolomeo.
Nel V sec., a seguito delle guerre persiane, si sono intensificati i contatti con Babilonia, anche se l'uso che i Greci hanno fatto della teoria astronomica babilonese si è limitato ai nomi di alcune stelle e ad almeno un tentativo di riforma del calendario (quello del 432). Anche la presenza di nozioni astronomiche babilonesi nell'opera di Democrito di Abdera non sembra oltrepassare questi limiti; e il primo chiaro esempio di utilizzazione di un sofisticato modello geometrico è rintracciabile soltanto nell'opera di Eudosso di Cnido (attivo nella prima metà del IV sec. a.C.). Si tratta di una sistematica descrizione dei rapporti intercorrenti tra l'eclittica, l'equatore, i tropici e così via, nel tentativo di spiegare l'apparente retrogradazione dei pianeti. Eudosso sembra aver seguito un modello babilonese nel momento in cui situa gli equinozi e i solstizi al 15° dei segni zodiacali, posizione che poteva risultare accurata attorno al 1000 a.C., ma che ai suoi tempi era chiaramente errata.
Nel De divinatione di Cicerone, si afferma che Eudosso avrebbe rigettato le profezie dei Caldei (i Babilonesi) basate sulla data di nascita di un individuo (De divinatione, II, 87-88); ma, qualora questa affermazione fosse corretta, non è detto che debba riferirsi all'astrologia, visto che anche l'emerologia si basa sulla data di nascita. Una prova più convincente della conoscenza greca dell'astrologia babilonese è il brano dell'enciclopedico Teofrasto (371 ca.-287 ca.), citato da Proclo, in cui si descrive con ammirazione la teoria dei Caldei che permetteva di prevedere ogni evento della vita di un individuo e non semplicemente i cambiamenti di carattere generale, come il buono o il cattivo tempo (Proclo, In Platonis Timaeum commentarii, 3, 151).
Una delle opere di Eudosso, i Phaenomena, ha ottenuto una vasta popolarità grazie a una versione in esametri, tuttora esistente, realizzata da Arato di Soli su richiesta di Antigono Gonata, re di Macedonia. In essa si descrivono le costellazioni, il loro sorgere e tramontare in relazione al calendario, con una sezione dedicata ai segni meteorologici. L'opera si riferisce ai segni zodiacali (dodici e uguali) e contiene un elenco dei paranatellónta, calcolati secondo il sistema di misurazione del tempo babilonese (dodici ore stagionali per la notte e per il giorno), corretti per la latitudine di Babilonia. Gli astrologi utilizzavano questi elenchi quando lo Zodiaco non era visibile o quando i confini tra i segni non erano sufficientemente chiari. La popolarità dello scritto di Arato come libro di testo nel mondo greco-romano ha contribuito a rafforzare il prestigio dell'astrologia. Allo stesso periodo risale la diffusione dei parapḗgmata (letteralmente: tavole cronologiche), i quali offrivano delle previsioni del tempo basate sul sorgere e sul tramontare delle stelle più luminose; si può dunque concludere che allora in Grecia l'astrologia meteorologica (non oroscopica) fosse la forma di astrologia più popolare.
I legami tra la Mesopotamia e la Grecia divennero molto più stretti in seguito alle conquiste di Alessandro Magno e le fonti più tarde citano numerosi personaggi a cui si attribuisce il merito di aver introdotto l'astrologia in Grecia nel corso del III e del II sec.; uno di questi era Beroso, probabilmente un sacerdote babilonese trasferitosi a Coo (attivo intorno al 280 a.C.), indicato da Giuseppe Flavio, verso la fine del I sec. d.C. (Contra Apionem, I, 129), come colui che avrebbe introdotto l'astronomia nel mondo greco. Vitruvio cita Antipatro e Achinapolo come allievi della scuola di Beroso (Vitruvio, De architectura, IX, 6, 2); mentre Sudines, un indovino 'caldeo', è citato da Frontino (30 ca.-103/104) (Strategemata, I, 11, 15) e da Plinio (Naturalis historia, IX, 115; XXXVI, 59), come profondo conoscitore delle proprietà delle pietre e delle piante, importanti per l'astrologia medica. Un papiro ci ha restituito un frammento di Sudines in cui si fa riferimento agli effetti fisici dei pianeti, al potere riscaldante del Sole e a quello umidificante della Luna; e l'opinione più citata di Sudines è quella secondo cui Venere avrebbe un effetto molto negativo sulle donne. Strabone (XVI, 1, 6) definisce Sudines, Kidenas, Seleuco e Naburanius astrologi 'caldei', e si tratta probabilmente di nomi babilonesi grecizzati (a parte Seleuco).
Alcuni studiosi ritenevano che il fondatore dell'astrologia greca fosse Critodemo; contro questa ipotesi c'è però il fatto che gli oroscopi individuali attribuiti a Critodemo da Vettio Valente in realtà risalgono al I sec. d.C. e che questo autore è citato per la prima volta da Plinio nella sua Naturalis historia: con Critodemo, quindi, siamo in presenza di un sistema di astrologia oroscopica pienamente sviluppato, un sistema che è citato diverse volte da Vettio Valente e a cui fa riferimento pure Efestione di Tebe (attivo intorno al 415 d.C.) per la dottrina dei nati morti (Efestione, Apotelesmaticorum libri tres, 2, 10). Sembra più probabile che a questo sviluppo dell'astrologia in epoca alessandrina abbiano partecipato personaggi meno conosciuti, come Apollonio di Mindo ed Epigene di Bisanzio, citati da Seneca come fonti di ciò che i Caldei pensavano delle comete sia in relazione ai pianeti, sia rispetto al loro ruolo nella produzione dei tuoni e dei fulmini (Naturales quaestiones, VII, 3-4): tali questioni rimandano di nuovo al campo dell'astrologia meteorologica.
È stato recentemente sostenuto che il grande astronomo Ipparco (II sec. a.C.), autore del primo catalogo completo delle stelle visibili, derivabile in parte dai suoi commentari ai Phaenomena di Eudosso, sia stato il primo a rendere popolare l'astrologia. Se questo è vero, però, è curioso che allo stesso autore vada il merito della scoperta della precessione degli equinozi (Tolomeo, Syntaxis mathematica, IV, 2), utilizzata in seguito come argomento per negare la validità dell'astrologia (Origene, Philocalia, 23, 18). Il primo testo greco superstite che faccia riferimento alla divisione dell'eclittica in 360° è l'Anaphoricus di Ipsicle, un'opera della fine del II sec. a.C. sui tempi di ascensione dei segni zodiacali. Ipsicle, noto per i suoi commenti a Euclide, fornisce qui il momento esatto dell'ascesa sull'orizzonte di ogni singolo grado della Zodiaco ‒ un dato estremamente utile per gli astrologi. Non sappiamo se l'autore fosse egli stesso un astrologo, ma notiamo che, seguendo l'usanza degli astrologi ellenistici in Egitto, si è servito del segno della Bilancia (Libra) al posto di quello delle Chele (Chēlaí) della tradizione greca, ancora utilizzato da Eudosso. Vettio Valente nelle sue Anthologiae cita l'opera come fonte di Nechepso e Petosiride, i due scrittori egizi di astrologia in età ellenistica.
Infine, come possibile collegamento tra l'astrologia babilonese e quella greca, si può indicare Teucro Babilonese, il celebre autore della Sphaera barbarica, che le ricerche più recenti collocano però nel I sec. a.C.; la sua opera consisteva in un elenco delle costellazioni, in cui era compreso il dōdekáōros (le dodici case lunari a forma di animali che presiedevano alle dodici unità temporali, insieme ai decani di dieci gradi). Anche se le origini di questo materiale sono incerte, esso è stato ripreso da Abū Ma'ṣar Ǧa'far ibn Muḥammad al-Baḫlī nell'Introductorium magnum e da qui è passato all'arte rinascimentale. La Sphaera di Teucro era chiamata barbarica per distinguerla da quella graecanica, basata su Arato.
Il ruolo degli stoici
Gli stoici hanno sicuramente ripreso la dottrina del Grande Anno, probabilmente riconducibile a Beroso. Esiste inoltre una lunga tradizione di studi che attribuisce la vasta diffusione dell'astrologia tra le classi colte, soprattutto durante l'Impero romano, alla popolarità di questa scuola filosofica, caratterizzata da una visione fatalistica dell'esistenza e dal concetto fisico di simpatia (sympátheia) quale principio coesivo dell'Universo. In effetti, non è facile separare la storia dei rapporti dello stoicismo con l'astrologia dalle polemiche sulla validità di questa disciplina, che sono proseguite dall'età ellenistica fino ai Padri della Chiesa.
