SILVESTRO GUZZOLINI, santo
SILVESTRO GUZZOLINI, santo. – Nacque a Osimo (Ancona) verso il 1177 dal nobile Gislerio, giurisperito.
La biografia del santo (Vita Silvestri), scritta tra il 1274 e il 1282 dal discepolo Andrea di Giacomo da Fabriano, non accenna al casato, che – secondo una tradizione risalente al XVI secolo (Fortunio, 1575, p. 217; S. Moronti, Repertorio [...] 1581, c. 14r) – fu quello dei Guzzolini, i cui membri durante il XIII secolo si segnalarono per la preparazione giuridica e il ruolo di rilievo svolto nella società comunale (Vecchietti, 1782, pp. 227 s.). La Vita Silvestri tace anche sul nome della madre, che gli scrittori settecenteschi individuano in Bianca Ghislieri (Cancellieri, 1765, p. 3; Franceschini, 1772, p. 2).
Andrea di Giacomo ricevette l’incarico di redigere il racconto della vita e dei miracoli del santo fondatore dal priore generale Bartolo da Cingoli. Il terminus a quo si ricava dal capitolo 44 della Vita Silvestri dove il biografo riferisce che «dopo la celebrazione del concilio generale di Lione al tempo di Gregorio X, Bartolo, terzo priore generale, e i fratelli, desiderosi vivamente di rinunciare alla pratica della questua, stabilirono di vivere in comune dei propri beni secondo la regola di s. Benedetto e il privilegio di conferma dell’Ordine» (Alle fonti della spiritualità silvestrina, II, a cura di U. Paoli, 1991, p. 89): si tratta del secondo concilio di Lione celebrato, appunto, nel 1274. Il terminus ad quem della Vita Silvestri è la data di morte del vescovo Benvenuto di Osimo (22 marzo 1282): Andrea di Giacomo, infatti, afferma di aver appreso le notizie sul periodo degli studi di Silvestro dal «venerabile uomo e devoto di Dio Benvenuto, che “ora” regge come pastore la città di Osimo e che fu suo compagno nelle scuole» (Alle fonti della spiritualità silvestrina, II, cit., p. 13).
Ancora adolescente Silvestro fu inviato dal padre a Bologna e a Padova, per gli studi giuridici, ma abbandonò tale campo di studio per applicarsi a quello della teologia. Quando Gislerio venne a conoscenza del fatto, «prese la cosa molto di malanimo e per dieci anni privò ingiustamente il figlio della sua conversazione» (p. 13). Superata la difficile prova, Silvestro «per i meriti della sua vita fu assunto tra i canonici della chiesa cattedrale della città di Osimo» (p. 13).
Né la biografia né i documenti coevi accennano al sacerdozio di Silvestro, mentre la tradizione posteriore è unanime nell’attribuire a Silvestro, oltre alla qualifica di «canonico», anche quella di «sacerdote» (Fabrini, 1613, p. 5; Cancellieri, 1765, p. 10; Franceschini, 1772, p. 8).
Silvestro attese con impegno al proprio ufficio, dedicandosi alla preghiera e alla predicazione; in più di un’occasione riprese per il comportamento poco esemplare il vescovo di Osimo Sinibaldo (1218-1239) che cercò ogni pretesto per privarlo del beneficio canonicale. Fu in questo periodo che maturò la sua scelta di vita, secondo l’agiografo.
Al termine delle esequie di un defunto, allorché nella cattedrale i canonici fecero sollevare la pietra tombale del sepolcro per la reposizione, trovarono il cadavere non ancora ridotto in polvere di un parente di Silvestro noto per la sua avvenenza e morto in giovane età. Il pietoso spettacolo turbò profondamente Silvestro, che «decise di mutare in meglio la propria vita» (Alle fonti della spiritualità silvestrina, II, cit., p. 15).
Intorno al 1227 Silvestro lasciò Osimo e si ritirò a vita solitaria a Grottafucile, uno speco fra i dirupi della gola della Rossa presso Serra San Quirico. Il luogo era di proprietà di Corrado, signore di Revellone, che aveva conosciuto Silvestro nella curia del legato della Marca d’Ancona impegnato a difendere energicamente i diritti della Chiesa di Osimo.
