Rinnovazione dell'istruttoria in appello
Nel recepire la giurisprudenza europea in materia di immediatezza nei gradi d’impugnazione di merito (C. eur. dir. uomo, 5.7.2011, Dan c. Moldavia), la Cassazione ha interpretato in modo convenzionalmente conforme le disposizioni processuali italiane che disciplinano la rinnovazione del dibattimento in appello, spingendo poi il legislatore a modificare l’art. 603 c.p.p. Ciò nonostante, tra le decisioni di legittimità continuano a manifestarsi contrasti ancora poco tematizzati e accomunati dal tentativo di individuare alcune deroghe ai princìpi enunciati dalle Sezioni Unite. Il contributo offre una panoramica critica dello stato del dibattito contemporaneo.
A partire dal 2011, la disciplina della rinnovazione del dibattimento in appello ha subìto un mutamento di paradigma: l’idea, di matrice convenzionale, secondo cui, anche nei gradi d’impugnazione di merito, «coloro che hanno la responsabilità di decidere sulla colpevolezza o l’innocenza degli accusati devono in linea di principio essere in grado di sentire i testimoni e di valutare la loro attendibilità in prima persona [, poiché] la valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito complesso che di solito non può essere soddisfatto da una semplice lettura delle [loro] dichiarazioni»1 – tramite l’interpretazione convenzionalmente conforme imposta dall’art. 117, co. 1, Cost.2 – ha stravolto la fisionomia di un istituto tradizionalmente ritenuto eccezionale.
Le Sezioni Unite, rileggendo l’art. 603 c.p.p. alla luce di tali princìpi, hanno infatti ritenuto che, per poter trasformare un proscioglimento in primo grado in una condanna in appello, è assolutamente necessario risentire i testimoni posti alla base della sentenza di primo grado (sentenza “Dasgupta”)3, anche se il primo giudizio si è concluso con rito abbreviato e senza acquisizioni probatorie (sentenza “Patalano”)4. Viceversa, per trasformare una condanna in un proscioglimento, la rinnovazione è certo possibile, ma in linea di principio resta sottoposta alla discrezionalità attribuita al giudice dall’art. 603, co. 1 e 3, c.p.p. (sentenza “Troise”)5. Il legislatore, recependo queste conclusioni interpretative in sede di riforma, ha poi introdotto nell’art. 603 c.p.p. un nuovo comma 3-bis, che impone la rinnovazione del dibattimento in ogni caso di «appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa» (l. 23.6.2017, n. 103)6. Malgrado la meritoria opera delle Sezioni Unite, e l’innesto del comma 3-bis nell’art. 603 c.p.p., la disciplina della rinnovazione resta tuttavia soggetta a numerose incertezze. Il presente contributo tenterà pertanto di chiarirle, esplicitando i contrasti irrisolti che si sono andati formando dal 2016 ad oggi.
I paragrafi 3 e 3.1 saranno dedicati all’esame di quelle sentenze che, pur concordando con la regola della rinnovazione espressa dalla sentenza “Dasgupta” (e dal legislatore), ne individuano ipotesi derogatorie implicite. All’interno di questo primo gruppo verrà dato speciale rilievo ad un contrasto irrisolto e relativo alla possibilità di escludere l’obbligo di rinnovazione in caso di riqualificazione giuridica in peius in appello.
Il paragrafo 3.2 sarà invece dedicato all’esame di quelle sentenze che, a causa di alcune ambiguità di fondo coltivate dalla sentenza “Dasgupta”, si sono occupate di quesiti “minori”, di carattere procedurale: in tema di condizioni di specificità della richiesta di rinnovazione, di obbligo di motivazione in caso di rigetto, e di rilevabilità d’ufficio in Cassazione del difetto di rinnovazione.