Malgrado lo stereotipo che associa stoicismo e astrologia, le più recenti ricerche hanno dimostrato che essa è entrata a far parte degli interessi della Stoa soltanto nel II sec. a.C. Questa data era stata anticipata sulla base del celebre esempio astrologico utilizzato da Crisippo (280 ca.-205 ca.) nel corso della sua discussione dei condizionali ("l'uomo nato sotto il Cane maggiore non morirà in mare"), che è probabilmente il primo oroscopo pervenutoci (Cicerone, De fato, 6, 12; 8, 16); ma anche in seguito, secondo Cicerone (e in modo inequivocabile, nella parte scettica del De divinatione), l'adesione degli stoici all'astrologia sarebbe stata sempre limitata. Lo scolarca Diogene di Seleucia, detto il Babilonio, che giunse a Roma come ambasciatore nel 156, si sarebbe espresso con cautela sull'argomento, affermando che gli astrologi potevano scoprire la predisposizione di un fanciullo per una certa attività e nulla di più, citando, inoltre, anche il caso dei gemelli, il locus classicus della polemica filosofica antiastrologica (De divinatione, II, 90). Quanto al successore di Diogene alla guida della Stoa, Panezio, è addirittura indicato da Cicerone come l'autore degli argomenti antiastrologici presenti nel suo dialogo.
La tesi di un ruolo rilevante degli stoici nella diffusione dell'astrologia si basa essenzialmente sulla figura di un altro scolarca, Posidonio (135 ca.-metà I sec.), giunto a Roma come ambasciatore nell'87 a.C., la cui opera ‒ che sembra si estendesse ai campi della lessicografia, della storia, della geografia, della meteorologia e della geometria, oltre a quello dell'astrologia ‒ è andata interamente perduta, a parte alcune citazioni frammentarie raccolte da altri autori. Cicerone seguì le sue lezioni nel 78 a.C. ed è attendibile quando ci descrive un Posidonio così interessato allo studio del cielo da dedicarsi alla costruzione di una sfera armillare. Probabilmente bisogna supporre che dietro le parole fatte pronunciare da Cicerone al proprio fratello Quinto sul rapporto tra stoicismo e divinazione (nel De divinatione) sia in realtà da rintracciare la figura di Posidonio; tuttavia l'informazione più importante su di lui la dobbiamo ad Agostino (354-430), che lo definisce "molto dedito all'astrologia […] un instancabile avvocato del potere degli astri sul fato" (De civitate Dei, V, 2).
Al di là del ruolo di Posidonio, è comunque probabile che la Stoa si trovasse all'origine dell'ambizioso progetto che mirava a inserire l'astrologia in un corpo coerente di discipline che comprendeva non soltanto vari generi di divinazione, ma anche la medicina, la geografia e forse la fisiognomica. Da lungo tempo si pensa che i capitoli introduttivi della Tetrabiblos di Tolomeo, oltre a quelli sulla corografia, fossero ripresi da Posidonio, visto il noto interesse di questo autore per la geografia e l'etnografia. È comunque certo che il concetto stoico di sympátheia, secondo il quale tutto nell'universo partecipa di una 'simpatia' cosmica, cosicché dalla disposizione di una sua parte è possibile risalire a quella di qualsiasi altra parte, abbia fornito un'utile giustificazione teorica all'astrologia.
Le corti ellenistiche e l'astrologia
Le corti dei sovrani ellenistici rappresentavano un terreno istituzionale favorevole allo sviluppo di diverse forme di attività culturali, tra le quali l'astrologia, anche se nella maggior parte dei casi l'interesse era rivolto principalmente allo studio del cielo. La scoperta di una nuova costellazione da parte di un astronomo della corte di Tolomeo III (288/280-221 a.C.) è stata celebrata da Callimaco nel suo celebre poema sul ratto del ricciolo della regina Berenice (246 a.C.); mentre Eratostene di Cirene (276/272-196/192), un allievo di Callimaco e come lui poeta di corte, era anche un geografo e un astronomo, e in quanto tale calcolò le grandezze e le distanze del Sole e della Luna. Nel suo poema Katasterismoí (Elevazioni agli astri), di cui si è conservata un'epitome, Eratostene trattò in termini generali il tema dell'elevazione alle stelle, accompagnandola con il racconto dei diversi miti sull'argomento e contribuendo così all'istituzionalizzazione dei temi riguardanti gli astri nella poesia di corte.
La dedica ad Antioco I Sotere di Siria dei Babylōniaká di Beroso, la protezione concessa da Antigono Gonata di Macedonia ad Arato e la richiesta di un pronostico da parte di Eumene a Sudines, già menzionato, testimoniano l'importanza assunta dalla protezione dei sovrani ellenistici all'astrologia. Ciononostante sappiamo molto poco della pratica astrologica nell'età ellenistica, soprattutto in confronto all'Impero romano. L'unico caso di un uso pratico dell'astrologia, ossia il pronostico di Sudines nella guerra contro i Galati, in effetti è citato più come un extispicio che come un oroscopo. Abbiamo poi notizia di oroscopi eseguiti per la fondazione delle città sotto i sovrani ellenistici, un'usanza introdotta, a quanto pare, da Seleuco, successore di Alessandro, e divenuta consueta al tempo di Cicerone. Simboli astrologici si trovano sulle monete di quest'epoca; e si sa che Demetrio Poliorcete possedeva un mantello ricamato con le immagini delle costellazioni e dei segni zodiacali. Da tutto ciò si può dunque dedurre che l'astrologia svolgesse un ruolo nella promozione dell'identità dei sovrani e delle città, anche se la nostra conoscenza di questo fenomeno è ancora limitata.
Nascosto tra i monti del Tauro, si può ammirare il prodotto più spettacolare dell'astrologia di corte ellenistica: un bassorilievo raffigurante un leone circondato da sette stelle, disposte con la massima accuratezza. Si tratta dell'oroscopo che Antioco I di Commagene, tornato sul trono per l'intervento di Pompeo, fece eseguire per il giorno della sua incoronazione, il 6/7 luglio del 64 a.C.; ed è il primo esempio di questo uso dell'astrologia, divenuto comune tra gli imperatori romani.
L'Egitto
Esistono alcune testimonianze dell'uso egizio dell'astrologia ‒ da distinguere da quello greco-romano ‒ negli óstraka (frammenti di terracotta) e nei papiri in demotico (il volgare egizio). Il primo óstrakon con un elenco dei pianeti e dei segni è stato fatto risalire, in base a calcoli astronomici, a prima del 250 a.C., data che sembra essere però troppo remota per un documento di questo genere. Gli altri óstraka di cui si conosce la datazione, infatti, appartengono tutti a un periodo compreso tra il 17 a.C. e il 132 d.C., e sembrano far uso di simboli babilonesi. Anche le celebri Tavole eterne, considerate egizie, sembrano derivare in realtà dagli almanacchi babilonesi; e l'uso di metodi trigonometrici non è riscontrabile fino a un periodo molto più tardo, analogamente a quanto si osserva tra gli scrittori greci. Vi sono papiri in demotico del periodo romano, che contengono materiale di astrologia 'giudiziaria' e che, in base alle predizioni, sembrano contenere delle fonti anteriori, probabilmente della metà del II sec. a.C. (ma che potrebbero appartenere alla fine del I sec. a.C.; v. oltre). Nello stile, infatti, si adattano ai modelli babilonesi, fornendo predizioni per l'avvenire del sovrano e del regno, con l'aggiunta di alcuni riferimenti ai pianeti e allo Zodiaco. Questo genere di pronostici coesisteva con gli oroscopi, alcuni dei quali, in demotico, risalgono al I sec. a.C. (anche se probabilmente erano tutti opera dello stesso astrologo), mentre altri genetliaci scritti in greco su papiro sono stati ritrovati a partire dal 10 a.C.
Rimane ancora da stabilire il ruolo preciso svolto dall'Egitto nello sviluppo della teoria astronomico-astrologica, e anche se esiste un'antica tradizione secondo cui tutto il sapere astrologico avrebbe avuto origine in questo paese, le più recenti ricerche suggeriscono tuttavia una maggiore cautela. Non c'è dubbio che il contributo dell'antico Egitto allo sviluppo dell'astrologia sia stato limitato dal carattere rudimentale delle conoscenze matematiche utilizzate, in confronto a quelle possedute dai Babilonesi; tuttavia proprio in questo paese per la prima volta ‒ probabilmente già dal III millennio a.C. ‒ è stato adottato il calendario con il mese di trenta giorni, più confacente alle esigenze degli astronomi e degli astrologi. A differenza del più schematico calendario babilonese, quello egizio era stato unificato e, dopo l'aggiunta di cinque giorni nell'età ellenistica, ha continuato a essere utilizzato fino ai tempi di Copernico. Un altro importante contributo egizio all'astrologia, probabilmente distorto con l'andare del tempo, è stata la scoperta dei decani, originariamente nati come un elenco di costellazioni utilizzato per misurare il tempo in base a un intervallo di dieci giorni, che già nel 2100 a.C. era stato raffigurato su alcuni sarcofaghi. In età ellenistica, i decani sono stati usati per rappresentare dieci gradi dello Zodiaco e i loro nomi originali sono nuovamente comparsi nella letteratura astrologica.
