Saladino
Yūsuf ibn Ayyūb (il cui laqab o nome onorifico arabo di Ṣalāḥ ad-dīn, " Integrità della religione ", l'Occidente adattò in ‛ Saladino ') nacque nel 1138 a Takrīt in Mesopotamia, da un piccolo emiro locale di stirpe curda. Seguì giovanetto il padre e lo zio al servigio del sultano zenghide di Damasco, Nūr ad-dīn (Norandino), e fu da questo inviato con lo zio in Egitto, nei torbidi che accompagnarono colà l'ultima fase del califfato fatimida.
La successiva scomparsa dei protagonisti di quelle lotte, e infine del califfo fatimida stesso, al-'Āḍid, permise nel 1171 al S.di assumere di fatto il governo del paese, restaurandovi l'ortodossia sunnita; e quando tre anni dopo morì il suo signore Norandino, egli ne soppiantò agevolmente gli eredi, riunendo nelle sue mani i domini di Egitto, Siria, Mesopotamia. Da allora divenne il riconosciuto capo della lotta dell'Islàm contro i crociati, che costituì lo scopo principale della sua attività fino alla morte. Battuti a Tiberiade o Ḥiṭṭin nel luglio 1187 i baroni latini, e catturato il re stesso di Gerusalemme Guido di Lusignano, egli investì la città santa, che il 2 ottobre di quello stesso anno fu da lui restituita all'Islàm. Seguì la terza crociata con il lungo assedio di Acri, invano strenuamente difesa e soccorsa all'esterno dal Saladino. Alla ricaduta di Acri in mano ai crociati (1191), fu stipulata fra essi e il sultano, dopo lunghe trattative, una tregua decennale. Poco dopo (4 marzo 1193), il S. moriva a Damasco lasciando a metà l'opera intrapresa di una totale espulsione dei Franchi dalla Terra Santa; per il suo compimento, sarebbe ancora occorso un intero secolo.
L'Islàm medievale e moderno ha sentito in lui uno dei suoi più alti rappresentanti e difensori. La sua rigida ortodossia (un tratto, questo, in netto contrasto con taluni posteriori sviluppi della relativa leggenda in Occidente), la sua giustizia e umanità, ma soprattutto lo strenuo impegno nella guerra santa e il personale valore militare, lo fecero sentire massimo campione della fede musulmana sin da quando egli era in vita, e ne han colorato e idealizzato in senso islamico la figura a ogni reviviscenza del contrasto con gl'infedeli (da ultimo nella lotta, ai nostri giorni, dell'arabismo contro Israele). E ciò nonostante che il maggior storico arabo del suo tempo, Ibn al-Athīr, gli sia stato ostile, per legittimistica fedeltà alla soppiantata dinastia di Norandino. Ma la fortuna del personaggio si è estesa e sviluppata soprattutto in Occidente, fra i suoi stessi avversari cristiani. Come ha mostrato in un classico studio G. Paris, i più antichi echi letterari su di lui da parte occidentale risentono ancora dell'avversione per il distruttore dell'opera di Goffredo, e romanzano elementi a lui sfavorevoli della tradizione orientale e, in parte, dell'accertabile realtà storica.
Il latino Carmen de Saladino, le parti più antiche della Chronique d'Ernoul e del romanzo di Jean d'Avesnes, tutti della prima metà del sec. XIII, favoleggiano di un'origine servile del S., e di una sua ascesa dovuta all'adulterio e all'assassinio. Ma presto queste voci avverse (che del resto ricamano su taluni innegabili punti oscuri specie nella carriera iniziale del sultano) si attenuano fino a sparire col prevalere dell'opposta tendenza idealizzatrice, la cui piena affermazione si trova in altre parti della ricordata Chronique d'Ernoul, nel Menestrel de Reims, nell'Avventuroso ciciliano di Bosone da Gubbio, e nelle celebri novelle ‛ saladiniche ' del Novellino e del Boccaccio. In tutte queste fonti, il S. appare magnifico e cavalleresco signore, tiepido musulmano e curioso simpatizzante o persino segretamente aderente al cristianesimo, con cui talvolta è anche collegato da vincoli di sangue (il solito espediente di assimilazione degli eroi di parte avversa), per una sua pretesa discendenza franca da parte di madre. La sua scaltrezza gli fa tendere a Melchisedec giudeo (il futuro Nathan di Lessing) l'insidiosa questione della vera fede, e la tollerante saggezza gli fa accogliere con ammirazione l'abile apologo giustificativo. Questa sua presunta tolleranza condusse poi, in età illuministica, alla raffigurazione lessinghiana, da cui il S. della storia si sarebbe con orrore ritratto.
D. raccolse l'eco della leggenda occidentale, ormai nettamente favorevole all'eroe. In un suo elenco di signori liberali e magnanimi (Cv IV XI 14), il S. sta in compagnia del buono re di Castella Alfonso VIII, del marchese di Monferrato, del conte di Tolosa Raimondo V, di Bertram dal Bornio, di Galasso di Montefeltro. Il celebre verso di If IV 129 isola per contro nel Limbo l'eroe musulmano dal gruppo, cui pur di diritto appartiene, degli eroi ed eroine della classica antichità: con quel solo in parte non solo è espressa l'ovvia differenza di fede e civiltà del grande sultano, ma ne risulta in plastico rilievo l'alta figura. È un omaggio all'uomo per le sue eccezionali qualità morali e sociali (storiche, o credute tali, in quell'epoca), più che alla civiltà di cui egli poteva apparire rappresentante; ma un raggio di quella poetica luce si riverbera anche su di essa, quasi a compenso della cruda rappresentazione di Maometto che seguirà nel poema (If XXVIII). È curioso che ciò non sia stato raccolto dal più sensibile moderno interprete di D. fra gli Arabi, Hassan 'Osmān (v.), che nella sua versione del passo ha lasciato cadere proprio il nome del Saladino.
Bibl.-H.A.R. Gibb, The achievement of Saladin, in " Bulletin of the John Rylands Library " XXXV (1952) 58-72; F. Gabrieli, Il S., Firenze 1948. Per la leggenda: G. Paris, La legende de Saladin, in " Journal des Savants " (1893).