SARABANDA
. Danza in voga dal sec. XVI alla metà del XVIII. Il nome proviene dal persiano serbend, nome di una danza accompagnata dal canto. Del resto le origini orientali sono state più d'una volta riproposte: secondo Hawkins si dovrebbe ricondurre la Sarabanda ad una molto antica danza moresca, la quale opinione era già espressa da M. Mersenne nel 1616. È certo che in Europa la danza ebbe per primo centro d'espansione la Spagna, e che gli inizî della sua voga risalgono al sec. XVI: probabilmente verso la fine di quel secolo (Th. Arbeau, nell'Orchésographie del 1583, non ne fa menzione), ma in tal caso dobbiamo pensare che la diffusione ne sia stata molto rapida, se già M. Cervantes e il Guevara possano sentire il bisogno di reagire contro di essa, il Lope de Vega si ponga a difenderla, e perfino in Inghilterra della nuova danza faccia menzione Shakespeare.
La Sarabanda ha subito, da tempi a tempi e da paesi a paesi, un'importante evoluzione: nella prima fase della quale essa si presentava, soprattutto in Spagna, con tendenze ben poco edificanti, tanto da provocare lo sdegno dei religiosi (il padre Mariana nel suo Tratado contra los juegos publicos, infierisce particolarmente contro questa danza) e da incontrare, verso gli ultimi anni del regno di Filippo II, un tassativo divieto. Ma anche fuori di Spagna, in Italia p. es., alcuni levavano la voce contro di essa, e tra questi G. B. Marino nell'Adone. La musica della Sarabanda era già allora in ritmo ternario, ma in movimento Allegro e - secondo M. Mersenne - in molte strofe si giovava di chitarra e castagnette. Così anche M. Praetorius, che pubblica nel 1612 una raccolta di Sarabande tedesche, non ne conosce alcuna in movimento lento: tutte sono in movimento d'allegro e di carattere gaio, e - a differenza da quelle cui allude il Mersenne - non sono composte in più strofe ma anzi in una sola.
Verso la fine del sec. XVI la Sarabanda francese era già molto modificata nel suo aspetto coreico e aveva già preso un carattere più nobile e raccolto.
Gli svolgimenti secenteschi confermano, dapprima specialmente in Francia e in Inghiltena, questo nuovo indirizzo e, tra l'altro la Sarabanda inglese diviene, sotto l'aspetto coreico, un tipo di contraddanza. L'orientamento verso l'austerità più solenne è oltralpe seguito anche dalla musica, che a mezzo il Seicento rattiene il movimento fino ad assumer quello del Grave. Le membrature dell'idea melodica si fanno più solide, disegnandosi in note lunghe e insistendo su stilemi ritmici (accentuazione della seconda unità della misura, che si prolunga nella terza), destinati a distinguere il ritmo della sarabanda da quello delle altre danze coeve. Così si presenta il nucleo di questa danza al compositore strumentale del secondo trentennio del Seicento. Se, infatti, qualche Italiano (p. es. F. Vitali nelle Sonate a 6, op. XI) continuerà perfino agli ultimi del secolo (quell'op. XI è pubblicata nel 1683) a concepire la Sarabanda nel suo carattere arcaico - specialmente riguardo al movimento, che manterrà in Allegro - la grandissima maggioranza ne svilupperà le nuove risorse concependola come forma tendenzialmente melodica, equivalente a quella che nella musica vocale sta maturando l'Aria. È questo un primo passo verso l'idealizzazione sinfonica della vecchia danza: sulla capace sintassi che la lunghezza delle note cardinali chiaramente mostra, il compositore barocco tende a rilevare l'elemento melico con ogni sorta di diminuzioni più o meno sostanziose: dall'esteriore artifizio del trillo al già più intenso mordente, al melodico gruppetto e via dicendo.
L'interesse musicale comincia così a passare dalla scansione ritmico-armonica - naturalmente egemonica nell'orbita del ballabile - alla figura del melos e - sempre più spesso - alle vicende che essa figura attraversa durante il pezzo. Le quali vicende, che nascono come Variazioni vere e proprie, conducono il quadro a dimensioni più vaste o a proporzioni diverse. In una Sarabanda dello Chambonnières abbiamo già un esempio significativo: la prima parte ha 8 misure, che col ritornello diventano 16; la seconda parte ne ha 16 (col ritornello 32), in quanto il suo secondo periodo non è la ripetizione del suo primo ma un'ulteriore ed assai libera deduzione.