Le prime raffigurazioni dello Zodiaco compaiono nei templi egizi a partire dal 250 a.C.; e per delineare la storia dell'astrologia egizia non è possibile escludere un influsso mesopotamico, visto che l'Egitto è stato conquistato dai Persiani nel 525 a.C., data che precede tutte le principali scoperte in campo astrologico. Di fatto, l'ipotesi che esistessero dei rapporti fra la Mesopotamia e l'Egitto indipendentemente dalla Grecia, è suggerita per esempio dalla raffigurazione dello Zodiaco egizio, che includeva la Bilancia e lo Scorpione come segni distinti, mentre in quello greco la Bilancia era identificata con le chele dello Scorpione.
L'ermetismo
Anche se sfortunatamente non ci sono rimasti testi teorici contemporanei agli oroscopi su óstrakon o su papiro, gli studiosi ritengono che l'astrologia oroscopica si sia sviluppata in forma autonoma, distinguendosi dalle sue origini babilonesi, proprio nell'Egitto tolemaico. Si è ipotizzato che testi di teoria astrologica siano stati scritti all'interno della tradizione ermetica, di cui si sente spesso parlare nella Tarda Antichità, ma sulle cui origini si sa ben poco. È certo che al tempo di Clemente Alessandrino (145/150 ca.-211/217 ca.) esisteva un corpus di scritti che pretendevano di raccogliere gli insegnamenti di Ermete, detto il Trismegisto (tre volte grandissimo), che era assimilato al dio egizio Toth o ad altre divinità a quest'ultimo strettamente associate, come Asclepio; Clemente Alessandrino, infatti, cita un corpus di 42 libri che includeva quattro testi 'astrologici' (Stromata, 6, 4, 35-37).
Fino al 1945, i testi disponibili (il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto, l'Asclepio dello Pseudo-Apuleio e i frammenti raccolti da Stobeo) suggerivano l'idea di opere sostanzialmente greche, con un'apparenza egizia; ma il ritrovamento a Nag Hammadi di testi in lingua copta risalenti al IV sec., tra i quali tre testi ermetici (che testimoniano dell'esistenza di molti altri), ha portato gli studiosi a riconsiderare l'intera questione a favore dell'Egitto. E l'attenzione degli storici si è concentrata fino a oggi più sui trattati filosofici che su quelli strettamente tecnici di astrologia e alchimia. Nelle opere 'filosofiche', privilegiate dai compilatori cristiani, è infatti indicato il ruolo delle entità astrologiche nel pensiero ermetico e il loro influsso sul destino degli uomini. Nel fr. 20 di Stobeo si afferma che le stelle esercitano il loro influsso mescolando l'elemento caldo con quello freddo; nel fr. 29 si sottolinea il ruolo dei pianeti, che agirebbero attraverso il soffio (pneũma) dell'etere (la sostanza celeste), mentre nel fr. 22 sono i decani, come sarebbe lecito attendersi da un testo di ispirazione egizia, a esercitare l'influsso determinante, assicurando la somiglianza dei figli con i loro genitori e antenati. Il fr. 6 assegna ai decani un ruolo cosmologico preminente, descrivendoli come entità che separano il circolo dello Zodiaco da quello dell'Universo, sostengono quest'ultimo e circoscrivono lo Zodiaco e i pianeti.
I decani sono più potenti dei pianeti, come dimostra il fatto che non sono soggetti al moto retrogrado o a essere eclissati dal Sole, governano tutti gli avvenimenti più importanti (guerre, carestie e pestilenze) e comandano su armate di demoni, ministri, servitori e soldati. Nelle Definizioni di Asclepio al re Ammon (Corpus Hermeticum, 16) è descritta una gerarchia meno complessa, formata da reggimenti di demoni, comandati dai pianeti a loro volta guidati dal Sole, e che assumono il proprio incarico al momento della nascita. L'idea di una complessa gerarchia che popola l'Universo, tuttavia, è tipica della mentalità tardo-antica, e in particolare di quella gnostica (Firmico, Nathesos, 2,4, 4-6). L'eco dello gnosticismo è particolarmente avvertibile nella descrizione della graduale liberazione dal corpo materiale e dalle catene del controllo dei demoni del fato, durante l'ascesa dell'anima attraverso le sette sfere celesti (Corpus Hermeticum, I).
I pochi testi greci di tecnica astrologica attribuiti a Ermete Trismegisto non si trovano nelle principali compilazioni, ma provengono da fonti più tarde e le loro origini non sono esattamente databili. Essi comprendono un testo di astrologia oraria, il Metodo segreto di Ermete per ogni impresa (Catalogus codicum astrologorum Graecorum, VIII, 1, pp. 32-33; pp. 172-177), e un altro sulle case (ibidem, VIII, 4, pp. 126-174), citato da Trasillo. Ci è pervenuto inoltre un breve testo sui significati del tuono nei diversi mesi, classificati in base alla posizione del Sole nello Zodiaco (ibidem, VII, p. 226 e segg.), e un altro sui terremoti, basato sugli stessi principî (ibidem, VII, pp. 167-171). Il commento a Paolo Alessandrino di Eliodoro (500 ca.) contiene un frammento di un ermetico Panareto, in cui è esposta la dottrina delle Sette Sorti corrispondenti ai sette pianeti (ibidem, IV, p. 81; V, 1, p. 75; cfr. V, 3, p. 63).
Il testo latino noto come Liber Hermetis, pubblicato soltanto nel 1936, è una compilazione di testi di astrologia ermetica del VI sec. nella quale sono mescolate fonti diverse, senza dubbio distanti tra loro nel tempo; e la presenza di alcuni capitoli tratti da Vettio Valente accentua ulteriormente la confusione cronologica della raccolta. Vi si trova una dettagliata descrizione dei decani, delle stelle luminose, delle stelle fisse in generale, delle eclissi lunari, delle congiunzioni dei pianeti e dei rapporti dei pianeti con i segni e i 'termini' (hória) all'interno dei segni. Sono descritti inoltre i metodi per eseguire predizioni sulla durata della vita, il matrimonio, i parenti, le morti violente, i giorni fausti e infausti. E oltre a una corografia decanale, sono esposti alcuni principî di medicina astrologica o iatromathēmatikḗ, mettendo in relazione i decani con alcune malattie o certe parti del corpo.
Sebbene gli antichi Egizi fossero celebri per le loro conoscenze mediche, l'esistenza di legami con questa tradizione appare improbabile; e l'importanza dei decani in molti testi è l'unico elemento di indubbia origine egizia. Erano stabilite una serie di associazioni (simpatie) tra le entità astrologiche, le malattie e il loro andamento, da una parte, e le sostanze per curarle, dall'altra. Il concetto chiave era quello di melothesía, termine che indica l'assegnamento delle varie parti del corpo alla protezione dei pianeti, mentre la logica di base del procedimento consisteva nel rafforzare, o lavorare simpateticamente con le influenze positive (con erbe o amuleti 'simpatetici'), e attaccare quelle negative con i loro opposti (con erbe 'antipatetiche', ecc.), lasciando anche in questo caso un ampio margine per le variazioni sul tema. La medicina astrologica era sufficientemente avanzata da giustificare il suo nome ufficiale (iatromathēmatikḗ) e da guadagnarsi il rispetto di grandi personalità come Tolomeo (Tetrabiblos, I, 3, 15-16) e Galeno (De diebus decretoriis, K, IX, 901 seg.); essa è presente in tutti i principali trattati e anche in una serie di testi minori difficilmente databili. I trattati attribuiti a Ermete o ad Asclepio comprendono la Iatromatematica, dedicata da Ermete al suo discepolo Ammon (Ideler 1841, I, pp. 387-396), dove si descrive il paradosso di un pianeta benefico responsabile di alcune malattie; il Libro sacro di Ermete ad Asclepio (Catalogus codicum astrologorum Graecorum, VII, pp. 232-233; VIII, 3, pp. 193-194); Piante e pietre delle quindici stelle fisse (tradotto da Māšā᾽ Allāh, in: Delatte 1942, pp. 237-238) e i Pronostici tratti dal momento del decubito del paziente (Ideler 1841, I, pp. 430-440). Quest'ultimo testo appartiene a un genere piuttosto diffuso che, sulla base della dottrina dei 'giorni critici', permetteva di predire se e quando il paziente sarebbe guarito.
Un tipico testo di questa categoria, databile tra il II sec. a.C. e l'epoca di Tolomeo è inoltre l'opera intitolata Prognostica de decubitu attribuita a Galeno, che mescola elementi della fisiognomica con altri tratti dalla medicina e dall'astrologia. Altra importante opera, assegnata da Giamblico (250 ca.-330 ca.) al Corpus Hermeticum, è la Salmeschniaca, che contiene una descrizione dei decani (con i loro nomi egizi) e di altre entità astrologiche. L'influenza babilonese è chiaramente avvertibile negli accenni al dio Nebu, nell'adozione di intervalli di cinque giorni al posto dei decani e nel titolo stesso, che significa 'settantadue immagini'.
