RONCHIVECCHI TARGIONI TOZZETTI, Francesca
(Fanny). – Di famiglia appartenente alla nobiltà cittadina, nacque a Firenze nel 1801, da Luigi e da Teresa Manzi.
Nell’ottobre del 1821 sposò il medico e naturalista Antonio Targioni Tozzetti (1785-1856), membro di una prestigiosa dinastia fiorentina di scienziati. La coppia ebbe tre figlie: Adele, sposata con Marco Tabarrini, Teresa, rimasta nubile e morta nel 1880, e Giulia, lungamente inferma, scomparsa nel 1891. Notizie biografiche riferiscono anche di due figli maschi (ma il ramo di Antonio si estinse con Camillo Tabarrini, figlio di Adele) e di una quarta bambina deceduta a soli due mesi (Stefanelli, 1863, p. 15; Benucci, 1999, p. 16, parla invece di aborto spontaneo). Fu questo un evento luttuoso che minò a lungo la salute della madre. Fanny si occupò personalmente dell’educazione delle ragazze, dedicando a questo compito cure e attenzioni testimoniate anche dai carteggi familiari.
La sua figura si colloca sullo sfondo sociale della Restaurazione nel Granducato di Toscana e più tardi di Firenze capitale. Il marito, a partire dai primi anni Venti, aveva affiancato suo padre nell’incarico di direttore del giardino dei Semplici, l’orto botanico di Firenze. Laureato in medicina e filosofia a Pisa, medico fiscale dal 1824, chimico e professore di botanica e materia medica all’arcispedale di S. Maria Nuova, Antonio fu uno scienziato influente e ben introdotto negli ambienti politici e istituzionali dell’epoca, grazie anche all’autorevolezza del padre Ottaviano e del nonno Giovanni, entrambi botanici e medici di riconosciuto valore. Il matrimonio permise a Fanny di giovarsi della posizione culturale eminente per aprire il proprio salotto a intellettuali fiorentini e colti forestieri di passaggio in città. Sono i «vezzosi appartamenti» al canto degli Aranci resi celebri da Giacomo Leopardi nei versi di Aspasia. Delle accoglienti sale al civico 85 di via Ghibellina furono ospiti, tra gli altri, Massimo D’Azeglio, Gino Capponi, Pietro Giordani, Guglielmo Libri, Guglielmo Pepe e naturalmente Leopardi.
Collezionista di autografi di letterati celebri, raffinata epistolografa e buona pittrice, circondata da una vivace cerchia di ammiratori tra cui Carlo Torrigiani (attribuitole come amante), Luigi Mannelli, Gherardo Lenzoni, il marchese Lucchesini, Fanny fu una delle più chiacchierate dame del suo tempo e a suo modo una protagonista della sociabilità fiorentina. Donna di gran fascino, tutta «letteratura e signoria» (Moroncini, 1930, p. 153) come la definì Alessandro Poerio che la ritrasse bellissima e gentilissima, cortese di modi, eccellente nelle lingue moderne (e Mario Pieri la individuò come unica eccezione nello scoraggiante scenario di bruttezza delle signore fiorentine), corrispose con Leopardi e Antonio Ranieri e fu destinataria di lettere di Giordani nelle quali il piacentino le chiedeva con insistenza di poter visionare le missive inviatele dal poeta mentre componeva le liriche del cosiddetto ciclo di Aspasia. Fanny non glielo concesse e queste lettere, di grande interesse letterario per ammissione dello stesso Giordani (Melosi, 1995, p. 156), risultano a tutt’oggi irreperibili.
Rifiutò sempre l’identificazione con la «dotta allettatrice» immortalata da Leopardi nel canto Aspasia, vestita del colore bruno della viola, mollemente adagiata sulle nitide pelli di un sofà e colta nell’atto di scoccare baci ai figli attirando a sé gli sguardi affascinati del poeta. Ma la sua notorietà è rimasta indissolubilmente legata al secondo soggiorno leopardiano a Firenze, cominciato nel 1830 e conclusosi tre anni dopo. Fanny aveva conosciuto Leopardi grazie all’amicizia con Ranieri, patriota napoletano più tardi sodale del recanatese, incontrato tra il 1827 e il 1828. Consapevolmente Leopardi ricoprì il ruolo di intermediario amoroso tra Fanny Targioni Tozzetti e Ranieri nel biennio 1831-33, mentre l’amico si trovava lontano da Firenze e la dama indulgeva nell’infatuazione per lui. Il poeta godette del calore riflesso delle «gran carezze» (lettera a Ranieri del 29 gennaio 1833; Leopardi, 1998, p. 1983) che Fanny gli elargiva in cambio di confidenze sul giovane napoletano, dell’intimità domestica del suo salotto, della complicità che nasceva dalla preoccupazione per l’amico comune. Le procacciava, nel frattempo, autografi di personaggi illustri per il suo album (lettere del maggio 1831, pp. 1795, 1797 s.) e le regalò una preziosa copia dell’edizione Piatti dei Canti rilegata in marocchino e oro.
