PARIBENI, Roberto
– Nacque a Roma il 19 maggio 1876 da Aurelio e Romilde Merini.
Compiuti gli studi presso l’Istituto Massimo e il Collegio degli Orfani, assieme al fratello minore Giulio Cesare (futuro musicista), si iscrisse all’università La Sapienza di Roma, ove seguì gli insegnamenti di Emanuel Loewy e di Giulio Beloch, con il quale si laureò in storia antica nel giugno 1898.
Nel 1901 partecipò alla campagna di scavi a Creta, che fu diretta da Federico Halbherr, avviando quella lunga e intensa azione nelle missioni archeologiche in Levante che caratterizzò gran parte della sua vita professionale. Diplomatosi alla Scuola di archeologia nel gennaio del 1902, fu richiesto da Ettore Pais, allora direttore del Museo nazionale di Napoli, ma il servizio presso questa sede, in qualità di viceispettore, ebbe breve durata. In seguito alle pressioni di Luigi Pigorini e alle richieste di Halbherr, nel gennaio del 1903 fu inviato per alcuni mesi in missione a Creta e, contestualmente, trasferito presso i Musei Preistorico Etnografico e Kircheriano di Roma (oggi intitolato a Pigorini), ove restò in servizio fino al 1907 con il grado di ispettore, dedicandosi in particolare a studi sui corredi funerari di Capena (Necropoli del territorio capenate, in Monumenti Antichi, 1906-07). A queste attività alternò missioni archeologiche a Creta, in Egitto nel 1905 (con Ernesto Schiaparelli) e in Eritrea nel 1906 (Ricerche sul luogo dell’Antica Adulis, in Monumenti Antichi, 1907).
Dopo un periodo di reggenza, dal 1908 al dicembre 1909, del Museo nazionale romano, vinto il concorso, venne inquadrato nel ruolo di direttore rimanendovi alla guida fino al 1928. Furono questi anni nei quali, grazie ad ampliamenti degli spazi e delle collezioni, il Museo conobbe un grandissimo sviluppo; oltre a curare la pubblicazione di gran parte dei materiali di nuova acquisizione, Paribeni ebbe un ruolo determinante nelle scelte espositive e nella sistemazione delle collezioni antiche e recenti.
I pressanti impegni della direzione del Museo – cui si aggiunsero, a partire dal 1919, la direzione della Soprintendenza agli Scavi e ai Musei delle province di Roma e de l’Aquila e, dal luglio del 1922 anche la direzione dell’Ufficio scavi di Ostia Antica – segnarono il rallentamento ma non la chiusura delle attività archeologiche in Levante: l’esperienza maturata, le capacità sul piano archeologico e organizzativo e, non ultimo, il fervente nazionalismo, che lo induceva a considerare la ricerca scientifica italiana nel Mediterraneo come uno strumento per l’affermazione degli interessi politici ed economici della nazione nei confronti delle altre potenze occidentali, ne facevano una pedina ideale nelle strategie messe a punto tanto dai governi liberali quanto dal governo fascista.
Già nel gennaio 1913 Halbherr, di concerto con il ministero degli Affari esteri, lo scelse per organizzare una missione di ricerca in Anatolia, con base ad Adalia e area di espansione nell’entroterra, che ebbe carattere di ricognizione territoriale in previsione di eventuali richieste di concessioni di scavo. Nelle relazioni inviate al ministero nel 1913 e poi nel 1914, Paribeni oltre a illustrare il quadro delle acquisizioni archeologiche (Studi e ricerche archeologiche nell’Anatolia meridionale, in Monumenti Antichi, 1913-14), forniva preziose informazioni di natura economica.
Allo scoppio della guerra chiese di essere arruolato, sia rivolgendosi a Corrado Ricci (allora direttore dell’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte), sia cercando appoggi in ambienti militari.
Nel giugno del 1917 lasciò la moglie Francesca Cicconetti, sposata il 6 ottobre 1910 e i due figli Enrico e Marcello, nati rispettivamente il 4 settembre 1911 e il 6 giugno 1914, per essere inviato in Palestina con il grado di tenente. Tornato in Italia alla fine delle ostilità, si vide affidare il compito di coordinare le missioni archeologiche in Levante.
Gestendo dal 1919 fino al 1943 i fondi erogati in maniera discontinua e limitata dai ministeri dell’Educazione nazionale e degli Affari esteri, egli si adoperò per la prosecuzione delle attività in territori già oggetto di indagine (Creta, Egitto, Anatolia). Programmò, parimenti, l’apertura di nuovi fronti di ricerca in regioni non ancora esplorate da missioni italiane, ma che rivestivano un particolare interesse per le politiche di affermazione dell’Italia come potenza imperiale nell’ambito del Mediterraneo, soprattutto dopo l’avvento del fascismo, di cui Paribeni fu convinto sostenitore. Oltre alle isole del Dodecaneso, in particolare Rodi, e la Tripolitania, si segnalano le indagini avviate a Malta, cui Paribeni dedicò studi particolareggiati (Malta. Un piccolo paese, una grande storia, 1925) e in Albania, dove a partire dal 1924 fu inviato Luigi Maria Ugolini.
