LOPEZ, Sabatino
Nacque a Livorno, il 10 dic. 1867, da Isacco ed Elvira Tedeschi.
La famiglia paterna, all'anagrafe Lopez Nunes, era di origine marrana e si era stabilita a Livorno alla fine del XVI secolo; entrambi i genitori furono insegnanti e coltivarono la passione per il teatro, trasmettendola al figlio.
Il L. frequentò il liceo Niccolini a Livorno; si iscrisse quindi all'Università di Pisa dove si laureò in lettere, nel 1888, con A. D'Ancona, discutendo una tesi sul poema eroicomico nel XVI secolo.
Fin dagli anni universitari aveva iniziato a collaborare con fogli locali e giornali (tra cui Il Telegrafo, Il Telefono, Il Rospo volante, Cronaca minima); fu amico di E. Panzacchi che lo incoraggiò a scrivere per il periodico Battaglia bizantina. Con i librettisti G. Targioni-Tozzetti e G. Menasci, suo compagno di studi dal ginnasio in poi, e con P. Mascagni, il L. visse le ansiose aspettative per la nascita di Cavalleria rusticana. Strinse, nonostante la differenza d'età, affettuosa amicizia con il poeta G. Marradi, entrando in rapporto anche con C. Pascarella.
Non appena laureato, il L. ebbe la cattedra di lettere italiane presso la scuola tecnica pareggiata di Bologna; fu in questa città che, il 12 febbr. 1889, avvenne il suo debutto come autore drammatico con l'atto unico Oriana, rappresentato al teatro del Corso, interpreti F. Bertini e Teresa Boetti Valvassura. Fu, però, con la commedia in tre atti Di notte - messa in scena all'arena del Sole di Bologna il 25 luglio dello stesso anno dalla compagnia Diligenti - che il L. ottenne il primo vero successo.
Contemporaneamente iniziava a conoscere e a frequentare i grandi attori italiani di fine Ottocento, a partire da C. Rossi, A. Maggi, Tina Di Lorenzo (che sarà sua fedele interprete fino agli anni Venti del nuovo secolo), Ida Carloni Talli, Italia Vitaliani, e stringeva rapporti artistici con la compagnia Bellotti-Bon.
Nell'anno scolastico 1891-92 fu chiamato dalla scuola tecnica statale di Cuneo: qui, come poi nel corso dei trasferimenti che costellarono la sua carriera scolastica, prese a frequentare l'ambiente letterario e artistico locale, in particolare l'editore F. Casanova, G. Giacosa ed E. Calandra. Nell'autunno del 1892 passò a Napoli, sempre alle scuole tecniche, avendo così modo di conoscere, traendone forti stimoli culturali, tra gli altri, Matilde Serao, S. Di Giacomo, L. Bovio, e soprattutto R. Bracco, all'epoca già famoso giornalista e importante drammaturgo. Passò a Sassari nell'anno scolastico 1893-94 e in quello successivo a Catania, dove insegnò per tre anni e dove conobbe G. Verga e F. De Roberto, con cui stabilì un fraterno e durevole rapporto.
La produzione drammatica del L. in questo periodo crebbe sensibilmente: furono veri successi l'atto unico Il segreto, (Torino, 14 ott. 1892, Compagnia primaria Pasta-Garzes-Reinach); L'ospite (Napoli, 24 giugno 1893, medesima compagnia); e la commedia Ninetta (ibid., 6 maggio 1895, compagnia Beltramo-Vitaliani-Lombardi).
