ALESSANDRO Sauli, santo
Da antica e nobile famiglia, originaria di Lucca e trapiantatasi a Genova (1316), nacque a Milano il 15 febbr. 1534. Tuttavia, egli ritenne sempre come sua patria Genova: "honorata città et patria mia" la proclama in una lettera del 6 giugno 1584al doge. Dei genitori, entrambi genovesi, non conobbe, forse, che il padre, Domenico, avendo perduta, ancora in tenera età, la madre Tomasina Spinola. Domenico era un uomo colto, amico di letterati, esperto sia dei maneggi politici sia di quelli mercantili, amico di Francesco II Sforza e suo magistrato delle entrate. A. studiò dapprima in casa, e si ricordano come suoi primi maestri gli umanisti Giulio Camillo del Minio e Giambattista Vasano, indi a Pavia, senza peraltro prendervi per allora alcun titolo, e da ultimo nel convento di S. Barnaba a Milano. Entrò (1554) fra i chierici regolari di S. Paolo, detti più tardi barnabiti da una loro chiesa di Milano, vincendo non poche difficoltà, forse per qualche opposizione da parte del padre. Ordinato sacerdote nel 1556,non tardò a essere applicato dai superiori ai soliti uffici del ministero e dell'insegnamento: a Pavia, soprattutto, dov'era stata offerta ai barnabiti la nuova chiesa di S. Maria di Canepanova. Secondo i suoi biografi A. avrebbe introdotto nell'insegnamento della filosofia aristotelica l'uso del testo originale greco e fatto posto, accanto alla filosofia, anche alla geometria.
Si addottorò in teologia nel 1560, discutendo alcune tesi che ci sono pervenute a stampa, e l'anno seguente tenne anche interinalmente, nello Studio pavese, la cattedra di filosofia occupata da Filippo Zaffiro. A. dimorò in Pavia, dedito alla scuola e alla chiesa, per dieci anni (1557-67), al termine dei quali fu eletto, nel capitolo annuale del 7 apr. 1567,a generale della Congregazione e indi a poco (10 febbr. 1570) a vescovo di Alenia in Corsica. Carlo Borromeo, che lo conobbe e l'amò (come, più tardi, nonostante la disparità del carattere, un altro santo, Filippo Neri), se ne servì in più circostanze, specialmente di sinodi e di concili. Solo una volta lo trovò contrario, e non senza ragione, al suo disegno di fondere gli umiliati con i barnabiti.
Il 30 apr. 1570 A. sbarcava a Bastia. Le condizioni tristissime, in cui si trovava da tempo la Corsica, Aleria in particolare, non spaventarono il giovane vescovo (lettera, dell'8 marzo 1570, al doge di Genova). Tutto era rovina nella sua diocesi, rovina materiale e morale, tanto da essere costretto nei primi anni a vagare da un luogo all'altro senza dimora fissa. " Giunto a Bastia fui forzato a fermarmi ivi dieci giorni per poter far le debite provisioni al vitto quotidiano necessarie; et in quel tempo fui visitato da gran parte dei preti della mia diocesi, dove non ne ho ritrovato alcuno che intenda latino, molti anzi non sanno leggere. Delli costumi quali siano il lascio nella considerazione di V. S. Ill.ma, essendo state le guerre tanto tempo in Corsica, li vescovi non residenti et il mio vescovado, in particolare, stanza et habitatione di Sampiero Corso, dove regnavano più i tumulti et le setisioni che in alcuna parte dell'isola; et in particolare ritrovo nelli preti essere queste quattro specie di viti: homicidii, simonie dando i benefici in confidenza, concubine, inimicitie" (da Corte, 18 maggio 1570, a Carlo Borromeo). In confronto era migliore il popolo, in cui era rozzezza, ma anche."una pura integrità di religione non infettata da alcuna heresia" (da Bastia, 18 giugno 1570, al doge di Genova).
Non ci volle meno d'un ventennio di fatiche e di opere apostoliche, ispirate alla riforma tridentina, per migliorare i costumi del clero e per raddolcire il carattere di quei "fieri indomiti Corsi tanto inclinati all'effusione del sangue" (lettera del 1 febbr. 1576). Tutti i mezzi furono adottati: sinodi, visite ed epistole pastorali, discorsi privati e omelie pubbliche, scritti a stampa, erezione di seminari, elargizioni e assistenza in occasione di pubbliche calamità. Durante la carestia del 1579 interruppe il viaggio a Roma, ad limina, per apprestare in Genova gli opportuni soccorsi, portandoli poi egli stesso ai suoi diocesani; e durante la peste del 1580, rimasto solo al suo posto, essendo caduti infermi i suoi familiari, si adoperò in ogni modo per alleviare gli effetti del flagello. Quanto ai suoi rapporti con la Repubblica non pare che ci siano mai stati veri malintesi. Nella prima sua lettera di ossequio al doge, dianzi citata, si rallegra di potere, "procurando il servitio di Dio", venire "anche unitamente a servire alla patria, essendo il governo spirituale tanto congiunto col temporale che l'uno pare dipenda dall'altro"; ma seppe poi all'occorrenza tutelare i diritti della Chiesa e quelli del popolo a lui affidati.
Volle rimanere sul luogo della sua missione sino all'ultimo, nonostante la debolezza del suo organismo e la qualità del suo temperamento proclive alla malinconia, ricusando perfino l'offerta (1584) di una coadiutoria nella diocesi di Genova, con futura successione ad arcivescovo della sua patria. Trasferito tuttavia, dal papa Gregorio XIV, alla diocesi di Pavia, dove fece il suo ingresso il 19 ott. 1591, logorato dalla ventennale fatica, morì a Calosso, durante la prima visita pastorale, l'11 ott. del 1592.
