RIGOLA, Rinaldo
RIGOLA, Rinaldo. – Nacque a Biella il 2 febbraio 1868 da una famiglia di umili origini. Il padre, Francesco, era un operaio tintore, la madre, Giuseppina Berra, una stiratrice.
Terminate le scuole elementari, lasciò gli studi per impiegarsi, a soli tredici anni, come apprendista falegname nella bottega di un conoscente del padre. Maturò in un ambiente di operai-artigiani, nel quale l’abilità nel mestiere non comportava soltanto un salario migliore, ma era motivo di orgoglio e di riconoscibilità sociale. In questo senso, la scelta della famiglia di non indirizzare il ragazzo verso la fabbrica – destino comune fra i suoi coetanei poveri – rispondeva alla speranza di sottrarlo alla povertà e alla precarietà tipica dei salariati.
Se, da un lato, il contatto con il mondo del lavoro avvicinò Rigola alle idee socialiste, la specificità dell’ambiente in cui esercitava il mestiere, dove il lavoro era diviso secondo rigide gerarchie fondate sulle abilità degli operai, inserì, nella sua cultura politica in formazione, degli elementi che sarebbero successivamente sfociati in una particolare attenzione verso il corporativismo.
Si affacciò alla politica attraverso una grande mole di letture, disorganiche, ma testimoni della sua volontà di capire il mondo del lavoro. Le sue, in quei frangenti, erano posizioni genericamente democratiche in cui la sete di giustizia sociale non intaccava la convinzione dell’esistenza di un diritto alla proprietà come fonte di benessere per tutti e non come elemento su cui si fondava lo sfruttamento di classe. Queste premesse ideologiche lo condussero a un sempre più rapido avvicinamento alle istanze del proletariato che sarebbe culminato, nel 1886, con l’adesione al Partito operaio italiano. Proprio l’avvicinamento all’organizzazione può essere indicato come il primo segnale di una tendenza che Rigola avrebbe fatto propria negli anni successivi caratterizzata, soprattutto, da una netta preferenza per la dimensione economica della lotta rispetto a quella più ampiamente politica. Si trattava nel suo caso, infatti, di un operaismo istintivo, in cui la connotazione dottrinale rimaneva sfumata rispetto all’attenzione per la materialità dei bisogni che la condizione operaia produceva.
Proprio da una riflessione intorno a questi bisogni, Rigola si mosse nel periodo fra il 1889 e il 1892. In questa fase, sotto l’influenza di Luigi Galleani, un anarchico biellese seguace delle idee di Michail Bakunin, andò progressivamente distaccandosi dal Partito operaio per radicalizzarsi, avvicinandosi a posizioni anarcocomuniste. Il rifiuto del mondo borghese e, in particolare sul piano istituzionale, del parlamentarismo, la scelta della violenza come strumento principe della lotta fra le classi e la prospettiva della presa del potere attraverso una rivoluzione sono alcuni degli elementi più importanti della sua nuova collocazione.
L’adesione al gruppo anarcocomunista gli impedì, nel 1892, di prendere parte alla costituzione del Partito dei lavoratori a cui però aderì l’anno dopo. Se il suo percorso fino a quel momento si era svolto all’insegna di una crescente radicalizzazione, con l’adesione al nuovo partito si produsse l’effetto opposto, tanto da farne progressivamente un esponente a pieno titolo del riformismo moderato.
Il suo lavoro di intagliatore lo portava a spostarsi spesso dal Biellese, sia verso Torino, sia verso la Francia, venendo così a contatto con nuove realtà operaie. Ancora giovane, subì un incidente sul lavoro che lo avrebbe condotto dapprima a perdere un occhio (1894) e poi alla completa cecità nel 1903. La sua militanza si misurò anche con la dimensione istituzionale: nel 1895 venne eletto consigliere comunale a Biella e dall’anno successivo assunse l’incarico di direttore – che avrebbe mantenuto fino al 1906 – del Corriere biellese, un settimanale legato al socialismo riformista. La sua attività di giornalista fu sempre molto intensa e non senza risvolti negativi. Fu proprio in ragione di un articolo pubblicato sul settimanale di cui era direttore che venne condannato per diffamazione nei confronti di un industriale biellese alla pena di 12 mesi e 5 giorni di carcere. Per sfuggire all’arresto emigrò in Francia, dove restò per tre anni, continuando la militanza tra gli emigrati italiani. Il rientro in Italia avvenne soltanto nel 1900 quando, eletto deputato nelle file del Partito socialista (PSI), poté contare sull’immunità parlamentare.
