RAMPOLLA DEL TINDARO, Mariano
RAMPOLLA DEL TINDARO, Mariano. – Nacque il 17 agosto 1843 a Polizzi Generosa, nella diocesi di Cefalù, da Ignazio Rampolla, conte del Tindaro discendente dai Roncioni di Ripafratta, nobili pisani stabilitisi in Sicilia nel XIV secolo, e da Orsola Errante baronessa dell’Avanella.
La famiglia della madre contava tra i suoi membri parecchie personalità del mondo delle lettere, tra le quali il fratello, Vincenzo Errante, che fu ministro dell’Istruzione e dei Lavori pubblici nel governo siciliano dopo il 1848 e senatore del Regno d’Italia dopo il 1870.
Manifestata precocemente la vocazione al sacerdozio, nel 1856 partì per l’Urbe contro il parere del padre, in compagnia del cugino Gioacchino e di un amico di famiglia, fratel Gaetano Migliocco, che era stato nominato priore nel convento di Roma del Fatebenefratelli. Sarebbe ritornato in patria solo per brevi vacanze fino al 1859, anno nel quale compì un ultimo viaggio in Sicilia. Trascorse tutto il resto dell’infanzia e dell’adolescenza a Roma, dove ricevette l’educazione degli aspiranti al sacerdozio sotto il pontificato di Pio IX.
Entrato nel collegio Capranica nel novembre del 1861, vi incontrò confratelli chiamati a diventare personaggi di peso della Chiesa e della curia, quali Serafino Vannutelli, Aristide Rinaldini, Bartolomeo Bacilieri e Nicolò Marini, alcuni dei quali furono anche membri dell’Accademia dei Nobili ecclesiastici nella quale lo stesso Rampolla entrò nel novembre del 1866. Seguì i corsi del seminario Vaticano e quelli della facoltà di giurisprudenza della Sapienza e ottenne i dottorati in filosofia (1862), teologia (1866) e in utroque jure (1870). Questo percorso formativo lo portò a ricevere, nella basilica Lateranense, il 17 marzo 1866, il sacerdozio dalle mani del cardinale vicario Costantino Patrizi e a pronunciare, il 18 gennaio 1868, nella basilica Vaticana, alla presenza di Pio IX, un’allocuzione sul primato pontificio De cathedra Romana Beati Petri Apostoli. Pubblicò nel 1870, anno dell’entrata delle truppe piemontesi a Roma, un volumetto intitolato De authentico Romani Pontificis Magisterio solemne testimonium ex monumentis liturgicis Ecclesiae Universae, che attesta il proprio attaccamento alla Sede apostolica. Questa formazione esclusivamente romana ebbe un’influenza determinante sulla fede, sull’ecclesiologia e sulla visione del mondo del prelato siciliano, di cui l’ambasciatore di Francia scrisse nel 1898 che aveva «la concezione più alta del Pontificato romano» (Ticchi, 2004, p. 206).
Impiegato dalla Segreteria di Stato in qualità di minutante, il 19 aprile 1875 venne nominato segretario del nunzio in Spagna Giovanni Simeoni che, nominato segretario di Stato da Pio IX, lasciò la nunziatura ad interim nelle sue mani. Nel 1876 fu nominato prelato domestico da Pio IX, quindi canonico della basilica liberiana. Meno di un anno più tardi il giovane sacerdote – non aveva compiuto 34 anni – fu nominato segretario di Propaganda Fide per gli Affari di rito orientale (16 maggio 1877), funzione esercitata fino al 16 novembre 1880. In questo periodo si adoperò per risolvere, con esito positivo, la spinosa questione dello scisma armeno. La rettilinea carriera curiale del diplomatico si protrasse con la nomina a segretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari (16 novembre 1880), incarico durante il quale partecipò, tra l’altro, ai lavori della commissione cui Leone XIII aveva affidato lo studio dell’eventuale partenza del papa da Roma, dopo i disordini avvenuti durante la traslazione dei resti di Pio IX nel 1881.