Benedetto XIV, in uno dei primi atti del suo pontificato (21 marzo 1741) lo annoverò tra i beati; e Pio X, che da vescovo di Mantova lo aveva, anche con esametri latini, celebrato (1892), da papa lo proclamò santo (11 dic. 1904; festa: 11 ottobre).
Poche sono le opere di A. a stampa e occasionali quasi tutte. La più fortunata di esse, quella che ebbe il maggiore numero di ristampe, quattordici almeno (la prima, anonima, in Pavia, nel 1565), si può considerare sua solo in parte: è il Confessionale di fra' Girolamo Savonarola, specie di manuale d'istruzione per i chierici, al quale A. fece rilevanti aggiunte. Le altre, per indicarle sommariamente, sono: lettere pastorali, editti, costituzioni sinodali, istruzione per gli Ordini e per le confessioni, la Dottrina del catechismo romano (Pavia 1581), un De ofjicio et moribus episcopi commentariolum (stampato solo nel 1866, a Roma); osservazioni sopra alcuni decreti di mons. di Mariana, visitatore apostolico della Corsica, e regole per il seminario di Aleria (pubblicate, insieme con altri suoi scritti e lettere, da M. Venturini, Documents relatifs à l'épiscopat du B.A.S., in Bulletin de la Soc. des sciences historiques et naturelles de la Corse, VI [1886], fasc. 66, pp. 1-120); sermoni vari, fra cui alcuni sull'Eucaristia (pubblicati in sunto da R. Maiocchi in Riv. di scienze storiche, II [1905], pp. 10-22), commenti scritturali e lezioni di filosofia e teologia, manoscritti editi ed inediti si conservano nella Biblioteca Vallicelliana (cod. CXXXIV) e per la più gran parte nell'archivio gener.della Congregazione in Roma.
Iconografia: G. Boffito, Scrittori Barnabiti, III, Firenze 1934, pp. 423-431. Fra i dipinti a olio primeggiano il quadretto attribuito a Guido Reni, oggi conservato in S. Carlo a' Catinari, Roma (e per il quale v. W. Schamoni, Das wahre Gesicht der Heiligen, Leipzig 1938, con tavola di riproduzione) e la grande pala d'altare di D. Fiasella (in S. Maria di Carignano, Genova). Fra le incisioni più antiche, espressive sono quelle di L. Gaultier (1612), di C. Galle, di A. Boudan, di M. L. Asne e di Giovanni Frisio, tutte dei primi decenni del Seicento.
Bibl.: G. Boffito, Scrittori Barnabiti, III, Firenze 1934, pp. 412-440; IV, ibid. 1937, pp. 438, 587, dove, oltre le fonti di storia corsa ed ecclesiastica, sono distesamente indicati gli atti del processo di canonizzazione, iniziatosi nel 1623 e protrattosi con varie soste sino al 1904; e tutte le biografie, fra le quali sono da notare una dotta vita latina del p. G. A. Gabuzio del 1622, ma pubbl. in Milano 1748, accolta negli Acta Sanctorum, oct., V, Bruxellis 1786, pp. 806-834 (sotto l'11 ott.) e quelle di G. A. Gallicio, Roma 1661; di V. Maggi, Milano 1863; di F. L. Barelli, Bologna 1705;di P. Grazioli, Roma 1741; di G. S. Gerdil, Roma 1805, adoperata anch'essa dai bollandisti in Acta Sanctorum, cit.; di A. Dubois, Parigi 1904; di F. T. Moltedo, Napoli 1904; di O. Premoli, Milano 1904. Fra gli studi speciali: P. O. Branda nella sua ponderosa opera Confutazione dei ragionamenti apologetici pubblicati da Baldassare Oltrocchi, Pavia 1755, sulle relazioni tra A. e il Borromeo; un saggio di carteggio (36 lettere) dato da I. Gobio in appendice alla traduzione italiana (Milano 1861) della cit. biografia francese del Gerdil; Lettere scelte inedite del b. A. S. a s. Carlo Borromeo, a cura del p. G. Colombo, Torino 1878; Autobiografia di Domenico Sauli, edita dal Porro Lambertenghi, in Miscell. di storia ital., XVII (1878), pp. 1-73; Lettere inedite di s. A. S.[alla Repubblica di Genovai], pubblicate da L. M. Levati, in Strenna-ricordo per il 1920 del Circolo "b. A. S." di Genova; P. Moiraghi, Cenni storici biografici, con aggiunta di docc. e testamento del b. A. S., in Strenna-ricordo del terzo Centenario della morte, Pavia 1892; sulle relazioni tra A. e il ven. Carlo Bascapé, O. Premoli, Un carteggio inedito fra due santi prelati, in Riv. di scienze storiche, IV (1907), pp. 161-177, 261-279, 435-455; V (1908), pp. 3-18, 103-112 sulle relazioni con s. Carlo Borromeo, C. Locatelli, Il 4 novembre 1905; memorie e documenti, Milano 1905; il vol. commemorativo, S. A. S.: note e documenti, Milano 1905,con la collaborazione di O. Premoli, L. Manzini, C.Barzaghi, G. Boffito; I. Rinieri, I vescovi della Corsica, Livorno 1934, pp. 54 ss., 63 ss.; G. G. Gai, S. A. S. vescovo d'Aleria e di Pavia, in Archivio storico della Corsica, XIV (1938), pp. 570-583; Per il 50° anniversario della canonizzazione di S. A. S., in Eco dei barnabiti, Roma, agosto-ottobre 1954, con illustrazioni (a pp. 121-137).