I paragrafi 3.3 e 3.4 saranno dedicati all’esame di quelle sentenze che, discutendo sulla necessità o meno di riaprire il dibattimento anche nel caso di ribaltamento della condanna in proscioglimento, hanno poi condotto all’ultimo e più recente intervento delle Sezioni Unite (sentenza “Troise”). Nell’esame di questo terzo gruppo, verrà dato particolare risalto ad un aspetto interno del contrasto, relativo alla sussistenza o meno, anche nel caso di riforma della condanna in appello, di un obbligo di “motivazione rafforzata”.
Il paragrafo 3.5 sarà infine dedicato all’esame di quelle decisioni di merito che, non concordando con le conclusioni raggiunte dalla sentenza “Patalano”, hanno sollevato una questione di costituzionalità sull’applicabilità del nuovo art. 603, co. 3-bis, c.p.p. anche nell’appello che segue a rito abbreviato cd. “non condizionato”.
Stretta tra evidenti ragioni di economia processuale, obblighi convenzionali, e tradizioni normative interne, la Cassazione ha interiorizzato la regola della rinnovazione enunciata dalla sentenza “Dasgupta”, individuandone presto diverse eccezioni. Gli escamotage teorici che dovrebbero consentire al giudice d’appello di svincolarsi dal dovere di riaprire il dibattimento risultano tuttavia condivisibili solo in certi casi; in altri, trattati con minor rigore, rischiano di porsi in contrasto proprio con le indicazioni europee. Secondo la Cassazione, infatti, Sezioni Unite e legislatore avrebbero imposto al giudice d’appello di riaprire l’istruttoria solo quando le critiche alla sentenza di primo grado lo costringono a rivalutare l’attendibilità dei testimoni posti alla base della decisione. Pertanto, il dibattimento non andrebbe rinnovato quando:
a) la diversa ricostruzione dei fatti dipende dalla rivalutazione di prove documentali7;
b) il giudice di primo grado è incorso in un «mero ‘travisamento’ della prova dichiarativa, dunque nell’ipotesi in cui la difformità cada sul significante (il documento) e non sul significato (il documentato) ‘per omissione, invenzione, o falsificazione’ …, [ovvero] nell’estrazione dell’informazione dal contributo narrativo – traendovi un fatto inesistente o palesemente diverso da quello riferito dal teste (ad esempio, l’affermazione di nero per bianco)»8;
c) l’assoluzione in primo grado dipende «da un errore, da una dimenticanza o da un vero e proprio salto logico del primo giudice, emendabile in appello senza necessità di una nuova audizione del teste»9. Come precisato dalla sentenza “Dasgupta” in un obiter dictum, l’obbligo di rinnovazione dovrebbe però essere escluso anche quando il giudice d’appello non ha rivalutato l’attendibilità (intrinseca) della prova dichiarativa, ma la sua concordanza con altri elementi di prova che riguardano il medesimo thema probandum (cd. “attendibilità estrinseca”)10. Ossia, quando: d) la condanna in appello si basa «in misura determinante su elementi esterni a tali dichiarazioni e non considerati nella decisione di primo grado»11. Quest’ultimo indirizzo muove però da premesse solo apparentemente in linea con le indicazioni convenzionali, e rischia di tradirle – di fatto – nelle conclusioni: se il giudice d’appello, nel riconsiderare concordanze e discordanze tra fonti dichiarative e altri elementi di prova, attribuisce o nega credito a prove orali diversamente valutate in primo grado, ne rivaluta indirettamente l’attendibilità (per quanto estrinseca); a rigore, quindi, dovrebbe provvedere prima ad una nuova acquisizione12. In questo senso, sembrano maggiormente rigorose quelle decisioni che consentono al giudice d’appello di opporre, alla considerazione analitica degli elementi di prova operata dal giudice di primo grado, una diversa valutazione “globale” più logica e coerente. Secondo questo indirizzo, infatti: e) la rinnovazione può essere esclusa solo se «la valutazione di attendibilità [dei testimoni] rimanga inalterata, mutando … la valutazione del complessivo compendio probatorio»13. In base a premesse teoriche più sottili, ma ugualmente apprezzabili, la Cassazione ha poi ritenuto che l’obbligo di rinnovazione andrebbe escluso anche nei casi in cui: f) il giudice d’appello, senza manomettere la valutazione di attendibilità assegnata dal primo giudice alle prove dichiarative, ne tragga diverse conseguenze probatorie. Ad esempio, modificando la massima d’esperienza in base