Nel 1897 fu chiamato a insegnare a Genova, dove sarebbe rimasto fino al 1911 e dove L.A. Vassallo, all'epoca direttore del Secolo XIX, lo chiamò a collaborare come cronista e critico teatrale. Proprio in appendice al giornale, nel 1901, fu pubblicato a puntate il suo romanzo sui "guitti" Gli ultimi zingari (poi Milano 1920; nuova ed. riv., ibid. 1926). Nel periodo genovese ebbero un particolare riscontro di critica e di pubblico La donna d'altri (Genova, teatro Verdi, 12 ott. 1906, compagnia Mariani); Bufere (Torino, teatro Alfieri, 17 dic. 1907, compagnia O. Calabresi); e, più di tutti, La buona figliola, uno dei successi più clamorosi della stagione di prosa 1908-09 (Roma, teatro Argentina, 12 apr. 1909, compagnia Reinach-Chiantoni). Ripresa più volte nel corso degli anni, la pièce ebbe fortuna scenica in Spagna e nei Paesi latino-americani e, negli anni Cinquanta-Sessanta, fu più volte adattata e trasmessa dalla radio.
Bufere, dramma in tre atti, è ambientato nella società altoborghese palermitana, dove il dott. Antonicu Sanna-Branca, chirurgo di chiara fama, mette in gioco la carriera e gli affetti invaghendosi di Cora, una trapezista che ammalia gli uomini per poi tradirli con disinvoltura. Secondo un paradigma caro alla belle dame sans merci fine-principio di secolo, tra femminismo e vampirismo, la donna esercita le sue arti seduttive solo per il piacere di "rinnovare" vitalisticamente gli uomini. A lei si opporrà Sabina, moglie irriducibilmente fedele del chirurgo, che, pur di liberarlo, sfigura Cora colpendola con un bisturi.
Un altro personaggio femminile, Cesarina, è al centro de La buona figliola: mantenuta di un ricco deputato, Pippo Spontini, e cosciente della propria corruzione, sostiene il suo ruolo con una logica serrata, senza scrupoli ma senza cedimenti, attenta a non perdere ciò che via via acquisisce, ma pretendendo la ricchezza come per un obbligo contrattuale e, quindi, per ciò stesso evitando di tradire l'amante. Tuttavia, allorché si tratta di assicurare alla sorella Giulia la dote per il suo matrimonio, non indugia a concedersi al banchiere Ferante in cambio di 100.000 franchi. Poiché Cesarina ben conosce il peso del genere di vita che conduce e non vuole che anche la sorella ne divenga vittima, questa volta di fatto si concede per un senso di generosità, rinunciando a quel minimo di rispetto per la propria dignità morale che consiste nel fare "correttamente" il suo triste mestiere.
Con questi due testi il L. raggiunse il più vasto successo raccogliendo, per la sua innata capacità di sviluppare e condurre un intreccio grazie a un raffinatissimo dialogo, il consenso di capocomici, attori e pubblico. I temi del triangolo borghese, del tradimento, dell'emancipazione femminile sono affrontati con ironia e con un perbenismo moraleggiante, ancora legati a una concezione "ottocentesca", sia etica sia estetica, cui non sarebbe mai venuto meno: in effetti, la sorridente bonomia del L. e la sua tiepida carica ironica non erano sufficienti per arrivare a un'autentica critica della società contemporanea. Né tanto meno egli fu in grado di anticipare quel "teatro del pensiero" che fu poi tipico degli autori del "grottesco" e dello stesso L. Pirandello; gli mancò quello spirito autenticamente corrosivo che poteva aiutarlo ad acquisire la consapevolezza, teorica e formale, necessaria per scavare nelle contraddizioni del vivere borghese quale, sia pur in poche opere, raggiunsero, per esempio, M. Praga o Giacosa.