Secondo un’ipotesi avanzata da Stefano Moronti nel 1581 (Repertorio..., cit., c. 90r), ripresa da Giovanni Matteo Feliziani nel 1683 (Silvestrinae Congregationis..., p. 25) e recentemente riproposta da alcuni autori (Sena, 1995, p. 56; Avarucci, 2017, pp. 194 s.), ma non suffragata dalla Vita Silvestri e dai documenti coevi, prima di spostarsi a Grottafucile Silvestro avrebbe sostato nella valle di S. Bonfilio o S. Maria della Fara presso Cingoli, dove si trovava il sepolcro di S. Bonfilio da Osimo, monaco e vescovo di Foligno, del quale Silvestro scrisse la Vita. Lo spostamento sarebbe stato determinato dal crescente afflusso di devoti.
Neppure nella solitudine di Grottafucile Silvestro rimase a lungo sconosciuto: fra i numerosi pellegrini che gli fecero visita, alcuni religiosi cercarono di «trarlo al loro Ordine e di fargli accettare il loro abito e la loro regola» (Alle fonti della spiritualità silvestrina, II, cit., p. 19). L’eremita rifiutò tali inviti, ma da quel momento meditò sulla forma di vita religiosa da abbracciare e optò alla fine per la regola di s. Benedetto da Norcia (una delle regole canonicamente approvate prima del concilio Lateranense IV del 1215, che nella cost. 13 aveva proibito la fondazione di nuovi Ordini). Silvestro fu rivestito dell’abito monastico «da un venerando monaco di nome Pietro Magone», che potrebbe identificarsi con il Pietro, priore di S. Esuperanzio di Cingoli, menzionato nelle Carte di Fonte Avellana a partire dal 1226 (Sena, 1995, p. 56).
Decisivo fu l’incontro, a Grottafucile, con due domenicani inviati da Gregorio IX a visitare i chierici della Marca d’Ancona (1228); Silvestro accettò l’esortazione a non vivere da solo in quel luogo solitario e iniziò ad accogliere discepoli, che inizialmente vivevano in celle scavate nella roccia, poi in un piccolo eremo, i cui ruderi ancora sopravvivono.
Nel 1231 Silvestro fondò presso Fabriano, «su un monte alto e selvaggio» (Alle fonti della spiritualità silvestrina, II, cit., p. 23), l’eremo di Montefano, dove eresse un oratorio in onore di s. Benedetto da Norcia su un terreno boschivo di sei staia (circa 2640 mq) donato da alcuni cittadini fabrianesi. L’eremo, situato a 7 chilometri da Fabriano e a 800 metri s.l.m., fu scelto da Silvestro come casa madre del suo Ordine («caput et mater Ordinis universi»).
La fondazione di Montefano fu patrocinata dal capitolo dei canonici di S. Venanzo, chiesa matrice di Fabriano, cioè dalla massima autorità ecclesiastica locale (il vescovo all’epoca risiedeva a Camerino): ben quattro canonici, infatti, furono presenti come testimoni agli atti di donazione (Le carte dell’Archivio di San Silvestro in Montefano, I-III, a cura di G. Avarucci - U. Paoli, Fabriano 1990-2011, I, docc. 1-2; III, docc. 2-3). Anche in seguito i canonici di S. Venanzo dimostrarono stima e venerazione nei confronti di Silvestro, invitandolo «spessissimo» nella propria chiesa per «esporre al popolo la parola di Dio» (Alle fonti della spiritualità silvestrina, II, cit., p. 63).
Silvestro divenne ben presto un personaggio di spicco nella società fabrianese: nel 1234, per esempio, fu chiamato a partecipare, in qualità di testimone, insieme con il vescovo di Camerino e il pievano Raniero, più volte confessore di Francesco d’Assisi, all’atto di fondazione del primo convento francescano a Fabriano (Pirani, 2001, pp. 106-109).