Fondatore della Camera del lavoro di Biella nel 1901, nel biennio successivo si barcamenò tra posizioni politiche contraddittorie. Come membro della direzione del PSI (dal 1900), infatti, prima si espresse pubblicamente a favore delle posizioni dell’intransigentismo rivoluzionario, poi si batté per la supremazia della linea riformista. Nello scontro con il sindacalismo rivoluzionario, che guadagnava successi tra le file dei lavoratori, si oppose all’idea che lo sciopero generale dovesse diventare lo strumento rivoluzionario per eccellenza. Nella sua strategia di mutamento sociale il riformismo e la razionalizzazione dell’organizzazione statuale erano due capisaldi fondamentali. In particolare, il sindacato non avrebbe dovuto assumere un ruolo eversivo, quanto, piuttosto, di collaborazione con le classi capitaliste, al fine di contribuire al miglioramento delle condizioni delle classi subalterne. In questo quadro egli si batté per la centralità delle federazioni sindacali di mestiere, basate su scopi eminentemente economici, finendo per riservare al sindacato un ruolo quasi soltanto amministrativo e non politico.
Rieletto deputato nel 1904, sempre nel collegio di Biella, venne sconfitto due anni dopo dal candidato liberale Eugenio Bona. Attraverso una sua rubrica sull’Avanti!, Rigola continuò però la sua battaglia contro gli estremismi e per una sempre maggiore autonomia del sindacato dal PSI, spingendosi anche a teorizzare una vera e propria subordinazione del partito rispetto all’organizzazione dei lavoratori.
Direttore del periodico Vita operaia nel 1906, poi della Confederazione del lavoro e segretario generale della Confederazione generale del lavoro (CGdL), si fece promotore della riunione che si svolse a Roma, nel 1908, tra le forze politiche della sinistra estrema e le rappresentanze del mondo del lavoro, con lo scopo di convogliare attorno alla CGdL un nucleo di forze capaci di rendersi autonome dal PSI e dalla sua dimensione più politica, rivendicando, ancora una volta, la preminenza della lotta economica.
Era una strategia di allargamento della base sociale, come fu chiaro di lì a poco, al II Congresso della CGdL (Modena, 1908), in cui Rigola sostenne il bisogno di un’alleanza con tutti i partiti che si fossero schierati a favore dei punti programmatici della confederazione. Sebbene l’autonomia del sindacato dal partito fosse al centro della sua concezione, percorse per alcuni anni una linea ambigua, affermando per esempio al Congresso del PSI (Firenze, 1908) che tra i due non dovesse esserci indipendenza, per poi approdare nel 1910 all’idea di costruire un vero e proprio partito del lavoro. Una prospettiva che a sua volta abbandonò poco dopo, quando Leonida Bissolati se ne fece sostenitore al successivo Congresso del PSI (Milano, 1910): in quell’occasione Rigola, avvertendo la disapprovazione della base del sindacato, si allontanò da quella posizione. Nella sua scelta giocò un ruolo importante anche il fatto che a Bissolati, così come a Ivanoe Bonomi, facesse ormai capo quel gruppo di dirigenti socialisti che si era fatto sostenitore della guerra coloniale in Libia, osteggiata invece da larghi strati del proletariato. Questi due fattori indussero Rigola a staccarsi definitivamente dal riformismo di destra, pur schierandosi contro l’ipotesi di espellere dal PSI i membri di quella corrente (Congresso di Reggio Emilia del 1912).