alla quale, dalle deposizioni di una fonte, erano state ricavate circostanze favorevoli all’imputato, e traendone invece circostanze sfavorevoli14. Altri due gruppi di sentenze, formatisi per lo più dopo l’introduzione del comma 3bis nell’art. 603 c.p.p., si sono occupati invece di chiarire quali species di “prove dichiarative” non rientrano per implicito nel nuovo caso di rinnovazione obbligatoria. Una prima ipotesi, prevista anche dalla sentenza “Dasgupta”, concerne la possibilità di rivalutare senza rinnovazione le dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari e acquisite in dibattimento a causa di una “provata condotta illecita” (art. 500, co. 4 e 5, c.p.p.): g) il giudice d’appello è tenuto ad accertare la sussistenza delle cause che precludono la ripetizione dell’esame in appello, ma, se il teste resta subornato, «la sua audizione non garantisc[e] l’ingresso nel processo di contenuti probatori credibili e non support[a] un percorso valutativo affidabile del compendio probatorio disponibile»15. Poiché, in primo grado, la valutazione della prova dichiarativa è avvenuta ex actis e in deroga al principio del contraddittorio, la sua rivalutazione in appello dovrebbe essere parimenti consentita ex actis. Una seconda ipotesi, di cui la sentenza “Dasgupta” invece non si è occupata, concerne la possibilità di rivalutare senza rinnovazione i contributi dichiarativi di periti e consulenti tecnici: h) consulenze e perizie sono per lo più veicolate in dibattimento dalle deposizioni dell’esperto, ma «la relazione forma parte integrante della deposizione …, [e da essa] il giudice può discostarsi argomentando congruamente la diversa opinione»16; pertanto – ad esclusione del caso in cui il parere tecnico non abbia riguardato temi di prova emersi per la prima volta in appello17 – la rivalutazione senza rinnovazione è consentita, se assistita da adeguata motivazione.
Tra le ipotesi derogatorie all’obbligo di rinnovazione, la Cassazione è ancora incerta se includere o meno il caso in cui il giudice d’appello si limiti a riqualificare in peius il titolo di reato oggetto dell’imputazione18. Le decisioni che permettono al giudice di ridefinire giuridicamente l’accusa senza riaprire il dibattimento sono in netta maggioranza, ma il dibattito sembra impostato in termini non perspicui. In molti casi, infatti, l’unico argomento controverso riguarda la possibilità o meno di considerare la più grave qualificazione giuridica come ipotesi di reformatio in peius: le decisioni che ammettono la riqualificazione senza rinnovazione non ritengono che un peggioramento nella definizione giuridica del fatto sia tra gli effetti pregiudizievoli tutelati dall’interpretazione dell’art. 6 CEDU fornita dalla giurisprudenza europea in tema di immediatezza19; le decisioni che negano la riqualificazione senza rinnovazione, invece, ricomprendono la diversa e più grave qualificazione giuridica nella nozione di reformatio in peius da cui dipenderebbe la riapertura del dibattimento20. L’imprecisione teorica consiste nel fatto che, elevando una prospettiva decisoria (reformatio in peius) a condizione della rinnovazione, si ragiona scorrettamente ed ex post; a rigore, si può decidere di ribaltare il proscioglimento, o sussumere i nuovi fatti accertati in una fattispecie incriminatrice più grave, solo dopo aver riaperto il dibattimento. È un’indicazione inutile, che contribuisce soltanto ad anticipare il convincimento del giudice d’appello, quella secondo cui la rinnovazione sarebbe in ogni caso necessaria nella prospettiva di una riforma in senso sfavorevole. Da questo punto di vista, sembrano maggiormente condivisibili quelle sentenze che, collocandosi ex ante rispetto alla fase decisoria, si interrogano sulle operazioni mentali possibili senza rinnovazione: mentre la rivalutazione dell’attendibilità delle fonti dichiarative resterebbe vietata, una diversa interpretazione del fatto, «quale attività di ricostruzione ed individuazione dei confini astratti della norma applicabile nel rapporto di interazione tra fattispecie astratta e fatto concreto»21, dovrebbe essere consentita. Purché le valutazioni relative all’attendibilità dei testimoni non cambino segno, insomma, il giudice d’appello dovrebbe essere in grado di trarre dalle circostanze di fatto che ritiene provate qualsiasi conseguenza giuridica, anche senza rinnovazione22.