Nella sezione dei Canti nota come ciclo di Aspasia, o più propriamente detta ‘dei canti fiorentini’, Leopardi, ridestando e rivivendo dentro di sé la suprema illusione, amorosa, andò incontro a una decisiva frattura: abbandonò infatti la poetica delle rimembranze dei canti pisano-recanatesi per abbracciare la dolorosa e tesa inquietudine generata dall’imprevedibile presente. In questo contesto Aspasia, risalente al periodo napoletano e per questo non univocamente inclusa dai critici nella compagine del ciclo, rappresenta il più compiuto «canto del disinganno» (Spitzer, 1963, p. 119).
Sette mesi dopo la morte del poeta, Fanny aveva appreso da Ranieri di essere stata l’ispiratrice della figura di Aspasia, trovando conferma a quanto aveva certamente già intuito e che si vociferava tra gli amici di Leopardi (lettera di Ranieri del 13 gennaio 1838; Benucci, 1999, p. 147). A queste dichiarazioni esplicite, rispose a stretto giro di posta con simulata sorpresa: «Se io non vi conoscessi così propenso al farmi arrabbiare, e canzonare direi che siete stato cattivo nel tentare di darmi un dispiacere colla risposta sull’Aspasia. Voi più d’ogni altro sapete se mai diedi la menoma lusinga a quel povero uomo del Leo, e se il mio carattere è tale dal prendersi gioco d’un infelice e d’un bravo uomo come lui» (p. 149, corsivi nel testo). Parole che dimostrano quanto Fanny fosse preoccupata di difendere prima di tutto la propria reputazione, in pubblico e nel privato con Ranieri, nel timore di perderne la fiducia e la stima.
Al contrario di Leopardi, di cui restano soltanto un paio di missive (la prima, inviata da Roma il 5 dicembre 1831; la seconda da Firenze, del 16 agosto 1832, contenente il binomio amore e morte, fulcro della poetica dell’eponimo componimento e di Consalvo), con Ranieri il carteggio fu piuttosto regolare e copre all’incirca un trentennio: da quel 1829 in cui prese avvio il «lungo romanzo», causa di «molto dolore e molte lacrime», che fu la passione di Ranieri per l’attrice Maria Maddalena Pelzet (così Giacomo nella lettera al fratello Carlo del 15 ottobre 1831: Leopardi, 1998, p. 1830; Moroncini, 1932) fino al 1857. I due si rividero a Napoli nell’estate del 1845, quando Fanny accompagnò il marito al IV Congresso degli scienziati italiani, autorevole appuntamento che proseguiva la consuetudine avviata a Pisa nel 1839.
Non era la prima volta che Fanny sosteneva pubblicamente l’attività professionale di Antonio Targioni Tozzetti. Tra il 1835 e il 1837, durante l’epidemia di colera che si diffuse a Firenze, gli fu accanto nella sua qualità di membro della commissione sanitaria incaricata di informare la popolazione sulla trasmissione della malattia. Entrambi furono impegnati in attività filantropiche, come la Società degli asili infantili e le prestazioni volontarie di cure mediche agli orfani. Nell’agosto del 1855, a seguito di una nuova epidemia di colera, Antonio Targioni Tozzetti venne nominato nella deputazione sanitaria presieduta dal prefetto di Firenze. Nell’autunno dell’anno successivo le già precarie condizioni di salute dello scienziato si aggravarono irreparabilmente.
Fanny morì a Firenze il 29 marzo 1889.
Fu sepolta nel cimitero monumentale della Misericordia all’Antella e la lapide, dettata dalle figlie Giulia e Adele, la ricorda come «donna colta e gentile / madre affettuosa e provvida».
Fonti e Bibl.: Presso l’Archivio di Stato di Firenze, Carte Tabarrini, si conserva un nucleo femminile di corrispondenza e documenti della famiglia di Fanny appartenuto ad Adele Targioni Tozzetti (http://www.archiviodistato.firenze. it/memoriadonne/cartedidonne/cdd_01_biagioli. pdf, pp. 57-61, 13 gennaio 2017). Notizie sulla localizzazione dell’importante archivio della famiglia Targioni Tozzetti, ceduto a varie istituzioni fiorentine tra il 1851 e il 1904, in I Targioni Tozzetti fra ’700 e ’900 (catal.), a cura di F. Barbagli - D. Vergari, Firenze 2006, pp. 87-94 e Le carte di Giovanni Targioni Tozzetti conservate nella Nazionale Centrale di Firenze, inventario a cura di S. Semerano Fontana - M. Schiavoni Morena, Firenze 1989.
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