BETTI, Salvatore
Nacque a Roma, dai marchigiani Teofilo e Maria Buzzetti, il 31 genn. 1792.
Era nipote del pesarese Cosimo Betti (Orciano, 28 marzo 1727 - ivi, 28 marzo 1814, magistrato e letterato, amico del Monti e del Perticari, noto per il poema La consumazione del secolo (Lucca 1793; 2 ediz., ibid. 1794; 3 ediz., Pesaro 1802): in settanta canti, ha per argomento la distruzione del mondo visibile, per metro la terzina dantesca, per fonti le visioni bibliche da Isaia all'Apocalisse.
La fortuna, presso i contemporanei, di quest'opera farraginosa - che rientra solo in una storia delle imitazioni dantesche del Settecento, imitazioni che culmineranno nel Monti, il quale si disse debitore di alcune immagini e di alcuni spunti a Cosimo - si spiega con il diffuso entusiasmo per i versi dall'apparenza solenne, in cui sembrava espandersi unalta e severa moralità.
Ancora ragazzo il B. fu messo in seminario a Pesaro, ove compì gli studi di umanità e retorica; passò poi nel monastero benedettino di Fonte Avellana, ove studiò filosofia e matematica; trascorse infine tre anni nell'Ordine camaldolese, da cui uscì abbandonando per sempre l'abito talare. Nella formazione letteraria subì l'influsso di Giulio Perticari, che gli fu guida nelle letture e nelle ricerche rivolte principalmente agli scrittori italiani del Trecento e del Cinquecento. Nel saggio Sulla istituzione della vera tragedia greca per opera di Eschilo (Roma 1824) e nel quinto dialogo della Illustre Italia (Roma 1841-1843) il B. ricordò con affetto il Perticari, chiamandolo secondo padre e attribuendogli il merito di averlo fatto innamorare degli studi e dei sapere.
La prima attività del B. si svolse a Pesaro, ove il padre era bibliotecario dell'Oliveriana, e fu fervida e aperta in varie direzioni: pubblicò iscrizioni latine, lettere di erudizione, poesie d'occasione, si interessò di medaglie e monete, dettò le leggi dell'Accademia orcianese, di cui fu vice-presidente. Nel 1819, per gli interposti uffici dell'amico Perticari, fu chiamato come precettore in casa Odescalchi a Roma, città ove trascorse il resto della sua lunga vita. Fu tra i compilatori e gli ammatori del Giornale arcadico (per la bibliografia fino al 1840, Giornale arcadico, LXXXVI [1841] v. Ind. gener., pp. 22-30).
Il Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti (I, gennaio-marzo 1919) fu il più importante dei periodici romani di cultura del primo Ottocento. Tra i suoi fondatori vanno ricordati, oltre al B., Luigi Biondi, Bartolomeo Borghesi, Pietro Carpi, Antonio Nibby (che poi si distaccò dal gruppo e fu uno dei fondatori delle Effemeridi letterarie di Roma), Pietro Odescalchi (direttore per trentasel anni e sovvenzionatore), Giulio Perticari (il principale ispiratore), Giuseppe Tambroni.
Protetto dai pontefici, accolto favorevolmente dagli ambienti conservatori e dai governi dei vari Stati della penisola, il Giornale arcadico fu espressione di una cultura classicheggiante ed aulica, che si opponeva alle innovazioni, ai fermenti ideologici che giungevano dalle più avanzate nazioni europee. Accoglieva scritti di archeologia, letteratura, filosofia, giurisprudenza, scienze naturali e medicina. Dato il suo indirizzo, scese più volte in polemica con la cultura e il movimento romantico, e alle pesanti critiche a Byron, Hugo e Scott unì un'intemperante ostilità per il Manzoni.
Il Belli lanciò più di uno strale contro gli scrittori del Giornale (cfr. sonetto del 23 apr. 1834 e lettera ad Amelia Bettini del 26 ott. 1835); e il Leopardi, che collaborò alle antagoniste Effemeridi letterarie,riferendosi all'orizzonte della cultura letteraria romana, scriveva al padre (9 dic. 1822) e al fratello (16 dic. 1822): "L'antiquaria è… considerata come l'unico vero studio dell'uomo… Letterato e antiquario in Roma è perfettamente la stessa cosa".
Il B. pubblicò sul Giornale arcadico numerosi articoli e note di letteratura, di lingua, di erudizione, di archeologia e numismatica. Nel 1826 vi apparve IlTambroni, ossia de' classici e de' romantici (XXXI, pp. 281-315), dialogo in cui si scagliava violentemente contro i romantici "gente di senno così perduto… che stanca d'essere italiana cerca in tutte le cose di farci stranieri". Dell'anno 1833 è l'articolo Due parole intorno i classici e i romantici (LXI, pp. 145-47), nel quale asseriva che "fra le grandi pazzie, per non dire turpitudini di questa età… si avranno le bestialità d'ogni genere delle quali presuntuosi riformatori… vanno miserabilmente lordando le carte… bastardume di romanzi, storia, d'inni alla manzoniana, di versi in prosa, di tragedie comiche, di commedie tragiche…".