Nechepso e Petosiride
Nella tradizione ermetica, i nomi che sono associati con maggiore frequenza all'astrologia sono quelli di Nechepso e Petosiride (Pseudo-Manetone, 6, 738; Catalogus codicum astrologorum Graecorum, VIII, 4, p. 95); e anche se il materiale che li riguarda ci è giunto soltanto attraverso citazioni di fonti molto più recenti, è comunque più consistente di quello attribuito allo stesso Ermete. Anche i due nomi, a differenza di quelli di Ermete o di Asclepio, sono pseudoepigrafici, essendo appartenuti il primo a un antico faraone (XXVI dinastia, 664-525 a.C.) e l'altro a un sacerdote (non posteriore al 341 a.C.). Esiste un testo (Riess 1892) che raccoglie non soltanto tutti i passi degli antichi Egizi che riguardavano l'astrologia e la magia, ma anche tutte le citazioni che si riferivano a Nechepso e Petosiride, e in base al quale si dimostra quanto fosse solida e diffusa presso gli antichi la loro fama di fondatori dell'astrologia. Alcuni studiosi ne hanno dedotto che dovesse esistere un'opera, o un corpus di testi, che circolava sotto il loro nome e che rappresentava una sintesi delle conoscenze più antiche, ma sembra poco plausibile che tutte le citazioni provenissero dagli stessi autori o dallo stesso testo, anche tenendo conto del carattere eclettico delle opere di astrologia. Una volta di più, tutto ciò rende difficile stabilire una cronologia.
I testi sembrano appartenere a quattro gruppi distinti, il primo dei quali ‒ pervenutoci attraverso fonti più tarde, come Efestione, Proclo (410-485) e Giovanni Lido (490 ca.-560 ca.) ‒ riguarda la discussione dei presagi celesti. Si tratta di predizioni valide per l'Egitto e per l'intero continente euroasiatico, riguardanti eventi databili come le eclissi, e sulla cui base la compilazione di Nechepso e Petosiride verrebbe fatta risalire alla metà del II sec. a.C. La descrizione degli eventi contiene però evidenti reminiscenze dell'opera di storici più tardi, come Polibio (200 ca.-120 ca.) e Diodoro Siculo (attivo tra il 60 e il 30), dunque non è possibile escludere una datazione più tarda. La stessa citazione che riguarda le eclissi (1, 23, fr. 12) contiene un passaggio che sembra provenire da un'altra tradizione e che (se l'ipotesi della maggiore antichità fosse corretta) potrebbe costituire la più antica descrizione pervenutaci del modo in cui i pianeti influiscono sulla Terra, basata sulla fisica aristotelica (secondo cui la forza si trasmette attraverso le sfere celesti al mondo sublunare). Segue poi una classificazione dei pianeti benefici e malefici e una discussione parziale degli aspetti. In questo frammento, tuttavia, manca un esplicito riferimento a Nechepso e Petosiride.
Il secondo gruppo di frammenti appartiene a un genere differente, l'astrologia oroscopica, e non vi sono elementi che ne consentano la datazione. Uno dei frammenti più interessanti, il cui tono profetico rammenta da vicino la letteratura mistica ermetica, ci è giunto attraverso l'opera di Vettio Valente. In esso si narra di una visione avuta da Nechepso, che è all'origine di un poema in 13 libri. Complessivamente, Vettio Valente fa riferimento quarantadue volte alla coppia Nechepso-Petosiride, e in particolare a un'opera di Petosiride intitolata Definizioni. Nei testi di questo gruppo, che riflettono una complessa elaborazione teorica, è presentato un metodo per calcolare la durata della vita, basato sui tempi di ascesa tra l'ascendente e il nonagesimo o mezzo cielo (fr. 16; 17; 5), la data del concepimento (fr. 14) e la posizione del punto di fortuna. Vi si trova anche un'analisi dei periodi favorevoli e sfavorevoli della vita, basata sui transiti dei pianeti in rapporto al tema natale e su altri metodi di predizione. Il fr. 25, trasmessoci da Firmico Materno (scritto tra il 334 e il 337), stabilisce il tema natale dell'universo, il thema mundi, che l'autore afferma di aver appreso da Ermete (Mathesis, 3, 1). Nell'opera di Vettio Valente si sono conservati anche altri frammenti, riguardanti i diversi aspetti della vita, come i viaggi, gli infortuni, i figli e la morte.
Gli ultimi due gruppi di frammenti descrivono i legami tra l'astrologia e altre discipline, in particolare la medicina, ma anche la magia. Il terzo gruppo è composto da testi di iatromathēmatikḗ, mentre il quarto comprende due schemi numerologici, solitamente utilizzati per le prognosi mediche. Si tratta di schemi piuttosto rozzi di cui esistono numerose versioni a testimonianza della loro popolarità (Catalogus codicum astrologorum Graecorum, VII, p. 160). Questi schemi possono darci un'idea di ciò che si intendeva comunemente per astrologia: un'attività praticata per strada dietro modesto compenso, ai mercati o al Circo Massimo a Roma, e che non ha quasi nulla a che vedere con l'astrologia dei trattati.
In conclusione, la ricostruzione cronologica del contributo egizio allo sviluppo dell'astrologia, comunemente accettata dagli studiosi, appare la più probabile, anche se la frammentarietà del materiale trasmesso attraverso l'opera di autori posteriori non consente di stabilire una datazione precisa. I documenti di cui disponiamo, almeno nella forma in cui ci sono giunti, testimoniano l'esistenza sia di un complesso sistema astrologico, sia di una letteratura divinatoria dotata di radici molto più antiche, senza che esista alcun materiale in grado di illustrare il processo che ha condotto da questi testi più antichi a quelli più recenti.
La datazione tradizionale situa l'inizio di questo processo al II sec. a.C., e questa data è giustificata sia dall'intensificarsi dei rapporti tra Babilonia e l'Egitto nel periodo ellenistico, sia dal fatto che sono concessi due secoli all'assimilazione delle innovazioni apportate nel IV sec. dai Babilonesi all'astrologia oroscopica e all'astronomia, tenendo conto del fatto che queste implicavano una sofisticata applicazione della matematica allo studio del cielo. Infine è a partire dal II sec. che si verifica un incremento dell'interesse degli ambienti intellettuali per argomenti di questo tipo, all'interno di un contesto istituzionale almeno potenzialmente favorevole, come le corti ellenistiche. Il fatto che vi siano numerosi papiri che risalgono alla fine del I sec. può quindi essere messo in relazione con la nuova diffusione di queste discipline. Sembra allora ragionevole accettare la datazione tradizionale che situa nel II sec. a.C. lo sviluppo dell'astrologia come disciplina vera e propria, anche se la natura di questo sviluppo rimane ancora da chiarire.
Con la nascita dell'Impero romano, l'astrologia ha acquistato un ruolo e un'importanza di primo piano. In particolare, se nella Roma repubblicana, quando il potere era nelle mani dei senatori, i metodi tradizionali di divinazione svolgevano un ruolo fondamentale, con l'affermazione della nuova monarchia questi metodi sono sostituiti dall'astrologia. E quei generali che si sono impadroniti del proprio potere personale con le armi, sono sempre più spesso accompagnati dal loro astrologo. Infine, quando il principato si afferma definitivamente, Augusto assegna all'astrologia il ruolo chiave di legittimazione del potere, facendo imprimere il simbolo del proprio segno zodiacale, il Capricorno, sulle monete che circolavano in tutto l'Impero e facendo erigere nel Campo Marzio una gigantesca meridiana, per celebrare l'associazione del Capricorno con la rinascita del Sole. Non sappiamo se un uso propagandistico così accentuato dell'astrologia fosse già nelle abitudini dei sovrani ellenistici, ma sicuramente dal mondo ellenistico non ci è giunta notizia di episodi di contestazione della legittimità dei sovrani in carica da parte di astrologi al seguito di altri pretendenti al trono, né di decreti di proscrizione o di condanne per alto tradimento emesse contro gli astrologi, come avveniva nell'Impero romano.
A partire dal I sec. a.C., la crescente importanza dell'astrologia è rintracciabile in una grande quantità di testi greci, greco-romani e latini. Gemino di Rodi, vissuto probabilmente nel I sec. a.C., ha scritto una Introduzione ai fenomeni di carattere astronomico, in cui si esamina l'astrologia nel contesto dello Zodiaco e dei pianeti. Rispetto ai testi astronomici più antichi, l'opera riserva uno spazio significativamente più ampio all'astrologia, anche se non presenta ancora quel genere di adesione incondizionata manifestata da Tolomeo. Da una parte, Gemino sembra adottare la teoria dei Caldei, secondo cui i pianeti che transitano nei segni in opposizione possono avere effetti benefici o malefici, a seconda della loro natura, e parla in termini generali delle 'simpatie' prodotte dagli aspetti planetari. D'altra parte egli ritiene che debba esserci una versione più logica di questa teoria, che attribuisca un maggiore influsso reciproco ai segni contigui. Infine Gemino si mostra scettico nei confronti dell'astrologia meteorologica, affermando che le stelle sono semplici segnali dei cambiamenti del tempo e non la loro causa, e ammette l'esistenza di importanti emanazioni che sarebbero prodotte dai pianeti, ma non dalle stelle fisse (2, 1, 5 seg.; 1, 17, 1-38).
