DI NEGRO, Salagro (Solagno, Salvago)
Poche sono le notizie di cui disponiamo sul personaggio: sappiamo che nacque a Genova nella seconda metà del sec. XIII, ma non conosciamo il nome del padre. R incerta anche la grafia del suo nome. Già agli inizi del sec. XIV il D. dovette aver intrapreso la guerra di corsa, approfittando del momento assai delicato che stava attraversando Genova, incapace di sfruttare la vittoria di Curzola su Venezia, minacciata dalla crescita della potenza catalana e travagliata da lotte intestine.
Da tempo infatti privati cittadini genovesi, mediante regolari contratti di divisione degli utili e spesso armando anche una sola nave, svolgevano l'attività di corsari, con l'appoggio esplicito della Repubblica (spesso pronta a chiedere il loro aiuto nei momenti di difficoltà), utilizzando le piazzeforti mediterranee (Portovenere, Bonifacio) sotto bandiera genovese. La guerra sul mare, poi, era svolta con particolare ferocia, perché l'equipaggio catturato e i passeggeri spesso venivano uccisi dai vincitori, che preferivano non fare prigionieri.
Il D., come corsaro, non dovette fare eccezione a questo atteggiamento, se un anonimo cronista dell'isola di Lesina, in Dalmazia, lo ricorda come "nefandissimus latrunculus et proditor corsale", quando agli inizi del secolo assaltò l'isola per depredarla (la fonte è citata dall'erudito secentesco Federico Federici). Il ricavo delle sue scorrerie era poi investito nei tranquilli e redditizi "loca" delle Compere della Repubblica. Inoltre, egli fu testimone delle violente lotte civili che a Genova opposero in quegli anni guelfi e ghibellini, ma non sappiamo se vi abbia partecipato direttamente. A lui indirizzò una lettera Gherardo Spinola, descrivendo la drammatica situazione della città, devastata dai continui assalti degli "extrinseci" e macchiata dal sangue dei suoi cittadini (il testo in Georgii Stellae Annales Genuenses, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVII, 2, a cura di G. Petti Balbi, p. 118).
In un documento del 1329 compare un Solagio Di Negro, patrono di una grossa galea diretta verso le Fiandre; se questo personaggio è da identificarsi col D., quest'ultimo dovette lasciare la guerra di corsa per dedicarsi a più pacifici traffici marittimi, secondo una prassi non rara tra i Genovesi. Si trattò, comunque, di una breve parentesi, perché risulta che il D. riprese la guerra sul mare, privatamente o alle dirette dipendenze della Repubblica, quando il pericolo catalano divenne più minaccioso per la sua città. Infatti, egli organizzò una temibile squadra navale e spostò il raggio di azione delle sue scorrerie dall'Adriatico, dove operava in funzione antiveneziana, al Mediterraneo occidentale, contro la flotta aragonese. La buona riuscita delle sue spedizioni è testimoniata dalla dimensione raggiunta dalla flotta ai suoi ordini: nei primi decenni del secolo egli poté contare su cinquecento uomini, riuscendo a catturare in una sola campagna ben diciassette navi.
Nel 1334 la Repubblica gli affidò dieci galee per dare la caccia alle navi nemiche, che ostacolavano la rotta tra Genova e la Sardegna. Il D. si diresse dapprima verso l'isola e poi in mare aperto, fino all'arcipelago delle Baleari; qui si imbatté in quattro navi catalane armate, con a bordo 1.800 soldati e 180 cavalieri, accompagnati dalle mogli e dai figli, dirette in Sardegna, per attaccare il territorio controllato dai Doria o, molto più probabilmente, di ritorno dall'isola in patria. Il D. decise di assalirle: iniziò un lungo inseguimento, durato dieci giorni, senza che fosse possibile per nessuna delle navi rifornirsi d'acqua. In un primo tempo venne catturato un legno nemico, che fu dato alle fiamme, perché l'equipaggio era riuscito a mettersi in salvo sulle altre navi. Alla fine tutte quelle navi nemiche furono prese: 800Catalani furono uccisi in combattimento e 360 furono condotti prigionieri a Genova; altri 600 nemici, feriti gravemente, vennero sbarcati in Sardegna.
Secondo il cronista Giorgio Stella, che narra questa campagna navale, il D. ordinò che venissero rispettate le donne catturate, opponendosi alla prassi che le voleva alla mercé dei vincitori e le sbarcò illese a Cagliari. Non solo: saputo che un nobile catalano aveva ucciso la moglie, dopo la sconfitta, per evitarle possibili violenze da parte dell'equipaggio assalitore, lo fece condannare a morte, perché non aveva avuto fiducia nella sua lealtà. La singolarità di questo atteggiamento, rispetto alle spietate consuetudini vigenti sul mare in periodo di guerra, è sottolineata dal fatto che l'episodio divenne ben presto famoso come esempio del comportamento cavalleresco dei Genovesi verso le donne. Nel sec. XVI un altro annalista, l'abate Agostino Giustiniani, riprese l'episodio, aggiungendovi particolari di sua invenzione: durante l'inseguimento delle navi nemiche, dopo aver catturata la prima di queste, i marinai genovesi avrebbero chiesto acqua e cibo, ed una pausa nell'attacco, ma il D. avrebbe opposto un rifiuto, facendo credere di aver gettato in mare le provviste: solo con la cattura delle navi nemiche i marinai avrebbero potuto trovare ristoro. Un altro storico posteriore, Uberto Foglietta, sanci definitivamente la fama del personaggio, inserendolo nella galleria degli uomini illustri di Genova.