Le Sezioni Unite “Dasgupta” avevano attribuito all’atto d’impugnazione del pubblico ministero (o della parte civile) il compito di offrire al giudice d’appello «una chiara prospettiva circa la doverosità della rinnovazione della istruzione»23. La Cassazione ha perciò ribadito che l’onere di indicare la prova di cui si chiede una diversa valutazione ricade su qualunque parte chieda la riforma della sentenza24. Se la prova da riacquisire consiste nell’audizione dell’imputato, è però necessario dimostrare altresì le «specifiche esigenze»25 che ne giustificano un nuovo ascolto. La sentenza “Dasgupta” aveva anche chiarito che la rivalutazione dei testimoni in appello, senza rinnovazione, produce, in caso di riforma integrale, un vizio di motivazione nella decisione d’appello. Perciò, se la parte intende dolersene in Cassazione, è tenuta a precisare che il giudice di secondo grado ha diversamente valutato ex actis le prove dichiarative poste alla base della decisione26. Malgrado queste indicazioni, sono ancora numerosi i casi in cui la Corte di cassazione, in caso di condanna in appello, rileva il difetto di rinnovazione in base ad un generico vizio di motivazione, o anche d’ufficio27. A prescindere dalle precisazioni delle Sezioni Unite, resta poi incerto se il giudice d’appello sia tenuto a motivare espressamente il rigetto della richiesta di rinnovazione28, o possa motivare anche solo in sentenza e per implicito29. La scelta, secondo la Cassazione, dipenderebbe dalla validità di una premessa teorica (indimostrata): poiché la riapertura del dibattimento rappresenta un’evenienza eccezionale, sottoposta al potere discrezionale del giudice, solo l’accoglimento della richiesta, deviando dall’iter processuale ordinario, deve essere motivato espressamente.
La sentenza “Dasgupta” aveva chiarito che la riforma della condanna in assoluzione non presuppone la riapertura del dibattimento, ma solo una “motivazione rafforzata”30. Condanna e proscioglimento prevedrebbero infatti standard decisori differenti: «la certezza della colpevolezza per la condanna, il dubbio processualmente plausibile per l’assoluzione»; se, per superare la soglia del ragionevole dubbio, l’acquisizione della prova in contraddittorio è assolutamente necessaria, per giustificare l’insorgenza di un dubbio processualmente plausibile basta una motivazione argomentata «con ragioni verificabili sulla base del materiale probatorio [già] acquisito al processo»31. Una corrente minoritaria aveva tuttavia sostenuto che l’introduzione di un dubbio “ragionevole”, in grado di condurre il giudice d’appello a prosciogliere l’imputato, se dipende da una diversa valutazione dell’attendibilità delle prove dichiarative poste alla base della sentenza, presuppone comunque la riapertura del dibattimento: poiché «il ‘metodo di assunzione della prova epistemologicamente più affidabile’ [è] quello dell’oralità … non si vede perché … non debba essere adottato sempre … a fini di giustizia e di certezza della decisione e a presidio delle esigenze di ‘legalità’ a prescindere dagli esiti decisori. … Il ragionevole dubbio non è … uno stato psicologico del giudice, ma il risultato di una valutazione … che si fonda sul ragionamento critico … e impone l’adozione del metodo dell’oralità/immediatezza»32. Nel dibattito non ha pesato l’introduzione dell’art. 603, co. 3-bis, c.p.p., che si riferisce espressamente alle ipotesi di «appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento». Le Sezioni Unite, intervenute a dirimere il contrasto, hanno infatti ribadito l’opinione maggioritaria ed escluso l’obbligo di rinnovazione in caso di ribaltamento della condanna: la riapertura del dibattimento resta senz’altro possibile, alle condizioni previste dall’art. 603 c.p.p., ma non è assolutamente necessaria; per raggiungere la soglia del proscioglimento è infatti sufficiente insinuare nella decisione di primo grado un dubbio ragionevole «circa l’esistenza di elementi negativi a discarico o impeditivi ai fini dell’accertamento della … responsabilità»33 dell’imputato.