Nella misura in cui a Roma è approfondito lo studio di opere greche del tipo di quella di Gemino, i Romani iniziano a impadronirsi di questo settore della cultura greca adattandolo alle proprie esigenze. I primi astrologi romani di cui si ha notizia sono Nigidio Figulo e Lucio Taruzio. Il primo, un senatore amico di Cicerone, a cui è attribuita una rinascita del pitagorismo, ha scritto opere di grammatica e altre che riguardano non soltanto i metodi tradizionali romani di divinazione, ma anche le dottrine stoico-babilonesi sull'apocalisse per conflagrazione, i catasterismi e le Sphaerae (graecanica et barbarica). Gli scrittori più tardi ne parlano come del massimo astrologo della sua epoca, capace di predire il successo di Augusto e le devastazioni della guerra civile (Svetonio, De vita Caesarum, II, 94, 5; Lucano, Pharsalia, I, 649-665). Ci è pervenuta una collezione di suoi frammenti, alcuni dei quali assai rilevanti.
Taruzio, che conobbe Cicerone, fu incaricato da Varrone di stilare gli oroscopi di Romolo e di Roma (De divinatione, II, 98; Plutarco, Romulus, 12, 4) e, nel suo compendio delle discipline intellettuali, Varrone dedicò un'intera sezione all''astrologia' (intesa forse nel senso di astronomia). Il nuovo prestigio acquisito a Roma dall'astrologia e la sua diretta connessione con Augusto sono testimoniati dalla frequenza con cui le tematiche astrologiche sono utilizzate dai poeti di corte, usanza che raggiunge il proprio culmine con Marco Manilio.
Manilio
Con il poema latino di Marco Manilio, intitolato Astronomica, si acquisiscono finalmente dei dati certi, potendo disporre di una precisa data di composizione (9-15 d.C.) e di un testo completo (sebbene apparentemente incompiuto), ricco di accenni agli eventi contemporanei e di ossequiosi riferimenti ad Augusto e al suo successore Tiberio. Si tratta del primo trattato didascalico di ampio respiro che sia giunto fino a noi, un'opera in versi sulla storia del cielo, di cui si sono già avuti degli esempi. Questo genere di lavori era infatti quasi sempre un prodotto dell'ambiente di corte e non c'è dubbio che Manilio, seguendo la tradizione che associava astrologia e monarchia, aspirasse a divenire l'Arato romano. Il debito verso i modelli ellenistici è particolarmente evidente, nel Libro I, nella descrizione delle costellazioni, dei pianeti e dei circoli celesti, oltre che nell'excursus sul mito di Perseo e Andromeda, presente nella sezione sui paranatellónta del Libro V. Si tratta sicuramente di un materiale impegnativo per un poema latino e infatti Manilio stesso afferma di essere il primo a cantare (ossia a scrivere in versi) di astrologia (I, 4), intendendo naturalmente di essere il primo a farlo in latino.
L'opera è molto esauriente, con un libro introduttivo che precede la teoria astrologica e che include una sezione dedicata alla cosmologia, in cui non soltanto è esposta la teoria che l'Universo sia stato creato dall'unione dei quattro elementi, ma è fornita una breve esposizione dei principî generali dell'astronomia e una descrizione delle comete e delle meteore. Nel Libro IV è esposta la teoria dei rapporti tra le eclissi lunari e i segni, oltre a una corografia, simile per alcuni aspetti a quella di Doroteo ma dotata anche di caratteristiche del tutto originali. Non si parla affatto, invece, dell'astrologia oraria e ben poco della iatromathēmatikḗ, a parte una breve melothesía nel Libro II.
Un tratto caratteristico di questo poema è l'importanza attribuita all'idea del fato, anche in connessione con la dottrina stoica, che in quel periodo a Roma godeva di grande popolarità. Manilio trasforma questa idea in un grande motivo poetico che sottende tutta la sua opera. Il legame tra l'umano microcosmo e un più vasto macrocosmo è chiaramente enunciato in questi termini: "quale meraviglia che gli uomini possano conoscere l'universo, quando hanno l'universo in sé stessi e ciascuno è in piccolo un'immagine di Dio?" (IV, 893-895). Nella versione che ci è pervenuta, l'opera si interrompe bruscamente senza aver trattato dell'influsso dei pianeti; questa lacuna può però essere colmata grazie a un autore più tardo, Firmico, il quale si è chiaramente ispirato a Manilio o a una fonte comune. L'oscurità di numerosi passaggi, come nel caso della descrizione, presente nel Libro III, delle qualità conferite dai segni, dai decani e dai gradi individuali (dei quali non è chiaro se sia significativa la loro posizione rispetto all'ascendente o qualche altra caratteristica) è dovuta molto probabilmente all'incompiutezza dell'opera.
Anche se Manilio propone dei metodi tra loro incoerenti, come nel caso del Libro II e III, dove si affronta l'argomento delle case e delle sorti come governatori di determinati campi dell'esistenza, oppure quello dei diversi metodi per calcolare l'ascendente negli stessi libri, alcuni dei quali ignorano le difficoltà derivanti dall'inclinazione dell'eclittica, tuttavia questa incoerenza non è, come si è a volte affermato, una dimostrazione della sua scarsa competenza, bensì una caratteristica comune a tutti i trattati teorici di astrologia, che risentivano di un preciso contesto istituzionale ‒ la relazione maestro-discepolo e il dibattito competitivo (agṓn) ‒ il quale favoriva questo genere di esposizione. È vero, d'altra parte, che Manilio ricorre con maggiore frequenza rispetto ad altri autori a metodi scarsamente elaborati, come nel caso del suo approccio a una delle più importanti (e conosciute) questioni dell'astrologia, il metodo per determinare la durata della vita.
Doroteo di Sidone
Esiste una datazione certa dello scritto di Doroteo, il secondo testo interamente pervenutoci, dopo quello di Manilio: questo scritto, infatti, nella versione araba della versione Pahlavi, contiene degli oroscopi che vanno dal 7 al 43 e si sa che è stato composto tra il 25 e il 75; si sono conservati alcuni frammenti dell'originale greco, ma l'unica versione completa conosciuta è in arabo. Malgrado il fatto che Doroteo sia passato alla posterità come nativo di Sidone in Fenicia, egli è in realtà originario dell'Egitto: nel proemio, infatti, si definisce "l'Egizio" e sostiene di scrivere per il figlio Ermete. Più avanti specifica di essere un seguace di Ermete (2, 20, 1), anche se non si è ispirato soltanto a questa tradizione, ma ha raccolto il meglio di quanto aveva appreso in Babilonia e in Egitto.
Nella versione che ci è pervenuta, Doroteo non affronta le grandi tematiche del fato e della cosmologia. Il poema si apre con la complessa questione di come determinare le posizioni dei pianeti e dei cardini, alla quale è strettamente connesso il problema dei tempi di ascesa. Dal testo in nostro possesso non è possibile stabilire se la questione fosse affrontata con maggiore chiarezza rispetto a Manilio, anche se è possibile rilevare una maggiore sofisticatezza. Nel seguito dello scritto è evidente una totale mancanza di ordine, specialmente se confrontato con il testo di Manilio. Le sue esegesi delle dottrine sulle esaltazioni dei pianeti, sui ruoli dei cardini e delle case, sui pianeti, sulle sorti e sui segni, sono confusamente mescolate con la discussione di problemi inerenti alla nascita: le difficoltà del parto, la sopravvivenza e l'allevamento del neonato, il suo sesso, il suo destino di uomo libero o di schiavo, i suoi genitori e consanguinei e tutti gli aspetti della sua successiva esistenza. Anche nel Libro II l'esposizione delle dottrine è mescolata a questioni di carattere pratico, come le predizioni riguardanti il matrimonio e i figli (che tipo di matrimonio, il numero delle mogli e dei figli di entrambi i sessi, con una sezione dedicata ai rapporti omosessuali).
Nei Libri III e IV si manifesta la superiorità tecnica di Doroteo su Manilio: il Libro III è incentrato sulla durata della vita, che è calcolata con diversi metodi, più complessi di quelli usati da Manilio anche grazie all'uso delle tavole astronomiche; il Libro IV esamina la prorogazione dei pianeti, con una particolare attenzione ai loro transiti nel tempo sulle posizioni dell'oroscopo di nascita e ai loro influssi sulla salute, fisica e mentale, sulle lesioni (compresa la castrazione) e sulle morti violente. Il Libro V è dedicato all'astrologia oraria, trascurata da Manilio, con un'ampia gamma di esempi che ci permettono di gettare uno sguardo sugli interessi della clientela, orientati verso argomenti come la fuga di uno schiavo o di una moglie o la richiesta di un favore a un uomo importante. Nel capitolo finale troviamo un'analisi dei nodi lunari, destinati a svolgere un ruolo importante nell'astrologia araba, derivata da Doroteo, ma quasi del tutto ignorati dalla tradizione greco-romana, proseguita nel mondo occidentale.
Un altro trattato astrologico in versi, contenente materiali di poco posteriori a Doroteo, sono i Pronostici (Apotelesmatica) attribuiti a Manetone, un nome scelto presumibilmente per evocare l'idea di un sacerdote egizio (si chiamava così un sacerdote di età ellenistica autore di una storia dell'Egitto in greco). Si tratta di una compilazione piuttosto rozza di materiali provenienti da diversi periodi, chiaramente influenzata da Doroteo, e l'autore vi inserisce il proprio oroscopo, databile all'80 d.C.
