SALVO MUZIO, Rosa (Rosina)
– Nacque a Termini Imerese il 23 dicembre 1815, dal marchese Giuseppe Salvo di Pietraganzili e da Giuseppina Sciarrino.
Orfana di madre, venne inviata presso un istituto religioso del paese natale, ma la vivacità del suo carattere, conflittuale con la rigidità di un monastero, fece sì che, a circa dodici anni, tornasse a casa per completare l’educazione sotto la guida di un’istitutrice, da cui imparò inglese, francese e lo studio delle letterature europee. L’ambiente familiare, colto e aperto agli stimoli intellettuali, arricchì la sua formazione culturale e politica: il padre, sebbene vicino alla monarchia per la sua stessa posizione sociale, non era ostile alle idee liberali e frequentava assiduamente esponenti del vivace ambiente intellettuale di Termini, come Nicola Palmieri, protagonista della riforma costituzionale del 1821. Rosario, fratello di Rosa, testimonia come la ragazza recitasse in casa nella Francesca da Rimini di Silvio Pellico insieme con Giuseppe La Masa, futuro protagonista del 1848 siciliano, interpretando la parte dell’eroina (Salvo di Pietraganzili, 1897, p. 37).
Diciottenne, si unì in matrimonio con il barone Gioacchino Muzio Ferrero, più anziano di otto anni, la cui biblioteca, aggiornata con i titoli di Ugo Foscolo, Vittorio Alfieri e Giuseppe Parini, le consentì di ampliare la propria cultura con letture diverse da quelle solitamente destinate alle giovani donne. Contemporaneamente, interessata agli esercizi poetici, prendeva lezioni di metrica e versificazione dal canonico di Termini, Agostino Giuffrè. Nel 1839 i Muzio si trasferirono a Palermo, dove Rosina ebbe l’opportunità di allargare i propri orizzonti culturali frequentando la dimora dei marchesi Corradino e Sofia D’Albergo, coppia dagli interessi aperti e vivaci: qui venne in contatto con Francesco Paolo Perez, classicista, figura d’autorità all’interno dell’intellighenzia isolana, e con il gruppo raccolto intorno a La Ruota, rivista progressista impegnata nella denuncia dei privilegi e del parassitismo (tra gli altri, vi collaboravano Benedetto e Gian Battista Castiglia, Vincenzo Errante, Michele Bertolami, Paolo Giudici), in cui lei stessa pubblicò alcuni testi poetici.
Nel 1843, dieci anni dopo il matrimonio, abbandonò la casa maritale per tornare in quella paterna, a Termini, con l’unica figlia Concetta (altri tre figli erano scomparsi prematuramente): un episodio, quello della separazione matrimoniale, completamente censurato dalle fonti ottocentesche, al punto che – nell’intento di oscurare un dato irregolare nella sua biografia – si preferì parlare di lei come una vedova. Frattanto raccoglieva in volume testi poetici già pubblicati in alcuni giornali siciliani (Poesie, Palermo 1845) e dava alle stampe il suo primo romanzo (Adelina, Firenze 1846), esprimendosi pionieristicamente in un genere allora non praticato dalle scrittrici.
Si trattava di un’opera accesamente romantica, ispirata, sia nello stile sia nel contenuto all’Ortis foscoliano in cui la protagonista è una donna dai sentimenti appassionati e dal carattere non convenzionale: secondo Enrico Ghidetti è possibile che Giovanni Verga sia stato influenzato proprio da alcune pagine di Adelina per descrivere la progressiva disgregazione mentale di Maria, protagonista di Storia di una capinera (cfr. E. Ghidetti, Introduzione a G. Verga, Tutti i romanzi, I, Firenze 1983, p. XXI).