Tra le sentenze che escludono l’obbligo di rinnovazione in caso di riforma della condanna è sorto un ulteriore contrasto, relativo alla sussistenza o meno anche di un obbligo di “motivazione rafforzata”. Tradizionalmente, con “motivazione rafforzata” si intende quella dottrina – coniata proprio con riferimento a casi di ribaltamento della condanna – in base alla quale la riforma della decisione di primo grado presuppone la «dimostrazione della incompletezza o della non correttezza ovvero dell’incoerenza delle argomentazioni [adoperate dal primo giudice], con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi in toto a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati»34. Secondo una corrente maggioritaria, tale obbligo sussiste in ogni caso di riforma totale: sia in caso di ribaltamento del proscioglimento, sia in caso di ribaltamento della condanna, «ad una plausibile ricostruzione del primo giudice, non può … sostituirsi, sic et simpliciter, la altrettanto plausibile – ma diversa – ricostruzione operata in sede di impugnazione (ove così fosse, infatti, il giudizio di appello sarebbe null’altro che un mero doppione del giudizio di primo grado, per di più ‘a schema libero’) giacché, per ribaltare gli esiti del giudizio di primo grado, deve comunque essere posta in luce la censurabilità del primo giudizio; e ciò, sulla base di uno sviluppo argomentativo che ne metta in luce le carenze o le aporie»35. Secondo una corrente minoritaria, invece, in caso di proscioglimento in appello non è necessario né riaprire il dibattimento e né fornire una “motivazione rafforzata”: a sollevare un ragionevole dubbio in grado di condurre al proscioglimento basterebbe infatti una motivazione appena razionale; condanna e proscioglimento presuppongono infatti oneri dimostrativi «di natura sostanzialmente differente, che derivano dalla … asimmetria degli statuti probatori imposti dalla presunzione di innocenza e dal suo corollario del ragionevole dubbio»36. Le Sezioni Unite, aderendo alla tesi più risalente, hanno tuttavia ribadito che, anche in caso di ribaltamento della condanna, il giudice d’appello ha sempre «l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le precedenti argomentazioni, essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova»37.
