revisione
revisióne s. f. – Il termine indica, in senso generico, un nuovo esame volto a verificare, modificare, correggere una situazione iniziale o gli esiti di un precedente accertamento. Talvolta implica il riferimento all’intervento conseguente all’attività di verifica e controllo inteso a rimuovere errori, imperfezioni, difetti di funzionamento (r. di un impianto, di una autovettura, di un ascensore, ecc.). Nel linguaggio giuridico, il vocabolo esprime in diverso modo il modificare, l’eliminare, il sostituire all’esito di un nuovo accertamento sollecitato da ragioni sopravvenute, lasciando emergere una esigenza dinamica di adeguamento a una nuova realtà o a nuovi interessi (r. di un trattato, r. di un processo, r. di un contratto, ecc.). Nel diritto contrattuale contemporaneo – ambito nel quale il fenomeno, nell’ultimo ventennio, si è imposto all’attenzione di studi giuridici, economici e sociologici – il termine è adoperato per indicare l’esito di una avviata dalle parti durante l’esecuzione di un contratto protratto nel tempo in ragione perlopiù di sopravvenute ragioni economiche. Riferita all’attività del giudice, la r. indica, su questa linea, l’intervento giudiziale sul contratto oggetto di controversia, inteso ad adeguarne con sentenza il contenuto a un mutamento dello stato di fatto, provocato da eventi straordinari e imprevedibili che abbiano reso particolarmente onerosa, per un contraente, l’esecuzione del rapporto. In questo senso il termine è adoperato dal legislatore italiano in materia di appalto per gli aumenti o diminuzioni, per effetto di circostanze imprevedibili, del costo dei materiali o della mano d’opera – tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto – che attribuiscono all’appaltatore o al committente il diritto di chiedere al giudice la r. del prezzo (art. 1664, 1° comma, cod. civ.). Il nucleo più dibattuto della questione, che negli ultimi anni ha coinvolto l’interesse degli operatori del mercato, è se, in assenza di una norma generale sulla r. del contratto, al giudice sia consentito di intervenire sul contratto stipulato tra le parti, sovrapponendo la propria statuizione a quanto le parti hanno convenuto, vincolandosi, nel loro accordo. La dottrina odierna, sulla scia dell’ordinamento tedesco (in cui la riforma del 2002 ha introdotto, con il paragrafo 313 BGB, il principio dell’adeguamento del contratto), dei progetti di unificazione legislativa a livello europeo e degli studi compiuti nell’ambito dei sistemi di common law, prospetta la r. come un rimedio che, in antitesi allo scioglimento del rapporto contemplato in questi casi dalla legge (cfr. art. 1467 cod. civ.), risulti più flessibile e rispondente alle esigenze di stabilità nel tempo delle relazioni economiche e a una più efficiente allocazione delle risorse; in particolare per quei contratti a durata particolarmente lunga, nei quali le scelte operative dei contraenti sono condizionate dalla situazione dei luoghi, della tecnologia e del mercato. Il problema, nel nostro ordinamento, è di politica del diritto, intesa a prospettare, nell’amministrazione della giustizia, una nuova disciplina del rischio, che investe il rapporto tra l’autonomia privata e il giudice; tra l’obbligo delle parti di rispettare il vincolo contrattuale (salva la possibilità per queste, nelle ipotesi previste dalla legge, di invocare in giudizio lo scioglimento del rapporto) e il ruolo dell’autorità giudiziaria che sarebbe chiamata, nel caso, a modificare, sostituire, eliminare clausole contrattuali, così invadendo un ambito di competenza riservato – secondo una salda tradizione giuridica e culturale – alla libera determinazione dei contraenti.