La famiglia monastica di Montefano incontrò il favore anche del Comune di Fabriano, che nel 1236 concesse a Silvestro oltre novanta staia (circa quattro ettari) di terra con selva intorno all’eremo (Le carte dell’Archivio di San Silvestro in Montefano, cit., I, docc. 5-11). Successivamente, nel 1244, il podestà Tommaso da Spello, su mandato del consiglio generale e speciale, donò allo stesso Silvestro quattro tavole (circa 176 mq) di area edificabile nel Borgo Nuovo di Fabriano nelle adiacenze della piazza del mercato, centro nevralgico delle attività commerciali del Comune (docc. 131-132), dove Silvestro costruì un piccolo edificio con oratorio, che servì di appoggio per i monaci che da Montefano scendevano in città.
Dopo Grottafucile e Montefano, Silvestro fondò gli eremi di S. Marco presso Ripalta di Arcevia (1237-38) e di S. Bonfilio presso Cingoli (1241 circa). Per Silvestro si trattava ora di assicurare uno status giuridico alla sua famiglia religiosa, ottenendo il riconoscimento canonico.
L’obiettivo non era facile da raggiungere: il papato temeva l’eccessivo numero degli Ordini religiosi, che causava «grave confusione» all’interno della Chiesa; e la situazione politico-religiosa dello Stato pontificio proprio in quegli anni divenne instabile e precaria: il Comune di Fabriano incorse nell’interdetto essendo rimasto fedele a Federico II in contrasto con il papa Innocenzo IV, trasferitosi nel 1244 a Lione, ove nel 1245 (aprile-luglio) scomunicò l’imperatore, lo depose e vietò ai fedeli di prestargli obbedienza. Alcuni ecclesiastici presero la via dell’esilio: fu il caso di Domenico, priore del capitolo della collegiata di S. Venanzo, e di Silvestro stesso, che si rifugiarono a Perugia. Durante l’esilio, Silvestro nel 1246 fu convocato come testimone per la nomina a canonico di Nicola, pievano di Attiggio (Sassi, 1948, pp. 37-39).
All’inizio del 1248 Silvestro, confidando anche nella conoscenza personale di Innocenzo IV, che da cardinale era stato rettore della Marca d’Ancona negli anni 1234-40, decise di inviare a Lione la «supplica» per ottenere l’approvazione canonica del suo Ordine. La richiesta ebbe esito positivo. Il 27 giugno 1248, con la bolla Religiosam vitam, Innocenzo IV accolse sotto la protezione della Sede apostolica l’eremo di S. Benedetto di Montefano con le tre comunità dipendenti (Grottafucile, Ripalta, Cingoli), concedendo la «conferma» alla famiglia monastica di Silvestro con la denominazione di Ordine di S. Benedetto di Montefano (Le carte dell’Archivio di San Silvestro in Montefano, cit., II, doc. 1).
Dopo il 1248 Silvestro intraprese nuove fondazioni, «scegliendo piuttosto luoghi solitari e deserti a preferenza delle città» (Alle fonti della spiritualità silvestrina, II, cit., p. 23): S. Bartolo presso Serra San Quirico, S. Pietro del Monte presso Osimo, Ss. Marco e Lucia di Sambuco presso Valfabbrica nel territorio di Perugia, S. Tommaso presso Jesi, S. Bartolo presso Rocca Contrada (oggi Arcevia), S. Giacomo in Settimiano (alla Lungara) a Roma, S. Benedetto fuori Porta Sole a Perugia, S. Giovanni presso Sassoferrato.