Le Sezioni Unite “Patalano”, in linea con le Sezioni Unite “Dasgupta”, hanno ritenuto che, per rivalutare le prove dichiarative poste alla base della decisione di primo grado, la riapertura del dibattimento è necessaria anche quando viene impugnata una sentenza di proscioglimento emessa all’esito di giudizio abbreviato “non condizionato”38. La poca giurisprudenza di legittimità intervenuta successivamente sul punto si è solo limitata a ripetere quegli insegnamenti39. Un obiter dictum della sentenza “Troise”, successiva alla modifica dell’art. 603 c.p.p., ha ad esempio ribadito come «l’interpolazione operata dal legislatore … non contempla eccezioni di sorta, ma consente l’applicabilità della regola posta dal nuovo comma 3-bis ad ogni tipo di giudizio, ivi compresi i procedimenti svoltisi in primo grado con il rito abbreviato»: la scelta ex art. 438 c.p.p. veicolerebbe una rinuncia dell’imputato al contraddittorio come metodo di accertamento, non una rinuncia all’accertamento in sé, e non può pertanto pregiudicare la «giustezza della decisione, né può incidere sulla prioritaria funzione cognitiva del processo, il cui eventuale esito di condanna esige, sia nel giudizio ordinario che in quello abbreviato, la prova della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio»40, ottenuta riaprendo il dibattimento. La giurisprudenza di merito, forse più sensibile agli umori degli operatori, ha invece sollevato una questione di legittimità costituzionale41: l’art. 603, co. 3-bis, c.p.p., imponendo la rinnovazione anche nel caso di proscioglimento a seguito di giudizio abbreviato “non condizionato”, contrasterebbe con il paradigma italiano e convenzionale del “giusto processo” (art. 111 Cost. e art. 6 CEDU). Un primo grado scritto, con un appello orale, tradirebbe la scelta deflattiva del codice di procedura penale, privando di senso il rapporto tra sconto di pena e rinuncia al contraddittorio. L’opzione difensiva per un giudizio sulle carte, di per sé già cognitivamente svantaggiosa, verrebbe inoltre sovvertita proprio quando si è rivelata profittevole, ossia in caso di proscioglimento. Da questo punto di vista, il ripristino del contraddittorio incrementerebbe soltanto il rischio di uno svantaggio maggiore, ossia una condanna per la prima volta in appello. In più, neanche la giurisprudenza europea ritiene che la rinuncia ai diritti tutelati dall’art. 6 CEDU, se consapevole e informata, sia in contrasto con lo standard convenzionale del “giusto processo”42.
1 C. eur. dir. uomo, 5.7.2011, Dan c. Moldavia; C. eur. dir. uomo, 26.5.1988, Ekbatani c. Svezia; C. eur. dir. uomo, 15.5.2004, Destrehem c. Francia; C. eur. dir. uomo, 29.6.2017, Lorefice c. Italia. V. Gaeta, P., Condanna in appello e rinnovazione del dibattimento, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014.
2 Sul tema, v. C. cost., 14.1.2015, n. 49, e Aprati, R., Il “protocollo” dell’interpretazione convenzionalmente orientata, in Cass. pen., 2015, 3902 ss.
3 Cass. pen., S.U., 28.4.2016, n. 27620, in Giust. pen., 2017, III, 65 ss., con nota di S. Tesoriero, Luci e ombre della rinnovazione dell’istruttoria in appello per il presunto innocente. V. anche Capone, A., Prova in appello: un difficile bilanciamento, in Proc. pen. giust., 2016, 6, 53 ss.
4 Cass. pen., S.U., 19.1.2017, n. 18620, in Dir. pen. e processo, 2017, 1437 ss., con nota di V. Aiuti, Condanna in appello e rito abbreviato. V. anche Belluta, H.Lupària, L., La parabola ascendente dell’istruttoria in appello nell’esegesi “formante” delle Sezioni Unite, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2017, fasc. 3, 151 ss.
5 Cass. pen., S.U., 21.12.2017, n. 14800, in Dir. pen. cont., 2018, fasc. 5, con nota di V. Aiuti, Appello della condanna e rinnovazione istruttoria.
6 Sulla nuova disposizione, v. Capone, A., Appello del pubblico ministero e rinnovazione istruttoria, in Bargis, M.Belluta, H., La riforma delle impugnazioni. Tra carenze sistematiche e incertezze applicative, Torino, 2018, 51 ss.; Bronzo, P., La nuova ipotesi di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, in Baccari, G.M.Bonzano, C.La Regina, K.Mancuso, E.M., Le recenti riforme in materia penale, Padova, 2017, 409 ss.
7 Cass. pen., 20.9.2016, n. 31949, in CED rv. n. 270632; Cass. pen., 21.9.2017, n. 49067, ivi n. 271503, in un caso di diversa interpretazione dei contenuti di intercettazioni: la Cassazione ha tuttavia ritenuto che le prove orali rivalutate a causa della diversa lettura dei contenuti delle intercettazioni non fossero, perciò, “decisive”.