Nel 1829 il B. fu nominato professore di storia e mitologia e prosegretario dell'Accadernia di S. Luca. Morto nel 1831 il segretario dell'Accademia Guattani, egli cominciò ad esercitame l'ufficio. Negli anni 1841-43 vide luce a Roma in due volumi la,sua opera maggiore, L'Illustre Italia,che fu poi accresciuta nell'edizione torinese del 1854.
Un gruppo di amici si sofferma a discutere intorno agli Italiani più rappresentativi nelle armi, nella letteratura, nelle arti figurative e a tessere di ciascuno l'elogio. Vi è una cornice narrativa, che mal si lega alla presentazione monotona di tanti e tanti personaggi; anche la forma dialogica non ha una vera ragion d'essere ed appare un non felice espediente letterario. La fede patriottica, l'odio per gli stranieri, l'esaltazione della nostra tradizione sono motivi sinceri, che vantavano una già ricca schiera di celebratori nel Settecento e che saranno ripresi dal,Gioberti. Ma l'ideale che anima queste pagine resta un ideale linguistico e letterario, in fondo retorico. Anche nella predilezione per questo o quello scrittore (Alfieri, Botta, Giordani, Monti, Perticari) e nell'avversione al Manzoni agisce il pregiudizio linguistico; la forma ideale per il B. è quella aulica, consacrata dalla tradizione. Il romanzo, ad esempio, gli appare un genere decadente, da lasciare per diporto alle donne e alle allegre brigate.
L'Illustre Italia è stata paragonata spesso al Primato dei Gioberti, di cui è stata detta il preludio. In realtà, a parte la differenza di stile e di valore, il B. non ebbe né la consapevolezza né gli scopi politici dei Gioberti: la sua opera non esce dai limiti di un accadeniásmo più o meno frigido e da certa sonnacchiosa atmosfera romana del periodo della Restaurazione: non si proponeva certo di farsi stiniolatrice d'azione.
Nel 1846 il B. fu nominato da Pio IX cavaliere dell'Ordine di S. Gregorio; con Carlo Antici, l'abate Antonio Coppi e l'avv. Giuseppe Vannutelli il B. fece parte del Consiglio di censura - variamente giudicato - nominato in base all'editto del 15 marzo, 1847 concernente le "disposizioni sulla revisione delle opere da pubblicarsi colla stampa". Fu poi, nel 1848, consultore di stato. Visse modestamente e, verso la fine, in grandi ristrettezze. Censore per molti anni della Pontificia Accademia di archeologia, fu socio dell'Accadernia delle scienze di Torino, dell'Accademia di scienze lettere e belle arti di Palermo, della Academia de la historia di Madrid, dell'Accadenda ercolanense di archeologia di Napoli, delle Accademie di belle arti di Bologna, Firenze e Torino, e di altre ancora.
Novantenne, sopravvissuto ormai da vari decenni al purismo e al classicismo della sua giovinezza, ai quali era rimasto legato per sempre, morì a Roma il 4 ott. 1882
Il B. raccolse gli articoli di vario argomento - alcuni apparsi sul Giornale arcadico - nei volumi Prose (Milano 1827)e Scritti vari (Firenze 1856).Le pagine dantesche apparvero in una silloge postuma curata da G. Cugnoni (Scritti danteschi,Città di Castello 1893);anche il Cugnoni curò la pubblicazione in tre volumetti delle Postille alla Divina Commedia (ibid. 1893),che il B. aveva segnate in margine a un esemplare del poema, affidato poi ad un amico. I saggi del B. non affrontano problemi e interpretazioni d'insieme; né una linea di sviluppo unisce i contributi particolari, anche se alcuni interessi appaiono dominanti e l'erudizione è sorretta da una saldezza morale. Si interessò anche di problemi filologici, pur se le cure che egli dette ad alcuni testi non si concretarono mai in un lavoro totalmente personale. Collaborò alla famosa edizione milanese del Convivio di Dante, collazionando per il Monti il codice Barberiniano,e alla seconda edizione dei Fatti di Enea (Venezia 1834) procurata dal Gamba, che nel 1831 aveva di questo libro pubblicato una edizione basata su un manoscritto della Marciana, ignorando altri codici e altre edizioni; molte chiose del B. furono accolte nelle due ristampe della Divina Commedia,l'una a cura di Paolo Costa (Bologna 1826) l'altra col commento di Baldassarre Lombardi (Padova 1822). In questo lavorio minuto si rivela spesso cultura, finezza, conoscenza dei manoscritti; ma si avverte la incapacità di un ordinamento sistematico e di una impostazione complessiva e dei problemi testuali e,di quelli interpretativi.