Va detto, però, che la sua scrittura si dimostrò funzionale al sistema delle compagnie all'italiana, che imponevano anche ad autori molto dotati precise scelte di repertorio, tali da non compromettere possibilità di successo e di guadagno; le esigenze dei capocomici e dei primi grandi attori si incontrarono felicemente con la concezione drammaturgica (personaggi, intrecci, dialoghi, tematiche) del L., del tutto restio a recepire le nuove sensibilità, i nuovi profondi turbamenti spirituali della psiche individuale e della società, che già stavano investendo il teatro europeo del dopo Ibsen a inizio Novecento. Di certo, il suo intimismo, le sue ambientazioni veristiche non potevano non coinvolgere un pubblico piccolo e medio borghese e soddisfare il suo orizzonte d'attesa, senza sconvolgerne le sicurezze; la stessa strutturazione del dialogato era un'abilissima costruzione fondata sul sottinteso, sulle "implicature" della conversazione, ma poco capace di far riecheggiare dal profondo significazioni sottotestuali. Cosicché i testi più riusciti del L. o risultano datati o esprimono un gusto teatrale troppo determinato da esigenze sceniche, oggi non più praticabili.
Intanto, il 22 dic. del 1909, il L. aveva sposato Sisa Tabet, dalla quale ebbe due figli, Roberto e Guido. Nel luglio 1911 successe a Praga nell'incarico di direttore generale della Società degli autori, carica che tenne fino al maggio 1919 facendosi equilibrato mediatore fra le parti in causa: autori, importatori di testi e commedie, attori, proprietari di sale. Nell'ottobre 1915 gli fu assegnata la cattedra di lettere italiane all'Accademia di Brera, dove insegnò con impegno e passione per vent'anni; questo ufficio, come pure le collaborazioni al Corriere della sera e all'Illustrazione italiana, i rapporti da "autore fisso" con il suo editore, Treves, le stesse amicizie professionali, lo portarono via via a integrarsi nell'ambiente milanese, divenendo cittadino e personaggio ambrosiano a pieno titolo. Durante la guerra scrisse Mario e Maria, testo che venne memorabilmente interpretato da Emma Gramatica e U. Piperno (Milano, teatro Olimpia, 24 apr. 1915) e, poi, nella stessa stagione, dalla Di Lorenzo e da A. Falconi.
Mario e Maria ha come protagonista una figura femminile che può essere considerata una variante interessante del femminismo primo Novecento. La giovane ereditiera veneziana Maria, che una sua precedente esperienza come insegnante d'inglese ha reso mascolina al tratto e all'apparenza (indossa tailleurs maschili e sembra un "ragasso con sassera", come afferma il barone di Krubelich), diviene Mario per i suoi amici bohémiens; tutti però sanno che, nonostante la schiettezza del carattere e un certo rigorismo, quella di Maria è solo una posa temporanea. Anche qui, quello che poteva essere uno snodo drammatico ad ampio spettro sociale e psicologico, si rivela come un'esteriore e superficiale costruzione più prossima al teatro boulevardier che a una problematica moderna.
Gli anni successivi al primo conflitto mondiale videro il L. appartato, quasi messo fuori gioco dalle novità teatrali del tempo: il teatro pirandelliano, quello "sintetico" dei futuristi, quello "fantastico" di L. Antonelli ed E. Cavacchioli. Fra il 1919 e il 1927 il L. scrisse per lo più atti unici e pubblicò, nel 1920, Le loro maestà (Milano), un volume di riflessioni e note autobiografiche sulla vita teatrale, in difesa di una visione idealistica e ottocentesca dell'arte. Dal 1921 al 1925 diresse il teatro del Popolo della Società umanitaria di Milano e, dal 1924 al 1927, l'Università popolare. Nel 1925 vennero messi in scena tre suoi atti unici (Si chiude, Si riapre, Si lavora), una trilogia da commedia di carattere intitolata Parodi & C., interpretata da Falconi con grande successo di pubblico. Il 29 marzo 1928, a Padova, andò in scena uno dei suoi lavori più fortunati, La signora Rosa, prodotto dalla compagnia Niccodemi con Vera Vergani, L. Cimara, R. Lupi.
La commedia, che sarebbe stata riproposta con identico successo lungo gli anni fino ad avere anche versioni televisive - e traduzioni in polacco e in castigliano -, presenta un sapido e arguto ritratto di una sorta di "burbero benefico", lo Zazzera, e della signora Rosa, da lui amata, che gestisce un'osteria.