Oroscopi greci
Oltre ai trattati completi a noi pervenuti, un'altra fonte importante sono gli oroscopi presenti in quei testi che non costituivano un'opera vera e propria, come i frammenti presenti nei papiri egizi, o gli óstraka e i graffiti. La raccolta più completa di questo genere di testimonianze è stata finora quella di Neugebauer (1957), in cui sono contenuti anche gli oroscopi presenti nei trattati. Questo genere di fonti ci permette di farci un'idea di quella che doveva essere la pratica astrologica, almeno in Egitto, suggerendo l'ipotesi che non sempre le diverse e sofisticate dottrine presenti nei trattati erano poi trasposte nella pratica. Quasi tutti i documenti di questo tipo sono semplici elenchi di posizioni planetarie (in ordine variabile), accompagnati da rari riferimenti all'ascendente e alla parte della fortuna. I quattro cardini sono citati tutti insieme soltanto in un oroscopo presente in un testo scritto e in cinque papiri. Circa un quarto di questo tipo di fonti menziona le sorti. Ulteriori elementi sono presi in considerazione soltanto nel caso di un successivo approfondimento nei testi letterari. È significativo inoltre che le posizioni planetarie siano calcolate servendosi delle 'tavole manuali', spesso senza specificare i gradi interni al segno.
Per il 95 d.C. noi possediamo il più lungo oroscopo pervenutoci da una fonte non letteraria, ritrovato probabilmente insieme a delle tavole planetarie in demotico, e intitolato l'Antico oroscopo copto. Si tratta di un testo scritto parte in greco e parte in copto che contiene delle predizioni accurate per il corso di un'intera esistenza. Queste predizioni, tuttavia, sono così contraddittorie da indurre alcuni studiosi a ritenere che potesse essere un trattato teorico, nonostante i suoi evidenti legami con l'oroscopo. È possibile in effetti considerare questo testo come una 'ricerca' dell'astrologo, ma soltanto nel senso che si tratterebbe di un tentativo di trarre da un oroscopo individuale tutte le conseguenze delle contraddizioni scaturite dalla teoria astrologica. L'abilità consisteva nella capacità di presentare dati di questo tipo al cliente, con la certezza che nessuno potesse apprendere l'astrologia soltanto dai libri. L'oroscopo contiene inoltre delle variazioni di metodi già noti da altre fonti, dimostrando ancora una volta la propensione degli astrologi all'individualismo.
Imperatori e astrologi
Nel testo attribuito a Manetone si insiste molto sulla necessità di evitare di stendere oroscopi agli imperatori, un tema che riaffiorerà in Firmico, un autore del IV sec. Questa indicazione era in linea con la legislazione varata da Augusto nell'11 a.C., che prevedeva l'esilio o la morte per gli astrologi che accettavano di indagare la morte di qualcuno o, più semplicemente, di fornire consulenze ai privati. I decreti di espulsione emessi contro gli astrologi (sei nel I sec.), i processi, gli esili e perfino le esecuzioni che dovettero subire (e che si moltiplicarono a partire da Tiberio) mostrano quali fossero le conseguenze cui poteva andare incontro chi si fosse azzardato a ignorare il consiglio di Manetone. Eppure in base alle fonti sappiamo che molti pretendenti al trono hanno continuato a rivolgersi agli astrologi per ricevere consigli sulla preparazione di complotti e colpi di stato o sulla condotta della guerra civile. Gli stessi imperatori che emanavano leggi contro gli astrologi erano i primi a circondarsene. L'astrologia era un alleato pericoloso, come rammenta Tacito (forse 55 ca.-120) con un'incisiva descrizione del ruolo svolto dagli astrologi negli avvenimenti dell'anno dei quattro imperatori (69 d.C.): "genus hominum potentibus infidum, sperantibus fallax" (Historica, I, 22), una specie di uomini infida ai potenti e ingannevole per gli ambiziosi.
Le fonti storiche, sebbene esagerino a volte l'accuratezza delle previsioni per aumentarne la drammaticità e siano spesso, evidentemente, apocrife, forniscono ugualmente un quadro attendibile del ruolo esercitato dagli astrologi nella politica imperiale. Il primo astrologo di corte di cui si abbia notizia è Trasillo, il quale era al fianco di Tiberio sin dal tempo del suo esilio a Rodi. Nel Catalogus codicum astrologorum Graecorum sono raccolti alcuni frammenti dei suoi scritti, che contengono tra l'altro il primo riferimento databile a Ermete. Balbillo, suo figlio o nipote, è stato l'astrologo di Nerone e, grazie ai meriti acquisiti, ha finito per imparentarsi con l'imperatore, attraverso una serie di matrimoni con personaggi minori della casa reale.
L'unico oroscopo imperiale conosciuto, quello di Adriano, è chiaramente un esercizio retrospettivo, che aveva meno probabilità di incorrere nell'ira del principe. È reperibile nella collezione di un astrologo del II o III sec., Antigono di Nicea (Neugebauer 1957).
Se da una parte l'astrologia era contestata, dall'altra, dati i tentativi cui si è accennato di controllare l'attività degli astrologi, le era sicuramente riconosciuto un certo potere. Tuttavia, molti studiosi hanno focalizzato la loro attenzione sulle testimonianze più scettiche, per dimostrare che questa disciplina non si è mai guadagnata la stima dei veri intellettuali oppure, in una versione più sfumata, che lo scetticismo era aumentato nel corso del II secolo. Gli storici antichi, per le ragioni già menzionate, tendevano a presentare l'astrologia come una scienza infallibile, sebbene uno storico più tardo menzioni un errore commesso da un astrologo di corte nel predire la morte di uno dei due gemelli eredi di Marco Aurelio. Tacito inserisce nella sua opera una digressione su un tema ricorrente nei dibattiti filosofici che riguardano l'astrologia: la controversia tra libero arbitrio e determinismo, sulla quale però non esprime alcun giudizio. Egli menziona il punto di vista di due scuole filosofiche, che probabilmente erano l'epicurea e la stoica, anche se quest'ultima è presentata come se ritenesse che il fato non dipendesse direttamente dalle stelle ma dalla logica della causalità naturale. La digressione è corredata di due predizioni rivelatesi esatte e si conclude con l'affermazione che la maggioranza degli uomini credeva alla predestinazione e al potere predittivo dell'astrologia, ritenendo che gli errori fossero semplicemente opera di ciarlatani.
Tuttavia, a differenza di questa 'maggioranza', tra le scuole filosofiche soltanto quella degli stoici supportava l'astrologia. A partire dal II sec. a.C. ci sono giunti numerosi attacchi contro questa disciplina, i quali a loro volta riprendevano una tradizione inaugurata da Carneade (214-129 a.C.), filosofo dell'Accademia, e continuata da Cicerone nel suo De divinatione, in cui uno dei personaggi del dialogo afferma che l'astrologia è "un incredibile delirio" (II, 90). Uno dei più antichi attacchi pervenutoci è quello di Favorino (85 ca.-155), anch'egli filosofo dell'Accademia, che utilizza il celebre argomento dei gemelli per dimostrare che un'identica ora di nascita può corrispondere a destini diversi (argomento che Nigidio Figulo aveva tentato di confutare facendo ruotare due volte in rapida successione una ruota da vasaio per dimostrare quali movimenti fossero possibili in un brevissimo intervallo di tempo). Nel suo attacco Favorino specifica che è possibile anche il contrario, ossia che persone nate in momenti diversi abbiano lo stesso destino e che inoltre ogni cosa sulla Terra, non soltanto le vite degli uomini, dovrebbe essere soggetta all'influsso degli astri. Favorino nega che le osservazioni dei Caldei possano estendersi al resto del mondo, ignorando l'uso, ampiamente diffuso, dei klímata o zone dei tempi di ascesa. Egli suggerisce inoltre, in modo forse più convincente per un lettore moderno, che gli influssi celesti sono molto più numerosi della nostra capacità di comprenderli (cfr. Seneca, Naturales quaestiones, II, 32). Infine, evidenzia le difficoltà che s'incontrano nello stabilire con esattezza il momento della nascita, per non parlare di quello del concepimento e critica il concetto di una catena di cause.
Anche Sesto Empirico (fine del II sec. e inizi del III), pur essendo più vicino alla posizione filosofica dello scetticismo pirroniano che alla tradizione accademica, si serve degli stessi argomenti. I suoi attacchi all'astrologia rientrano però in una critica più ampia, che, in sostanza, coinvolge la maggior parte delle discipline tradizionali. Egli analizza in modo ancora più dettagliato i problemi inerenti all'osservazione del cielo (ignorando l'uso delle tavole) e ridicolizza l'associazione tra i lineamenti umani e gli attributi mitologici dei segni dello Zodiaco.