Sulla veridicità dell'episodio e, in genere, sulla umanità dimostrata dal D. nelle sue azioni di guerra, tuttavia, si sono avanzati dubbi. Giovanni Villani, narrando gli scontri navali tra Genova ed Aragona, ricorda per questi anni la cattura di varie navi catalane nelle acque di Cipro, in quelle della Sicilia e della Sardegna; sottolinea l'impiccagione di ben 600 Catalani avvenuta in quest'ultima isola ed afferma che Genova si attirò il castigo divino per tale crudeltà (cfr. Giovanni, Filippo e Matteo Villani, Cronache storiche, a cura di F. Gherardi Dragomini, Milano 1849, libro XI, cap. XVIII). Inoltre, il Lopez ha segnalato un documento arabo, datato 24 febbr. 1335, pochi mesi dopo la campagna marittima del D., in cui il re Yusuf I di Granata scriveva al suo alleato Alfonso d'Aragona per scusarsi di aver permesso a mercanti genovesi, che avevano forse acquistato in città i prigionieri portativi dallo stesso D., di vendere sudditi aragonesi come schiavi ad Almeria, nel territorio del re arabo; egli si impegnava a liberarli immediatamente. Che il D. si fosse comportato in modo non diverso dagli altri ammiragli del Trecento è già testimoniato, del resto, dall'anonimo cronista dell'isola di Lesina. Tuttavia, è possibile nutrire dubbi sulla veridicità dell'episodio narrato dallo Stella, ma non dimostrame l'infondatezza.
Ritornato a Genova con la flotta, il D. fu costretto a ripartire immediatamente, per dare la caccia ad alcune navi Catalane che, pattugliando il tratto di mare tra la Cofsica, la Sardegna e la Sicilia, avevano catturato legni genovesi e ne avevano impiccato i marinai. Il D. ebbe fortuna, perché si imbatté in un convoglio di navi da carico nemiche, con le quali si trovavano anche le galee genovesi catturate. Saputo poi che quattro galee catalane e un legno sottile ottimamente armato si trovavano al largo della Sardegna, egli divise la sua flotta in due squadre, in modo da pattugliare le acque dell'isola; avvenuto il contatto, nello scontro navale che ne seguì ebbe la meglio. Secondo i dati forniti dallo Stella, 560 Catalani furono uccisi e 140 catturati, mentre altri 60 si salvarono, fuggendo a terra. Sbarcato a Cagliari, il D. fece impiccare il comandante della flotta catalana ed un suo subalterno.
Non si hanno altre notizie su sue successive imprese né se ne conosce l'anno di morte che fu posteriore, comunque, al 1348, quando il D. è ancora ricordato come vivente in una Compera del Comune.
Il Federici riporta il nome della moglie, Oriettina, senza specificarne il casato e ancora vivente nel 1360. L'episodio che rese celebre il D. fu esaltato nel secolo scorso in un capitolo in versi, privo di valore storico, dal marchese Gian Carlo Di Negro (La vittoria di S. D. sopra i Catalani l'anno 1334, Genova 1832).
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. Franzoniana, Mss. Urbani 129: F. Federici, Alberi genealogici delle famiglie di Genova [ms. sec. XVII], III, s.v.; G. Stellae Annales Genuenses, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVII, 2, a cura di G. Petti Balbi, ad Indicem; A. Giustiniani, Castigatissimi, annali della Repubblica di Genoa, Genoa 1537, c. CXXVI; U. Foglietta, Clarorum Ligurum elogia, Romae 1572, pp. 73 ss.; M. G. Canale, Nuova storia della Repubblica di Genova, III, Firenze 1860, pp. 143 s., 375; C. Manfroni, Storia della marina ital. dal trattato di Ninfeo alla caduta di Costantinopoli, I, Livorno 1902, p. 252; F. Donaver, La storia della Repubblica di Genova I, Genova 1913, pp. 226 s.; R. Doehaerd, Les relations commerciales entre Génes, la Belgique et l'Outremont d'àpres les archives notariales genoises, II, Bruxelles-Rome 1941, doc. 1874 (Solagius De Nigro); R. S. Lopez, Metodi di guerra nel Trecento, in Boll. ligustico per la storia e la cultura regionale, V (1953), pp. 57 ss.; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, II, Genova 1955, p. 50.