Con questo successo il L. si ritrovò di nuovo al centro dell'attenzione, festeggiato da tutto l'ambiente teatrale e culturale; fu un periodo molto attivo, finché, inopinatamente, nel 1938 le leggi razziali promulgate dal governo fascista lo bandirono, in quanto ebreo, da tutti i palcoscenici e dai giornali. Trascorsero, per il L. e i suoi familiari, anni difficili, alleviati solo dall'aiuto e dall'affetto di tanti amici. Dopo l'8 sett. 1943, con l'occupazione nazista, il L. dovette rifugiarsi in Svizzera. Rientrato a Milano, pubblicò S'io rinascessi (Milano 1949) e riprese a collaborare con il Corriere della sera.
Il L. morì a Milano il 27 ott. 1951.
Quasi tutto il teatro del L. è stato edito da Treves, Milano 1909-36 (si ricordano, in particolare: La buona figliola, 1909; Bufere, 1912; Ninetta - Il terzo marito, 1920; Teatro color di rosa, 1921; La morale che corre - La donna d'altri, 1923; Parodi & C., 1925; Drammi brevi, 1925; La signora Rosa, 1928; Mario e Maria, 1929; Le bianche e le nere, 1931; Sorrisi e sospiri, 1936). Si segnalano inoltre le seguenti edizioni: La buona figliola - La nostra pelle, Milano 1952; La signora Rosa - Sole d'ottobre, ibid. 1960; Sette commedie in un atto. Fra un atto e l'altro - Daccapo - Il giocatore di prestigio - Gli occhi degli altri - Novità di Parigi - Luce - Ombre, a cura di G. Lopez, ibid. 1967.
Oltre a quanto citato, si ricorda ancora, fra i testi narrativi, Le ultime lettere e le novelline, Catania 1900. Gli interventi di critica teatrale per la stagione 1928-29 sono raccolti in Cronache teatrali 1929, Milano 1931; importante anche il volume epistolare S. Lopez, Dal carteggio di Virgilio Talli, raccolto da E. Roggero, ibid. 1931.
Fonti e Bibl.: La Rivista di Livorno tra il 1955 e il 1959 ha pubblicato carteggi del L. con D. Niccodemi (1955), G. Menasci (1957) e F. Martini (1959). Vedi, inoltre, Carteggio M. Praga - S. Lopez (1880-1929), a cura di G. Lopez, in Il Dramma, XXXIV (1958), 267, pp. 63-93.
Pagine dedicate al centenario di S. L., ibid., XLIII (1967), 371-372, pp. 1-40; 60 anni di vita teatrale in occasione del centenario della nascita di S. L. (catal.), a cura di G. Lopez, Livorno 1967; S. L. (1867-1951). Mostra documentaria (catal.), a cura di G. Lopez, Milano 1968.
Fra i pochi contributi critici sul L.: L. Tonelli, S. L., Roma 1920; S. D'Amico, Il teatro italiano, Milano 1932, pp. 184-187; G. Pullini, Teatro italiano del Novecento, Bologna 1971, pp. 21 s.; G. Lopez, S. L. interpreta la Duse. Cronache, lettere, ricordi, in Ariel, 1989, n. 1-2, pp. 79-100; Id., S. L. interpreta Zacconi (cronache genovesi 1898-1907), in La passione teatrale. Tradizioni, prospettive e spreco nel teatro italiano: Otto e Novecento. Studi per A. D'Amico, a cura di A. Tinterri, Roma 1997, pp. 197-221; L. Bottoni, Storia del teatro italiano 1900-1945, Bologna 1999, pp. 30-32; P.D. Giovanelli, S. L. critico di garbo. Cronache drammatiche ne "Il Secolo XIX" (1897-1907), Roma 2003; Enc. dello spettacolo, VI, coll. 1644-1647.