Tutto questo materiale filosofico è poi stato riutilizzato dai retori come argomentazioni per i dibattiti: Seneca il Vecchio fa riferimento agli argomenti antiastrologici di Arellio Fusco (Suasoriae, IV, 1), mentre un'orazione attribuita a Quintiliano (Pseudo-Quintiliano, Declamationes maiores, 4) contiene una difesa dell'astrologia, nel contesto melodrammatico creato dalla decisione di un figlio di suicidarsi per non correre il rischio di avverare la predizione di un astrologo, uccidendo il proprio padre. Uno scritto di Luciano Sull'astrologia è probabilmente una parodia degli argomenti convenzionali usati a favore di questa disciplina.
L'ipotesi che nel corso del II sec. l'astrologia abbia subito una crisi di credibilità, si basa sul fatto che ci sono giunti gli attacchi di alcuni autori di questo periodo, oltre alle lamentazioni tipicamente retoriche di Luciano e di Vettio Valente sull'astrologia disonorata e reietta. Questa ipotesi è però evidentemente il frutto della conservazione casuale di alcuni testi, visto che le polemiche sull'astrologia e le osservazioni satiriche nei suoi confronti sono proseguite almeno fino al V sec., come testimoniano gli scritti dei Padri della Chiesa. È altrettanto indubbio che l'influenza di questo dibattito è rimasta molto limitata, perfino tra gli intellettuali, e che la 'maggioranza' ha continuato a seguire l'opinione attribuitale da Tacito.
La difesa dell'astrologia
Attacchi di questo tipo non erano diretti contro la pratica astrologica, ma contro gli avversari filosofici. Il dibattito sul libero arbitrio e il determinismo interessava relativamente poco agli astrologi e ai loro clienti, i quali operavano in base a convinzioni più flessibili di quelle fataliste. Tuttavia un astrologo come Tolomeo, con vasti interessi culturali, non poteva non difendere questa disciplina dagli attacchi dei filosofi; e nella sua Tetrabiblos, egli scrive una difesa efficace, assumendo una posizione più sfumata sul ruolo delle stelle. Nel corso del XIX sec. diversi studiosi hanno messo in dubbio che uno 'scienziato' della statura di Tolomeo potesse aver composto un trattato sulla dottrina astrologica giustamente celebre come la Tetrabiblos; ma Franz Boll, usando argomentazioni filologiche, ne ha ristabilito l'autenticità e gli studi successivi hanno sempre più sottolineato la coerenza della produzione di Tolomeo, che comprende trattati di astronomia, geografia, ottica, armonia e astrologia. L'approccio di Tolomeo all'astrologia è indubbiamente originale: anche se non ci rivela le sue fonti, a parte il consueto riferimento agli 'Egizi' (1, 21), e dunque non sappiamo quanto egli debba, per esempio, a Posidonio (v. sopra), è tuttavia certo che questo testo si differenzia profondamente dagli altri a noi pervenuti; in particolare, Tolomeo si mostra più selettivo e tenta di trovare una spiegazione fisica per ogni dottrina.
L'opera si apre con un esplicito richiamo all'Almagesto, ossia con l'affermazione che esistono due modi per effettuare previsioni: il primo è quello di studiare i moti dei corpi celesti ciascuno in relazione con gli altri e con la Terra (astronomia), mentre l'altro consiste nell'indagare gli effetti di questi fenomeni "su ciò che essi circondano" (l'astrologia) (Tetrabiblos, prooemium 1). Mentre l'astronomia è considerata desiderabile in sé stessa, essa tuttavia è limitata a questo modo di essere, senza alcuna sua connessione con l'astrologia; e questo malgrado il fatto che l'astrologia non sia in grado di fornire conoscenze altrettanto certe di quelle astronomiche, "a causa dell'impredittibilità delle qualità materiali presenti nelle singole cose" (ibidem, 2). L'inalterabilità delle sfere celesti è contrapposta alla mutevolezza del mondo sublunare, secondo la dottrina aristotelica. Ma Tolomeo, puntualizzando gli effetti evidenti del Sole e della Luna sulle maree e sugli animali e i legami tra le stelle e il clima, all'epoca ampiamente riconosciuti, se ne serve per costruire un ragionamento di tipo analogico. Come i marinai sanno predire le tempeste dalle posizioni relative del Sole, della Luna e delle stelle, pur non possedendo una conoscenza approfondita della loro natura, a maggior ragione chi ne conosce approfonditamente i moti e le qualità (calore, umidità) sarà in grado di predire il tempo e, soprattutto, potrà dedurre il temperamento di un individuo (idiosynkrasía) a partire dall'aspetto del cielo al momento della sua nascita. A seconda poi che questo aspetto sia o meno in sintonia con il suo temperamento sarà persino possibile predire gli avvenimenti che lo riguarderanno. In questa argomentazione sono presenti dei salti logici che potrebbero risultare poco convincenti in un'epoca come la nostra, in cui si è soliti partire da differenti assunzioni sulla realtà naturale, ma che erano invece certamente in accordo con diverse scuole filosofiche del tempo.
Come Manilio, Tolomeo non adotta la retorica stoica del fatalismo, preferendo descrivere l'astrologia come un'arte congetturale o stocastica (1, 2, 2-9), simile in questo alla medicina, dove a causa della quantità delle variabili coinvolte è possibile commettere errori. Come in medicina, occorre tenere conto non soltanto degli influssi identificati dallo specialista, ma anche delle caratteristiche individuali, come la razza, la nazionalità e l'educazione. Dopo avere biasimato i cattivi astrologi per la facilità con cui sbagliavano le loro previsioni, Tolomeo ribatte ai filosofi che portavano l'esempio delle battaglie per dimostrare che uomini nati in momenti diversi potevano andare incontro allo stesso destino, che alcune cose sono soggette più al caso che al fato, mentre altre derivano più dalle circostanze generali che dalle propensioni individuali. In tal modo egli fornisce una risposta sottile ad alcuni attacchi particolarmente rozzi, diretti probabilmente più contro il fatalismo che contro l'astrologia.
Le teorie degli influssi astrali
Tolomeo, nel momento in cui scrive di astrologia, si distingue dagli altri autori in quanto tenta di fornire spiegazioni che siano perfettamente comprensibili. La maggior parte dei testi di astrologia, infatti, non spiegava in che modo le stelle esercitassero il proprio influsso sulla vita degli uomini. A volte si possono incontrare concetti come l'actinobolía, cioè l'emissione di raggi in una certa angolazione, oppure tentativi di fondare le proprie dottrine sulle teorie astronomiche, come nel caso dell'autore di un papiro del II sec., che assegna ai pianeti delle porzioni di cielo in base alla dimensione dei loro epicicli. Nel complesso, però, gli influssi astrali non sembravano richiedere una particolare giustificazione, malgrado l'esistenza di numerose teorie sull'argomento. L'importanza dell'influsso lunare sugli esseri viventi, dalle creature senza sangue, come i crostacei, agli esseri umani, la cui fertilità era messa in relazione con la Luna, attraverso il sangue e i cicli mestruali, era un'idea largamente condivisa. Plutarco riporta l'opinione secondo cui la Luna invia calore sulla Terra, assorbendone le esalazioni umide e purificandole dentro di sé (De facie in orbe lunae, 928 c). Tolomeo si serve del concetto di simpatia per spiegare l'alzarsi e l'abbassarsi del livello dei fiumi, il variare delle maree e i diversi effetti della Luna sulle piante e sugli animali (1, 2).
Tolomeo, come gli stoici e altre scuole filosofiche, individuava nei quattro elementi ‒ fuoco, aria, terra e acqua ‒ le qualificazioni fondamentali di tutta la materia (sebbene per gli stoici il fuoco fosse l'unico elemento permanente), attribuendo al fuoco e all'aria una dignità maggiore di quella assegnata alla terra e all'acqua (cfr. Manilio, Astronomica, IV, 888-889). Secondo alcuni, l'etere (aithḗr) o fuoco celeste era una specie particolare di fuoco, mentre per Aristotele e i suoi discepoli si trattava di un quinto elemento, che sovrastava e circondava gli altri. Tolomeo attribuisce una certa importanza all'etere, anche se non giunge mai a definirlo come un quinto elemento: egli lo vede come ciò che agisce sugli elementi intermedi del fuoco e dell'aria, i quali poi a loro volta alterano gli altri due. Questo modello ha origini molto remote, infatti, come si è già accennato, esiste un passaggio nei frammenti Nechepso-Petosiride conservati nell'Apotelesmaticorum libri tres di Efestione che descrive come la forza effettiva dei pianeti venga trasmessa attraverso le sfere celesti fino al mondo sublunare.
Per Tolomeo le qualità dei pianeti influiscono sulla krãsis, o mescolanza di elementi, di un individuo (o di un popolo), una concezione derivata dalla teoria ermetica della mescolanza dei due elementi, il caldo e il freddo. Tutti gli elementi derivano dal Sole e la loro quantità dipende dalla loro posizione rispetto alla Terra (1, 2). In un altro passaggio, il calore e il secco sono attribuiti al Sole, l'umido alla Luna, mentre Marte, a causa del suo colore rosso e della sua vicinanza al Sole, brucia e dissecca. Giove, poiché si muove tra Marte e il freddo Saturno, ha una forza che riscalda in modo temperato, ma ha anche la capacità di umidificare e di produrre venti fertilizzanti. Venere, a causa della sua posizione prossima al Sole, riscalda moderatamente e umidifica perché trasmette le esalazioni che assorbe nello spazio circostante alla Terra (un elemento tratto dalla cosmologia aristotelica).