Le comunità di Silvestro furono in genere di modeste proporzioni, scarsamente dotate di beni patrimoniali, spesso insufficienti al sostentamento. I monaci, per lo più non insigniti del sacerdozio, attendevano prevalentemente al lavoro dei campi e alla pratica della questua. L’esperienza monastica di Silvestro si presentò come una rilettura della grande tradizione benedettina nel contesto religioso e socioculturale marchigiano del Duecento, fortemente impregnato dello spirito francescano. Silvestro, che a Osimo aveva incontrato due volte Francesco d’Assisi, rimanendone affascinato, conferì un’intonazione pauperistica al suo movimento, proponendo ai discepoli uno stile di vita semplice e austero. Raccogliendo l’eredità spirituale di s. Romualdo e s. Pier Damiani, Silvestro ripropose l’ideale eremitico-contemplativo del monachesimo in un periodo di declino delle vecchie abbazie del territorio fabrianese, ormai inadeguate a svolgere il ruolo del passato nel tessuto della vita della Chiesa e della società comunale. Per il suo movimento egli adottò il sistema congregazionistico, maggiormente efficace per garantire l’indipendenza e l’autonomia dei monasteri di fronte alle potenze temporali. Anche la scelta del titolo di «priore» al posto di quello di «abate», divenuto ormai nel Medioevo sinonimo di prestigio e di potenza, segnò per Silvestro una precisa opzione di stile di vita.
Silvestro, colpito da «febbre ardente», morì a Montefano il 26 novembre 1267, essendo «quasi nonagenarius» (Vita Silvestri, cap. 33): lasciava dodici eremi-monasteri (nove nelle Marche, due in Umbria e uno nel Lazio) e circa centoventi monaci.
Dopo la morte, Silvestro godette immediatamente di culto a livello popolare, alimentato da una straordinaria attività taumaturgica. Un atto notarile del 1272 già fa menzione dell’ordo Sancti Silvestri (Archivio di Stato di Macerata, S. Caterina di Cingoli, 34). Privilegi e indulgenze concessero i pontefici Callisto III, Pio II e Sisto IV alla chiesa di Montefano, dove era custodito il corpo beati Silvestri. Nel 1598, per espressa volontà di Clemente VIII, il nome di Silvestro fu inserito nel Martirologio Romano, al 26 novembre, dies natalis del santo. Nel 1605 il consiglio del Comune di Fabriano proclamò s. Silvestro compatrono della città. Nel 1617 Paolo V, con la bolla Sanctorum virorum, celebrò «sanctus Silvester Guzolinus, nobilis Auximanus, Congregationis monachorum Silvestrinorum institutor», insigne per virtù e miracoli e in particolare beneficato dello straordinario e inaudito privilegio di ricevere la comunione dalle mani della Madre di Dio. Tale riconoscimento determinò il cambiamento del titolo dell’eremo di Montefano da «S. Benedetto» a «S. Silvestro» e dell’Ordine da «Ordine di S. Benedetto di Montefano» a «Congregazione Silvestrina». La Sanctorum virorum produsse anche una trasformazione del modello iconografico di s. Silvestro, che solitamente era raffigurato con la croce e il libro della regola, mentre in seguito sarebbe stato rappresentato in prevalenza nell’atto di ricevere l’eucaristia dalle mani della Vergine come nella tela di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, realizzata nel 1619/20 per la chiesa di S. Silvestro di Osimo, e nel dipinto di Claudio Ridolfi del 1632, collocato nell’abside della chiesa di Montefano.
Nel 1599 Clemente VIII concesse che la festa di s. Silvestro, con messa e ufficio propri, fosse celebrata il 26 novembre nella diocesi di Camerino. Nel 1612 Paolo V inserì s. Silvestro nel breviario monastico. Nel 1729 Benedetto XIII estese la messa e l’ufficio di s. Silvestro a tutte le diocesi delle Marche. Lo stesso fece Clemente XIV nel 1770 per lo Stato pontificio. Nel 1890 Leone XIII inserì s. Silvestro nel calendario universale della Chiesa, decretando che la festa «de S. Silvestro Abbate» fosse celebrata «die XXVI novembris sub ritu duplici minori». Con il nuovo ordinamento liturgico, approvato da Paolo VI nel 1969, s. Silvestro gode soltanto di culto locale.
L’Ordine monastico fondato nel XIII secolo da Silvestro Guzzolini ebbe una limitata diffusione territoriale per gran parte della propria storia (Italia centrale). Soltanto a partire dalla metà dell’Ottocento varcò i confini nazionali, espandendosi in cinque continenti.
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