La rivoluzione del 1848, che coinvolse tutti gli amici intellettuali palermitani, la vide partecipare attivamente alla costituzione della Legione delle pie sorelle, nata nell’agosto di quell’anno a opera di un gruppo di aristocratiche e borghesi, con l’intento di promuovere iniziative di sostegno verso le donne delle classi povere. L’attività della congregazione, di forte impronta religiosa e strutturata con una rigida organizzazione interna, suddivisa in centurie e guidata da una presidentessa, si esprimeva soprattutto in ambito educativo: i fondi raccolti con le numerose iniziative di beneficenza erano finalizzati, tra l’altro, al mantenimento di un istituto femminile per le fanciulle del popolo e alla fondazione di asili per l’infanzia. Rosina venne eletta segretaria, e come tale redigeva i verbali delle assemblee, pubblicati regolarmente nel giornale omonimo dell’istituzione. Il suo ruolo faceva sì che corrispondesse con i membri del governo provvisorio, in particolare con il ministro dell’Istruzione: un esempio di come l’impegno educativo delle donne, previsto e valorizzato dall’ideologia risorgimentale, legittimasse una loro dimensione civica e la concreta intromissione nella vita pubblica. In quegli stessi mesi, collaborava con un’altra testata palermitana, L’Educazione popolare, pubblicandovi testi poetici di impegno patriottico, in conformità con il folto gruppo di letterate che, nella seconda metà degli anni Quaranta, in diversi contesti della penisola, trattavano temi civili. Notevole, in quello stesso giornale, fu un suo articolo fortemente critico nei confronti dell’allora ministro della guerra Giuseppe Farina, accusato di incompetenza: un’inedita incursione femminile nel campo prettamente maschile della politica di guerra, peraltro non isolato nelle circostanze eccezionali della rivoluzione del 1848.
Finita l’esperienza rivoluzionaria e quella della Legione, la cui durata effettiva fu di pochi mesi, tra l’agosto e il dicembre del 1848, non recise i legami con gli ambienti dell’opposizione, maturando però il passaggio dalle convinzioni democratiche al liberalismo moderato filopiemontese.
Negli anni Cinquanta-Sessanta la sua produzione editoriale comprese una raccolta antologica (Prose e poesie, Palermo 1852) e diversi racconti e romanzi, tra cui: Matilde e Bice, novella in versi (Palermo 1857), Giannetta (Palermo 1858), Dio ti guardi. Novella (Milano 1862), Le due contesse (Milano 1865). In queste opere i temi romantici e la predilezione per una coloritura patetica, sulla scia di Caterina Percoto, si mescolano a spunti di polemica e denuncia sociale, all’interno di quella dimensione pedagogica che costituì la principale deriva e un interesse costante per l’autrice.
Collaborò attivamente alle riviste genovesi La donna e La donna e la famiglia, impostate su tematiche educative e indirizzate a un pubblico femminile, conformemente al nuovo ruolo familiare elaborato per le donne nell’ultima fase del Risorgimento. In Lettere a Faustina sull’educazione (Genova 1862) si definiva compiutamente la sua visione dell’educazione delle ragazze, secondo cui la necessità di una buona istruzione non doveva mettere in discussione il loro ruolo prioritario di mogli e madri, coerentemente al moderatismo pedagogico che caratterizzava l’intellettualità femminile in quei decenni, sul solco di figure come Caterina Franceschi Ferrucci e Giulia Molino Colombini.
In generale, l’attività letteraria e culturale di Rosa Salvo Muzio va inserita nell’ambito postunitario, in cui molte donne partecipavano alla costruzione del nuovo Stato rivendicando, attraverso la scrittura pubblica, l’appartenenza femminile a una nuova comunità nazionale. Da ricordare, in questo contesto, il suo impegno per la pubblicazione della Strenna femminile a profitto dell’Associazione filantropica delle donne italiane (Torino 1861), che raccoglieva contributi delle più illustri scrittrici italiane di quegli anni. Postumi sono usciti due volumi, contenenti prose e poesie già pubblicati in precedenza: Versi (Palermo 1869) e Racconti di Rosina Muzio Salvo: con alcuni scritti morali preceduti da un discorso sulla vita dell’autrice (a cura di L. Sampolo, Torino 1869).
Morì, a Palermo, il 20 febbraio 1866.
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