riparazione e riconciliazione
In psicoanalisi, insieme di concetti adoperato per render conto di quei processi che il soggetto, nel cammino della cura o nel percorso della vita, riesce o meno ad attivare al fine di porre rimedio a un danno – reale, ma più spesso solo fantasticato – che ha arrecato a un oggetto (➔ oggetto/soggetto) o a un conflitto con esso. Il concetto di riconciliazione (o restauro) appartiene al vocabolario teorico freudiano, mentre quello di riparazione è stato introdotto nel lessico teorico della psicoanalisi da Melanie Klein con una accezione diversificata nel suo lavoro Il lutto e la sua connessione con gli stati maniaco-depressivi (1940).
Il concetto di riconciliazione (Versöhnung) appare per la prima volta nell’opera di Sigmund Freud in Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber), del 1911. In un passaggio Freud descrive il momento di viraggio o di mutamento della malattia di Schreber, quello in cui cedono i deliri persecutori per dar luogo a un processo che condurrà a «qualcosa che si avvicina a una guarigione», come il «tempo della riconciliazione». La riconciliazione implica una sorta di pacificazione, l’accettazione, da parte di Schreber, della sua trasformazione al femminile e il patteggiamento con le fantasie omosessuali. Negli anni della metapsicologia la riconciliazione riveste principalmente il carattere di un meccanismo di trattamento del materiale rimosso che si esprime nei sintomi, mentre la malattia è considerata come una parte inscindibile della personalità del soggetto, dalla quale egli potrebbe anche derivare futuri vantaggi. Nel denso scritto Nevrosi e psicosi (1923), Freud affronta l’intreccio di rapporti creato dalla postulazione dell’esistenza del Super-Io, che riceve influenze dall’Es e dal mondo esterno, ma costituisce simultaneamente un modello ideale verso il quale puntano gli sforzi dell’Io. Questi sforzi riguardano la possibilità di riconciliazione tra i vari rapporti che l’Io intrattiene. In diversi scritti freudiani troviamo la dizione: «tentativo di restauro o di riconciliazione» (Herstellung oder Versöhnung).
Klein, come del resto l’insieme degli autori postfreudiani, abbandona il concetto di riconciliazione per adoperare quello di riparazione, ricavato dalla sinonimia freudiana tra riconciliazione e restauro. Infatti Klein si servirà inizialmente del termine Wiederherstellung per designare la riparazione. Negli scritti maturi il termine sarà sostituito da Wiedergutmachung («rifare bene»). In quest’ultimo termine l’inclusione di gut («buono») rende meglio il senso del concetto pensato da Klein e spiega perché nei suoi lavori maturi ella lo scegliesse per parlare della riparazione. Al di là della questione lessicale, assistiamo dunque a una modificazione del significato. Cioè,Wiedergutmachung evoca l’esistenza di un torto inferto e quindi la riparazione successiva di cosa non giusta o sbagliata: ossia il risarcimento. Secondo il pensiero kleiniano, il sadismo alimenta le fantasie distruttive, alle quali conseguono il senso di colpa e di pena per il danno immaginario che l’aggressione ha recato all’oggetto d’amore, e infine l’impulso a ripararlo. L’analista austriaca individua, nel corso dello sviluppo infantile, una posizione schizoparanoide iniziale (➔ posizioni evolutive), nella quale predominano angosce molto primitive, minacciose e persecutorie, angosce che suscitano l’impiego, da parte del bambino molto piccolo, di difese altrettanto primitive, quali la scissione o l’identificazione proiettiva. In questa posizione il peso dell’aggressività distruttiva è predominante. Il passo successivo dello sviluppo confronta il piccolo con il danno che sente di avere inflitto agli oggetti d’amore e ciò lo induce a provare compassione per essi. Egli accede alla ‘posizione depressiva’, nella quale cercherà di riparare, di restaurare gli oggetti danneggiati nella fantasia o nella realtà. Nel lavoro già citato del 1940 l’autrice distingue le diverse modalità che la riparazione può assumere: la riparazione maniacale, la riparazione ossessiva e la riparazione ‘autentica’ (qui così denominata per semplicità di esposizione), cioè quella basata autenticamente su affetti positivi verso l’oggetto.
Nella riparazione maniacale, chiaramente patologica, l’operazione di riparazione è non solo impossibile, ma anche – per paradosso – ulteriormente dannosa, poiché se l’aggressività originaria espressa nelle fantasie distruttive del lattante è costituzionalmente molto intensa e suscita meccanismi di difesa onnipotenti per dare un senso di sicurezza a un Io instabile, l’oggetto d’amore può essere vissuto come irreparabilmente danneggiato. Di fronte all’entità soverchiante dell’angoscia, il piccolo può ricorrere allora nella fantasia al disprezzo dell’oggetto. Se da un lato quest’operazione può diminuire il senso precedente d’instabilità, dall’altro danneggia ulteriormente l’oggetto, dando il via a un’ulteriore difesa maniacale. Nella riparazione ossessiva, si tratta di annullare nella fantasia il danno inflitto all’oggetto attraverso la ripetizione coatta di azioni e rituali. Anche questa modalità si rivela ben presto fallimentare, sebbene meno patologica di quella precedente. Finalmente, la riparazione ‘autentica’ dovrebbe essere alimentata da una vera compassione per l’oggetto danneggiato dagli attacchi distruttivi a cui il bambino l’ha sottoposto nella sua fantasia, e da un altrettanto vero desiderio di restaurarlo. La riparazione è, nel pensiero psicoanalitico di Klein e di molti analisti postfreudiani, un elemento centrale dello sviluppo e della maturazione dell’apparato psichico e della persona, ma anche il motore di tutti i processi creativi di cui il soggetto è capace.