8 Cass. pen., 30.5.2017, n. 35899, in CED rv. n. 270546; Cass. pen., 13.7.2016, n. 7369, ivi, n. 269321; Cass. pen., 15.2.2018, n. 16501, ivi, n. 272886.
9 Cass. pen., 1.12.2016, n. 54717, in CED rv. n. 268826, in un caso in cui la Cassazione ha convalidato una condanna in appello basata sulla rivalutazione di un riconoscimento, che in primo grado aveva consentito di identificare tutti i coimputati come responsabili del fatto, ma che il Tribunale aveva immotivatamente ritenuto insufficiente a provare la colpevolezza di uno; Cass. pen., 24.1.2017, n. 12783, ivi, n. 269595, in un caso in cui «la stessa possibilità di un’effettiva confutazione delle difformi considerazioni della sentenza di primo grado viene ad essere esclusa, nel momento in cui non sussistono considerazioni di questo genere con le quali il giudice d’appello possa confrontarsi», poiché la motivazione di primo grado consisteva in un mero elenco di fonti di prova.
10 Cass. pen., 21.9.2016, n. 19958, in CED rv. n. 269782.
11 Cass. pen., 28.6.2016, n. 45847, in CED rv. n. 268470; Cass. pen. n. 19958/2016; Cass. pen., 7.12.2017, n. 109, non massimata.
12 Cfr. Bronzo, P., Condanna in appello e rinnovazione della prova dichiarativa, in Arch. pen., 2015, 1, 240 ss.
13 Cass. pen., 28.3.2017, n. 33272, in CED rv. n. 270471; Cass. pen., 13.9.2016, n. 3917, ivi, n. 269592.
14 Cass. pen., 2.2.2017, n. 43452, in CED rv. n. 256822. Cfr., però, contra Cass. pen., 19.12.2017, n. 24306, ivi, n. 270630.
15 Cass. pen., 26.9.2017, n. 55068, in Giur. it., 2018, 1, 206 ss., con nota di V. Aiuti, Rinnovazione del dibattimento e “provata condotta illecita”; Cass. pen., 28.6.2017, n. 54296, in CED rv. n. 272088.
16 Cass. pen., 14.9.2016 n. 1691, in CED rv. n. 269529; Cass. pen., 18.10.2017, n. 57863, ivi, n. 271812.
17 Cass. pen., 6.12.2016, n. 6366, in CED rv. n. 269035.
18 Sul tema, v. Tesoriero, S., Riforma della sentenza e riapertura dell’istruttoria in appello, in Arch. pen., 2017, 2, spec. 11 ss.
19 Cass. pen., 3.4.2017, n. 28957, in CED rv. n. 270108; Cass. pen. n. 54296/2017; Cass. pen., 18.10.2017, n. 57863, in CED rv. n. 271812.
20 Cass. pen., 2.3.2017, n. 53601, in CED rv. n. 271638; Cass. pen., 8.5.2017, n. 24478, ivi, n. 269967; Cass. pen., 18.5.2017, n. 29165, ivi, n. 270280, malgrado il passaggio evidentemente tautologico a p. 16; Cass. pen., 8.6.2017, n. 34878, ivi, n. 271065.
21 Cass. pen., 9.5.2017, n. 42746, in CED rv. n. 271012.
22 Cass. pen., 18.7.2017, n. 49159, in CED rv. n. 271518; Cass. pen. n. 57863/2017; Cass. 27.2.2018, n. 12397, in CED rv. n. 272545.
23 Cass. pen., S.U., n. 27620/2016.
24 Cass. pen., 9.9.2016, n. 40798, in CED rv. n. 267654.
25 Cass. pen., 20.7.2017, n. 37883, in CED rv. n. 271141.
26 L’indicazione pedissequa della giurisprudenza europea, invece, non è necessaria, v. Cass. pen., S.U., n. 27620/2016.
27 Cass. pen. n. 53601/2017; Cass. pen. n. 29165/2017; Cass. pen., 16.11.2017, n. 53594, in CED rv. n. 271694; Cass. pen. n. 109/2017. Sul punto, v. Aiuti, V., Poteri d’ufficio della Cassazione e diritto all’equo processo, in Cass. pen., 2016, 32293233.