Lo stoico Cleante (331/330-232/231 ca.) considera queste esalazioni come una delle analogie esistenti tra l'Universo e il corpo umano, entrambi soggetti al principio del calore innato. Anche Tolomeo si serve di analogie per spiegare gli effetti benefici e malefici dei pianeti, a partire dal loro genere maschile o femminile (tradizionalmente collegati alla destra e alla sinistra). Egli stabilisce una serie di relazioni con i quattro elementi (aria - acqua - terra - fuoco), senza insistere però sull'approccio antropomorfico (o, nel caso dei segni, zoomorfico), sebbene rimangano tracce delle concezioni tradizionali. Di particolare interesse è la spiegazione degli aspetti, che suscitò lo scetticismo di Gemino (v. sopra), in quanto invoca l'armonia, sulla scorta delle concezioni pitagoriche sul ruolo particolare di certi rapporti.
Tolomeo non accenna mai direttamente alla teoria aristotelica o stoica che associava il pneũma (soffio o spirito) presente nello sperma umano alla materia di cui sono composte le stelle (operante probabilmente anche nel fr. 29 del Corpus Hermeticum). Una teoria che rappresenta la versione materialista della diffusa credenza che le anime umane provenissero dalle stelle e fossero destinate a farvi ritorno. Le origini dell'astrologia, d'altra parte, risiedono nell'idea, largamente condivisa, che le stelle, o almeno i pianeti, fossero dèi. Un'idea che poteva soddisfare le esigenze della maggior parte degli astrologi e dei loro clienti, ma che non si adattava a un'opera come quella di Tolomeo fondata su basi dichiaratamente secolari, come la maggior parte dei trattati astrologici. Anche in Tolomeo, tuttavia, rimangono tracce dell'immagine tradizionale degli dèi e dei loro miti, per esempio sul legame della Luna con le nascite e quello di Saturno con la vecchiaia (Tetrabiblos, 3, 12, 149; 14, 4; 4, 10, ecc.).
La struttura della Tetrabiblos
I libri della Tetrabiblos seguono un ordine più preciso degli altri trattati astrologici che ci sono pervenuti, e ognuno di essi è preceduto da un'introduzione. Il Libro I descrive la tecnica astrologica: i pianeti, gli aspetti, le stelle fisse, i cardini, i segni, i domicili planetari, le esaltazioni, i termini, le case, con la discussione di alcune varianti dottrinarie. Il Libro II tratta dell'astronomia 'cattolica' o giudiziaria, con una particolare attenzione per la geografia astrologica e la sua influenza sulle differenze etniche, oltre a prendere in esame le eclissi, le comete e la meteorologia. I libri III e IV affrontano la genetlialogia (ossia riguardano gli individui), divisa per campi di indagine, simili a quelli trattati da Doroteo ma con uno stile meno minuzioso e più ordinato, dal concepimento, alla morte, ai chronokrátores. Il metodo per determinare la durata della vita, basato sulle prorogazioni calcolate in base ai tempi di ascesa, è ancora più complicato di quello di Doroteo.
A differenza dell'Almagesto, la Tetrabiblos tolemaica non ha ottenuto un successo tale da rivaleggiare con le altre opere sull'argomento. La maggior parte dei principali trattati astrologici dell'Antichità sono stati scritti dopo la morte di Tolomeo.
A questa sezione è opportuno aggiungere una breve analisi dell'opera di Vettio Valente (quasi contemporaneo di Tolomeo), un autore già citato diverse volte a causa della scarsità di trattati generali prodotti nel periodo. Valente è nato ad Antiochia in Siria, e le date che lo riguardano provengono dalla datazione degli oroscopi presenti nei nove libri delle sue Anthologiae: queste ne contengono in tutto 130, assai di più che qualsiasi altro testo. Il fatto che questi oroscopi, come quelli pervenutici da altri autori, siano autentici e non immaginari, dimostra un vivo interesse per l'analisi del materiale empirico. A eccezione di alcune interpolazioni più tarde e di alcuni esempi tratti da collezioni precedenti, tutti gli oroscopi appartengono a un periodo compreso tra il 139 e il 173 Valente si serve del klíma di Alessandria e può essere considerato perciò, insieme a Tolomeo, il continuatore della tradizione astrologica greco-egizia. Pur non citandolo mai, Valente segue le regole di Tolomeo per calcolare i tempi di levata validi per il klíma di Alessandria, servendosi delle classiche tavole babilonesi nel caso di individui nativi del suo paese d'origine.
Nel Medioevo, Valente divenne una figura leggendaria e i suoi scritti furono copiati più di quelli di qualsiasi altro, subendo di conseguenza numerose modifiche. La sua oscurità (causata da incertezze linguistiche, aritmetiche e testuali) ha scoraggiato a lungo le ricerche degli studiosi, ma una recente edizione, che include frammenti di autori più tardi, ci consente di analizzare più in profondità le sue opere. A noi sono pervenuti nove dei dieci libri originali delle Anthologiae, mentre sono andati perduti un'esortazione allo studio e un Libro del maestro. Egli fa spesso riferimento agli allievi e l'abbondanza di oroscopi esemplificativi ci mostra quale fosse il suo metodo di insegnamento, anche se non per questo è possibile dedurre l'esistenza di una scuola. Il suo stile è molto diverso da quello di Tolomeo, più prolisso e meno ordinato, malgrado la sua affermazione di voler portare chiarezza nelle confuse dottrine degli antichi (7, 11). Il suo scopo appare piuttosto quello di essere esauriente e di conseguenza, come in Tolomeo, sono fornite diverse versioni delle dottrine di maggiore interesse, come quella delle case o quella che riguarda i metodi di calcolo dell'ascendente. In particolare, egli offre una trattazione esauriente della genetlialogia e dell'astronomia oraria, nonché dei principî della corografia.
Come si è visto, le fonti citate da Valente sono Nechepso e Petosiride, Critodemo, e infine Ipsicle per quanto riguarda i tempi d'ascesa. Valente afferma (1, 19) di essersi servito del metodo di Ipparco per il calcolo della posizione della Luna (anche se la matematica utilizzata è piuttosto rozza), e sembra che si sia servito di questo stesso metodo anche per le eclissi solari, mentre per il calcolo delle eclissi lunari si è invece riferito a Sudines, Kidenas e Apollonio. Come la maggioranza degli autori di questo periodo, per il calcolo dell'ascendente Valente utilizza un metodo aritmetico e non trigonometrico. È occorso infatti del tempo prima che la maggioranza degli astrologi s'impadronisse dei progressi realizzati in campo astronomico, migliorando l'accuratezza delle proprie osservazioni.
Valente pone anche una certa enfasi sulla segretezza (prooemium 7), presentando l'astrologia come una disciplina cui occorreva essere iniziati grazie a una dieta moderata e a uno stile di vita virtuoso (per es., 4, 11). Il legame di questo autore con la religione non deve però essere enfatizzato, visto che egli rimane sostanzialmente laico. I suoi richiami alla virtù non differiscono molto dalla retorica iniziatica o dagli appelli a una vita virtuosa del suo contemporaneo Galeno. Il tema della sottomissione al fato segue la tradizione di Manilio (7, 11), mentre non c'è traccia delle sfumature dell'approccio tolemaico.
L'opera di Vettio Valente esemplifica quali tipi di opere siano giunte fino a noi dall'epoca di maggior fioritura dell'astrologia. Anche se gli studiosi ritengono che nei primi due secoli della nostra era l'astrologia abbia raggiunto un livello di raffinatezza non inferiore a quello riscontrabile in Occidente fino al Rinascimento, in realtà, come si è visto, nei testi dell'epoca non è possibile trovare un riscontro per un'assunzione di questo tipo, visto che i resoconti delle principali dottrine sono frammentari e spesso pesantemente interpolati. Ma se i trattati di astrologia (con l'eccezione degli óstraka e dei papiri) rinviano a un complesso e disorientante gioco di specchi cronologico, quello che appare in ogni caso fuori discussione è l'esistenza di una solida base dottrinaria alla fine del II secolo. Valente è significativo in quanto rientra in una tradizione che è stata portata avanti da Firmico, da Paolo ed Efestione, dall'astrologo anonimo del 379 e da molti altri autori. Tolomeo, invece, si pone al di fuori di questa tradizione, in quanto sottolinea con particolare enfasi l'importanza della causalità fisica e adotta un relativo minimalismo dottrinario, e questo nonostante il rispetto che ha circondato il suo testo nell'antichità, attestato dai numerosi commentari cui ha dato origine. Ma anche l'apparente deviazione di Tolomeo dalla linea tradizionale costituisce un momento fondamentale per lo sviluppo dell'astrologia nelle epoche successive, dagli Arabi fino al Rinascimento, quando alla Tetrabiblos sarà assegnato un posto d'onore tra le opere astrologiche.
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