Il suo riformismo venne progressivamente messo sotto accusa da chi ne sottolineava le contraddizioni e l’incapacità di dare risposte al movimento operaio. Benito Mussolini, per esempio, leader della sinistra socialista, fu uno dei suoi più duri avversari, pur non riuscendo a ottenerne l’estromissione dal sindacato, dove il socialista biellese godeva ancora di un buon seguito, come testimonia il fatto che le sue dimissioni, presentate nel 1913, vennero respinte.
L’ambiguità delle sue posizioni si manifestò ancora sia quando nel 1914 ripropose la sua vecchia idea del partito del lavoro, sia riguardo la prima guerra mondiale, quando il suo neutralismo assoluto finì presto per scivolare su ipotesi relativiste innervate di punte nazionalistiche, secondo le quali il proletariato avrebbe dovuto prendere parte alla guerra in funzione di tutela nazionale.
Fu dopo la guerra, nel 1918, che entrò però in maggiore frizione con la sua parte politica. Egli sostenne infatti l’ingresso dei sindacati nelle commissioni che il governo aveva costituito per affrontare i problemi del dopoguerra. In quell’occasione si trovò solo: sia il PSI sia la CGdL sconfessarono la sua presa di posizione e fu costretto a dimettersi. Anche se da questo momento in poi il suo ruolo nella CGdL fu decisamente ridimensionato, non smise di prendere posizione sui più importanti snodi del dibattito sindacale, sempre dal fronte moderato e riformista. Continuò inoltre l’attività giornalistica, dirigendo il periodico I problemi del lavoro, scrivendo sull’Avanti! e su Battaglie sindacali. Proprio con i suoi articoli prese posizione contro i consigli di fabbrica e contro la frazione di sinistra che si sarebbe scissa dal PSI per costituire il Partito comunista d’Italia (PCd’I); criticò con forza sia il cosiddetto sciopero delle lancette (agitazione operaia dell’aprile 1920 a Torino contro l’ora legale), sia il movimento di occupazione delle fabbriche. Oltre che ai periodici legati al PSI e alla CGdL, iniziò a offrire la propria collaborazione anche a giornali ‘borghesi’, come Il Tempo e Il Resto del carlino, intrecciando rapporti con ambienti legati al governo e ai partiti democratici.
Nei primi anni Venti, Rigola formulò una serie di proposte che andavano, in qualche modo, nella direzione corporativa, auspicando l’istituzione di un Parlamento organizzato in base alla rappresentanza delle professioni. Fondatore con Claudio Treves e Filippo Turati del Partito socialista unitario (PSU), venne eletto alle elezioni per il Comune di Milano nel 1922 e fu tra i sostenitori della rottura del patto di alleanza fra CGdL e PSI, sostenendo poi l’iniziativa di una ‘costituente sindacale’ volta a creare una coalizione di sindacati, apartitica, ispirata ai principi della Carta del Carnaro.
Con l’avvento del fascismo, si schierò nel campo antifascista e nel 1924 fondò il settimanale Il Lavoro con il quale condusse la sua battaglia in difesa del regime democratico e del parlamentarismo. Scrisse anche, a partire dal 1926, sull’Operaio italiano, organo dei fuoriusciti italiani che avevano ricostituito la CGdL a Parigi.
Dopo lo scioglimento della CGdL, fondò l’Associazione nazionale studi problemi del lavoro e l’omonima rivista Problemi del lavoro. Se l’iniziale intento dell’Associazione e della rivista era quello di analizzare il nascente corporativismo e di influire su di esso, entrambe ne diventarono, con il passare del tempo, delle sostenitrici via via sempre più acritiche ed entusiaste, facendo ricadere su Rigola in particolare le critiche del mondo antifascista.
Chiusa questa esperienza si ritirò dalla politica attiva, a partire dal 1940, continuando poi, negli anni dopo la caduta del fascismo, l’impegno come giornalista. Isolato per la sua attività durante il regime, venne in qualche modo riabilitato solo nel 1953 quando ricevette la vista ufficiale di una delegazione composta da rappresentanti delle tre sigle sindacali CGIL, CISL e UIL.
Morì a Milano il 10 gennaio 1954.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, ad nomen.
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