28 Cass. pen., 23.2.2017, n. 19929, in CED rv. n. 270313.
29 Cass. pen., 13.9.2016, n. 47963, in CED rv. n. 268657.
30 Cass. pen., S.U., n. 27620/2016.
31 Cass. pen., 14.9.2017, n. 55748, non massimata sul punto; Cass. pen., 7.6.2016, n. 42443, in CED rv. n. 267931; Cass. pen., 15.11.2016, n. 2499, ivi, n. 269073; Cass. pen., 13.1.2017, n. 7680, ivi, n. 269373; Cass. pen., 17.2.2017, n. 46455, ivi, n. 271110; Cass. pen., 24.12.2017, n. 29261, non massimata sul punto; Cass. pen., 6.4.2017, n. 35261, ivi, n. 270721; Cass. pen., 5.5.2017, n. 29253, ivi, n. 270149.
32 Cass. pen., 20.6.2017, n. 41571, in CED rv. n. 270750; Cass. pen., 24.4.2014, n. 32619, ivi, n. 260071; Cass. pen., 18.11.2014, n. 50643, non massimata; Cass. pen., 26.10.2015,
n. 42982, non massimata; Cass. pen., 21.7.2015, n. 36434, non massimata; Cass. pen., 13.2.2015, n. 36208, non massimata; Cass. pen., 11.5.2015, n. 42389, non massimata.
33 Cass. pen., S.U., n. 14800/2017.
34 Cass. pen., 3.2.2003, n. 15756, in CED rv. n. 225564, tra le capostipiti della teoria.
35 Cass. pen. n. 24478/2017 ma v., tra le più recenti, Cass. pen., 7.6.2016, n. 42443, in CED rv. n. 267931; Cass. pen., 12.7.2016, n. 43242, ivi, n. 267626; Cass. pen., 20.12.2016, n. 4222, ivi, n. 268948; Cass. pen., 26.10.2016, n. 6880, ivi, n. 269523; Cass. pen., 9.11.2016, n. 53003, ivi, n. 268542; Cass. pen. n. 41571/2017.
36 Cass. pen., 14.9.2017, n. 55748, non massimata sul punto; Cass. pen., 15.11.2016, n. 2499, in CED rv. n. 269073; Cass. pen. n. 46455/2017; Cass. pen. n. 29261/2017.
37 Cass. pen. n. 14800/2017.
38 Cass. pen., S.U., n. 18620/2017.
39 Cass. pen. n. 24306/2017; Cass. pen. n. 35899/2017; Cass. pen. n. 34878/2017; Cass. pen., 21.9.2017, n. 4186, in CED rv. n. 272459; Cass. pen., 24.10.2017, n. 53336, ivi, n. 271716, benché il caso riguardi un giudizio ordinario nel quale l’imputato aveva consentito all’acquisizione dell’intero fascicolo per il dibattimento, ex art. 493, co. 3, c.p.p.
40 Cass. pen., S.U., n. 14800/2017.
41 I tentativi, come noto, sono stati due, ma, alle doglianze del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Palermo, il collegio ha opposto un rigetto per manifesta infondatezza (v. App. Palermo, 8.2.2018, in www.penalecontemporaneo.it, 19.2.2018, con nota di G. Leo, Nuove risposte della giurisprudenza di merito sulla rinnovazione). L’ordinanza di rimessione giunta alla Corte costituzionale proviene invece dalla Corte d’appello di Trento (v. App. Trento, 20.12.2017, in www.giurisprudenzapenale.it, 16.1.2018).
42 C. eur. dir. uomo, 18.10.2006, Hermi c. Italia.