Nel 1928 Paribeni raggiunse il culmine della sua carriera nei ruoli apicali della pubblica amministrazione con la nomina a direttore generale per le Antichità e Belle Arti al posto del dimissionario Arduino Colasanti. L’arrivo di un archeologo alla Direzione generale non mancò di suscitare qualche apprensione soprattutto nei sindacati degli artisti e dei musicisti timorosi di veder scarsamente considerate le loro necessità; e proprio una certa idiosincrasia verso le forme dell’arte contemporanea fu la ragione del repentino allontanamento dalla carica nel giugno 1933.
Nei cinque anni in cui fu direttore, Paribeni rilanciò in particolare l’opera di censimento del patrimonio artistico nazionale, assicurò allo Stato opere d’arte del calibro della Tempesta di Giorgione e diede il via alla terze serie del Bollettino d’Arte, ampliandone i contenuti e la rete dei collaboratori.
Il ministro dell’Educazione nazionale Francesco Ercole, nel decretare nel maggio del 1933 la messa in fuori ruolo di Roberto Paribeni, lo distaccava presso l’Istituto storico italiano; per l’ex direttore generale, che all’epoca, oltre a contare numerose onorificenze, ottenute in Italia e all’estero, era anche socio dell’Accademia d’Italia dal 1929 e, dal 1930, direttore della sezione di Archeologia nell’Enciclopedia Italiana, il trasferimento equivalse a un pesante declassamento.
Paribeni si orientò pertanto verso la carriera universitaria, ottenendo la libera docenza alla fine dell’anno e quindi, per chiara fama, la cattedra di archeologia presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nello stesso anno, alla morte di Ricci, gli subentrava nella direzione dell’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte, carica tenuta fino al 1944.
Oltre alla notevole carriera dirigenziale nella pubblica amministrazione, Paribeni vantava, al momento di entrare nel mondo accademico, un’ampia produzione dedicata a temi archeologici, topografici ed epigrafici che si era andata arricchendo grazie a contributi nell’ambito della storia antica, una branca di studi privilegiata poi negli anni a seguire; già nel 1926 era stato dato alle stampe il suo lavoro storico più significativo, quell’Optimus Princeps dedicato all’imperatore Traiano che, nonostante alcune rigidità nell’impianto ideologico, è ancor oggi apprezzato per l’ampiezza della trattazione e per l’uso pervasivo e intelligente delle fonti archeologiche. Durante i più quieti anni di insegnamento milanese si susseguirono molti contributi di argomento storico, fra i quali i tre volumi della Storia di Roma edita dalla Cappelli, sempre ben informati, anche se gravati dall’aprioristico obiettivo di esaltare gli ideali di romanità e di celebrare il culto dell’uomo forte e delle forme di potere assoluto. Paribeni fu coinvolto anche in svariate operazioni di mediazione e divulgazione culturale negli ambiti della storia antica, dell’archeologia e della storia dell’arte; particolarmente importante fu il suo ruolo nella realizzazione di progetti editoriali come L’Arte per tutti promossa dall’Istituto Luce, e di manuali di storia e storia dell’arte per le scuole elementari e superiori.
Con la caduta del regime, il ruolo egemone di Paribeni nella cultura antichistica italiana venne a cessare bruscamente: nel settembre del 1945 fu sospeso dall’insegnamento per l’appartenenza al Partito fascista e per la nomina senza concorso a professore ordinario. La commissione per l’epurazione chiamata a deliberare sulla richiesta di riammissione, tralasciò l’accusa politica per concentrarsi sulla congruenza dei titoli scientifici maturati al momento della nomina, ritenendola non sufficientemente adeguata; solo grazie all’impegno dell’ateneo milanese, Paribeni fu reintegrato nell’aprile del 1946 e proseguì fino al pensionamento nel 1951. Dopo la guerra mantenne la presidenza della prima sezione del Consiglio superiore di Antichità e Belle Arti, mentre definitiva fu la sua radiazione dalla ricostituita Accademia dei Lincei.
Si spense a Roma il 13 luglio 1956.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio familiare Paribeni; Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Dir. Gen. Antichità e Belle Arti, Divisione I, Personale cessato al 1956, b. 122; Dir. Gen. Istruzione Universitaria. Fascicoli dei professori ordinari, III vers. (1940-1970), b. 357.
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