ATANASIO, santo
Nacque a Catania, da genitori benestanti ed assai religiosi; si può affermare per lui che l'educazione ricevuta nell'ambiente familiare dovette influire non poco sulla sua vocazione. Davanti all'mvasione degli Arabi ed alle devastazioni da questi compiute dopo il loro sbarco nell'isola (827), i genitori di A. preferirono fuggire, abbandonando ogni bene loro in Sicilia, e riparare in Grecia, dove si stabilirono a Patrasso. Qui A., che si era già fatto notare, nonostante la giovane età, per le sue virtù, "sottomise il collo al giogo monastico", entrando nel monastero della città, allo scopo di condurvi una vita di solitudine e di rinunzia. "ut remotis arbitris una cum Deo cominunicaret", come dice di lui il suo biografo. Ma il suo desiderio di quiete, di raccoglimento, di pace lontana "dallo strepito del mondo e dai vortici degli affari" doveva essere appagato per poco; eletto "egoumenos" del convento contro la sua volontà, venne infatti poco dopo consacrato vescovo di Modone in Messeffia; resse la diocesi sino all'885, probabile anno della sua morte, con la sollecitudine di un padre, dando a tutti esempio di pietà e zelo religioso. Anzi, proprio a questa figura di buon padre sembra aver teso Pietro Siculo nella descrizione dei costumi e della missione pastorale di A., quando nota il suo preoccuparsi individualmente di ciascuno dei diocesani e la sua larghezza evangelica di aiuti materiali (tanto che ripete per A. quanto era stato detto di Giobbe: "per tutti erano spalancate le porte della sua casa") e spirituali ("cadentibus fuit levatio stantibus fulcimentuin") quando, infine, parlando della sua morte, l'autore mette a confronto le ultime parole di Socrate con quelle di A., la cui unica preoccupazione fu quella di raccomandare ai presenti il comandamento della carità. Morto in fama di santità, venne sepolto nella città ove aveva esercitato il suo ministero; la sua tomba divenne ben presto meta di pellegrinaggi, tanto più che si andava spargendo la fama dei suoi miracoli.
Quanto sappiamo di A. deriva da un elogio funebre composto da un suo contemporaneo ed amico, il vescovo d'Argos Pietro Siculo. Il testo di questo elogio funebre è stato pubblicato, insieme con una sua versione latina, da A. Mai e G. Cozza-Luzi nel 1888; la versione latina riportata dagli Acta Sanctorum (che è poi quella della Patrologia patrum graecorum, vol. CIV, coll. 1365-1380) presenta alcune varianti rispetto al testo edito da Mai e Cozza-Luzi.
Fonti e Bibl.: Acta Sanctorum, Ian., II, Antverpiae 1653, pp. 1125-1130; V. M. Amico-Statella, Catana illustrata, sive sacra et civilis urbis Catanae historia..., Catanae 1740, IV, p. 401; A. Mai-G. Cozza-Luzi, Nova Patrum bibliotheca, IX, 3, Romae 1888, pp. 31-51.