La tendenza all'ampliamento della seconda parte si ritrova in una Sarabanda di G. B. Lulli (1633-87), ove la melodia, essendo già interessante nelle sue linee essenziali, non ha bisogno di molti abbellimenti (dal Lulli, del resto, poco usati anche nella musica vocale) e quasi soltanto s'intensifica mediante appoggiature. Così vediamo che la melodia, conchiusa in 8 misure ritornellate, è utilizzata nella seconda parte per ben 26 misure (anch'esse con ritornello) in vicende che già sanno di "variazione amplificatrice", sia nelle diverse figure meliche tratte da singoli elementi dell'idea iniziale, sia nell'ampio itinerario tonale.
A questo momento la Sarabanda è già tanto avanzata nella sua evoluzione da entrare, senza bisogno di ulteriori modificazioni struttive, nel quadro della composizione strumentale in più tempi, sullo stesso piano dell'Allemanda, della Corrente, della Giga, ecc. Così la ritroviamo nella Sonata da camera di A. Corelli (il cui gusto musicale è talmente alto e severo da potenziare esteticamente perfino il tipo ballabile, come vediamo nella 7ª sonata dell'op. V: in 2 periodi di 8 misure ambedue ritornellati, e la melodia quasi interamente priva di abbellimenti) e nella Suite francese e tedesca, assumendo un movimento anche più grave (sistematico dal Muffat in poi) e un'espressione intesa ad austera maestà. Tranne rare eccezioni - come quella della sarabanda a 2 periodi della 7a sonata di Corelli - la Sarabanda che entra nella Sonata da camera, nella Suite, nella Partita, nell'Ordre, ecc., ha così forma generalmente ternaria in conseguenza dell'ampliarsi della seconda parte da uno a due periodi. Lo schema A-A′-A″, con A″ molto libero, si trova più specialmente presso i Tedeschi, da G. F. Haendel (v. le Sarabande della IV Suite [A in 20 mis.; A′-A″ in 28] dalla VII [A in 8 mis.; A′-A″ in 24], ecc.) a J. S. Bach che predilige la simmetria: A in 8 mis.; A′ in 8, A′′ in 8.
Nella scuola italiana A′′ è spesso tanto diverso da A e da A′ da potersi considerare - come osserva G. Bas - periodo nuovo; del quale fatto dànno esempî gli stessi Corelli e Lulli.
L'inclusione della Sarabanda diviene, per la Suite e i generi analoghi, norma comune, ed il posto è indicato tra la Corrente e la Giga. Nella Suite VII di F. G. Haendel, che ha 6 tempi: Ouverture-Andante-Allegro-Sarabanda-Giga-Passacaglia, è comunque rispettato il rapporto Sarabanda-Giga.
La vecchia danza compare del resto anche nel teatro di Haendel (dove una Sarabanda strumentale dell'Almira dà il passo ad un'Aria vocale del Rinaldo) e in quello di C. W. v. Gluck, dove la ritroviamo in un balletto (Air gai-Sarabanda) del 1° atto dell'Iphigénie en Aulide. La forma è semplicissima:
∥ : A (8 mis. modulante dalla tonica re minore al relativo maggiore) : ∥ : A′ (4, relat. − dominante + 8 tonica − tonica) : ∥.
Al risolversi, nell'ultimo Settecento, della composizione a più tempi nel solo quadro della Sonata, di danze non resta che il Minuetto, sì che gli esempî di Sarabanda diventano rarissimi e ormai anacronistici, mentre talvolta ne può suggerire il ricordo il ritmo e l'espressione particolare di qualche pagina teatrale. Ai nostri giorni, con il ravvivarsi del generale interessamento per le tradizioni sei-settecentesche, si riprende talvolta la Sarabanda o per effetti decorativi e di colore o - idealizzandone ancor più la struttura e ampliandone le dimensioni - per espressioni di profonda, meditativa gravità. Esempî mirabili di quest'ultimo procedimento si hanno nelle Sarabande di C. Debussy (Hommage à Ramcau) e di F. Busoni (Dottor Faust). Alla Sarabanda è poi ispirato e intitolato un poema sinfonico di Roger-Ducasse.