sciamanésimo Complesso di credenze e pratiche rituali riscontrabili in vari contesti etnografici (Europa e Asia settentr., Asia centrale e America artica) imperniate sulla figura dello sciamano, una sorta di capo carismatico investito di responsabilità collettive, ma anche stregone e terapeuta ritenuto capace di provocare malattie, oltre che di guarirle.
L'antropologia interpreta lo s. come un sistema simbolico il cui contesto privilegiato sono le attività venatorie. La funzione sciamanica principale è quella di assicurare la 'fortuna' nella caccia, in base all'idea che gli esseri naturali di cui si nutre l'uomo (selvaggina, pesci, piante) siano dotati anch'essi di una componente spirituale. A tal fine occorre stabilire il principio dello scambio mediante l'alleanza con gli spiriti, garantirne il buon andamento con l'alternanza tra la morte della cacciagione e quella degli uomini, e vegliare sulla perpetuazione dei due partner. Tale funzione è assolta dallo sciamano (termine derivato dal tunguso, una lingua siberiana), che per diventare tale deve superare una serie di prove, per es. assumere sostanze allucinogene e superarne gli effetti. Lo sciamano protegge il proprio gruppo grazie alla sua relazione privilegiata con gli spiriti. Ma questo potere viene visto dagli altri villaggi come una potenziale minaccia alla propria sicurezza. Lo sciamano di ciascun gruppo diventa dunque un simbolo dell'inimicizia e del conflitto fra le varie comunità.
Per assicurare lo scambio con gli spiriti animali lo sciamano deve 'prendere moglie' tra di essi, perciò si 'animalizza' nel rituale con il suo travestimento (costume in pelle d'alce, corna) ed effettuando una sorta di lotta e di danza in cui salta, dà testate, emette bramiti e si scuote. È quindi improprio parlare di trance, di estasi o di stati di coscienza alterati: lo sciamano non è né folle né isterico, non mira a raggiungere un determinato stato psichico, ma compie l'azione che il suo gruppo si attende.