Vanno infine ricordate le lettere che il B. diresse ai suoi molti amici (Monti, Perticari, Puoti, Costa, Biondi, Tenerani ecc.),.in cui si coglie, pur nella compassata e accademica tessitura, il ritratto di un uomo schietto e nobile, anche se rigidamente e angustamente chiuso nelle sue idee.
Oltre agli scritti citati, meritano menzione le seguenti opere del B.: Intorno al ragionamento dei march. C. Lucchesini sulla istituzione della tragedia greca per opera di Eschilo,Roma 1824; Intorno ad alcuni luoghi da doversi emendare nelle Stanze del Poliziano,ibid. 1826; Due poesie di T. Tasso all'amor suo con la principessa Eleonora dEste,ibid. 1827; Considerazioni sulla Georgica di Virgilio tradotta dal march. L. Biondi,ibid. 1832; Emendazione ad alcuni luoghi dell'ediz. Zannoniana del Tesoretto,ibid. 1833; Notizia intorno alla vita e alle opere di P. Belli,ibid. 1833; Notizie intorno alla vita e alle opere dei cav. G. Wicar, pittore di Lilla,ibid. 1834; Degli antichissimi Geni e soprattutto di quello della Vittoria,ibid. 1837; Alcune opere di belle arti descritte,ibid. i840; Intorno all'edizione livornese dell'Istoria del Malispini,ibid. 1842; Intorno un antico e sacro testo di lingua italiana,ibid. 1846; Intorno all'imperatore Tiberio,ibid. 1847; Osservazioni ndl'ultima ediz. napoletana dei Sallustio, volgarizzato da fra'Bartolomeo da San Concordio,ibid. 1848; Sull'eloquenza del Segneri,ibid. 1853; Intorno a Sallustio ed al sw comentario della guerra ~rtina,ibid. 1854; Intorno alla canzone del Petrarca la quale comincia: * Spirto gentil… s,íbid. 1856; Proposta di correzioni di alcuni passi della storia di D. Compagni,ibid. i8ss; Osservazioni intorno ad alcwti Passi del Novellino,ibid. Ass; Sulla patria del poeta comico Terenzio,ibid. 1857; Intorno al volgarizzamento dell'arte della guerra di Vegezio fatto da B. Giamboni,ìbid. 1857; La Matelda della Divina Commedia,ibid. 1858; Intorno ad una medaglia greca da E. Q. Visconti attribuíta a Clemente III, ibid. 1862; Intorno alla Conquista che fece dell'Etruria Tarquinio il Vecchio, secondo Dionigi di Alicarnasso,ibid. 1865; Osserv. sulla Divina Commedia,Bologna 1873.
Fonti e Bibl.: Su Cosimo vedi: F. Stacchini, Elogio. in L'Album,Roma, 7 nov. 1835; E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri,III,Venezia 1836, pp. 114-117; G. M. Bozoli, Studi biografici,Milano 1843; L. Grilli, Un poeta dimenticato. C. B.,in La Rass. naz.,16 ag. 1898, pp. 697-720; O. Pierini, L'imitazione dantesca in un poema del sec. XVIII,in La Romagna ott. 1913, pp. 377-419; G. Crocioni, Le Marche,Città di Castello 1914, pp. 341, 368. Su Salvatore vedi: G. Pitri, Nuovi Profili biogr. di contemporanei ital.,Palermo 1868, pp. 9 ss.; A. De Gubernatis, S. B.,in Rivista europea,febbr. 1874, pp. 480-491; C. Cantù, S. B.,in La Rass. ital.,II(1882), pp. 445-473; A. Leoni, S. B.: commem. letta nell'aula dell'insigne Acc. di S. Luca il giorno 3 dic. 1882,Roma 1882; B. Peyron, Commem. del prof. S. B.,in Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino,XVIII (1882), pp. 187-197; F. Cicconetti, Vita di S. B.,Roma 1883; A. Guidi, Della vita e delle opere di S. B.,Roma 1887; C. Aureli, Una visita a S. B.,Roma 1894; A. Bertoldi, IlGiordani, il B. e vari altri,in Prose critiche di storia e d'arte,Firenze 1900, pp. 235-268; R. Barbiera, Un italiano della parola: S. B.,in Immortali e dimenticati,Milano 1901, pp. 227-240; G. Carducci, Ceneri e faville,in Opere (ediz. naz.), XI, Bologna 1902, pp. 247-254; V. Arullani, S. B.,in Fanfulla della Domenica,22 ott. 1905; U. Valente, S. B., ibid., 9 luglio 1911; A. Righetti, Il giorn. arcadico,Roma 1911, passim;V. Monti, Epistolario,a c. di A. Bertoldi, IV, Firenze 1929, p. 159; Discussioni e polemiche sul Romanticismo,a c. di E. Bellorini, II, Bari 1943, p. 494; F. Chabod, Storia della politica estera italiana,Bari 1951, p. 376; P. Treves, Lo studio dell'antichitá classica nell'Ottocento,Milano-Napoli 1962, pp. 539 58; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento,I, Roma 1963, pp. XXIII, LXXVII s., 436.