Nominato nunzio a Madrid il 25 ottobre 1882 e arcivescovo titolare di Eraclea l’8 dicembre dello stesso anno, Rampolla arrivò nella capitale spagnola nel gennaio del 1883. Durante la permanenza madrilena contribuì al riavvicinamento fra l’episcopato spagnolo e la monarchia, e all’abbandono del carlismo, tentando di limitare le divisioni prevalenti tra i cattolici – un orientamento duraturo della sua politica – nella penisola iberica. Fu assistito in quegli anni dal segretario Giacomo Della Chiesa che, nel conclave del 1914, sarebbe stato eletto papa con il nome di Benedetto XV e che conservò sempre cara la memoria del prelato siciliano. In Spagna, l’inviato pontificio si accinse a far prevalere l’autorità del nunzio «vero rappresentante» del pontefice, sopra quella dei vescovi. Partecipò alla fondazione della diocesi di Madrid, all’insediamento degli agostiniani recolletti all’Escuriale, nonché, secondo la testimonianza di Della Chiesa, alla cura dei colerosi durante l’estate 1885. I negoziati svoltisi a Madrid in occasione della mediazione pontificia sulle isole Caroline, preludio alla firma a Roma di un accordo tra Spagna e Germania sotto gli auspici di papa Pecci (1885) costituirono l’evento più notevole della sua nunziatura, che si concluse con l’elevazione al cardinalato nel concistoro segreto del 14 marzo 1887, con l’attribuzione del titolo presbiteriale di S. Cecilia nel concistoro pubblico del 27 maggio consecutivo e con la nomina a membro delle congregazioni Concistoriale, di Propaganda Fide, degli Affari ecclesiastici straordinari e degli Studi. Il 1° giugno 1887 Leone XIII lo nominò segretario di Stato, funzione che esercitò fino alla morte del pontefice, il 20 luglio 1903.
Il papa gli indirizzò, il 15 giugno, una lettera programmatica che illustrava la volontà di reintegrare la S. Sede nell’ambito delle relazioni internazionali. Rampolla fu l’agente zelante di tale ambiziosa politica che portò al ristabilimento di relazioni diplomatiche con numerosi Stati del mondo con i quali il papa aspirava a collaborare.
Durante la prima parte del pontificato leoniano, iniziata nel 1878 e conclusa con la morte di monsignor Gabriele Boccali (1892), il capo del «gabinetto segreto» dei perugini, che erano i consiglieri più stretti di papa Pecci, Rampolla non occupò, secondo Christoph Weber (1977, p. 122) realmente il posto di comando nell’amministrazione pontificia, diretta con una volontà ferrea dallo stesso pontefice). Le cose cambiarono in seguito, e gli osservatori coevi attribuirono l’irrigidimento intransigente che caratterizzò gli ultimi anni del pontificato riguardo alla questione romana proprio all’influenza del presule siciliano. Su tale punto, monsignor Geremia Bonomelli scriveva il 24 febbraio 1914: «Per me è sempre mistero se Rampolla guidasse Leone o Leone tirasse a rimorchio Rampolla. Alla storia la soluzione dell’enigma» (Marcora, 1956, p. 222).
Il segretario di Stato condivise tuttavia con il pontefice l’idea che il papato esercitasse un’alta magistratura morale, che non poteva rimanere indifferente ai moti dell’opinione pubblica internazionale, specialmente nel periodo in cui prevaleva la questione romana.
La politica anticonciliatorista di Gioacchino Pecci ebbe in Rampolla il massimo assertore. Nel 1911 dichiarò «impensabile che il papa fosse suggetto di un qualunque principe temporale o il cittadino di uno Stato qualsiasi» perché «il Santo-Padre doveva godere una libertà assoluta» (von Cramer-Klett, 1914, p. 11).
L’idea di un’ostilità assoluta verso l’Italia e l’auspicio di un presunto ristabilimento del potere temporale del papa, diffusasi in una parte dell’opinione pubblica coeva – dalla quale la bibliografia su Rampolla non è immune –, non procederebbe dal desiderio chimerico di un ristabilimento del passato, ma dalla volontà di preservare in modo adeguato l’indipendenza funzionale della S. Sede, autorità religiosa internazionale, chiamata a esercitare una missione universale. Del resto, il cardinale non temette di esaminare le basi di un’eventuale conciliazione con il presidente del Consiglio Antonio Di Rudinì nel 1896, al quale sottolineava tuttavia che il papa doveva «guardare non solo all’Italia, ma anche fuori e rassicurare tutti i cattolici sulla sua reale indipendenza» (Luzio, 1939, p. 455).
Durante il suo segretariato di Stato, Rampolla incorse nell’ostilità della maggioranza degli uomini che in Italia si susseguirono al potere, giacché il suo incarico fu concomitante a un irrigidimento delle relazioni tra Papato e Regno d’Italia, segnato dalla sconfessione dei tentativi di conciliazione iniziati da padre Luigi Tosti, il cui opuscolo eponimo venne pubblicato nel 1887. Il ritorno di Rampolla a Roma coincise anche con la partenza di monsignor Luigi Galimberti, che gli era succeduto come segretario degli Affari ecclesiastici straordinari, per la nunziatura di Vienna. Le presunte affinità geopolitiche dei due – con la Francia il primo, con l’Austria e la Germania il secondo – rappresentavano le alternative aperte alla politica leoniana. Secondo Crispolto Crispolti e Guido Aureli, che pubblicano nel 1912 La Politica di Leone XIII da Luigi Galimberti a Mariano Rampolla – opera che potrebbe non essere scevra dell’intento di condizionare l’ormai vicino conclave –, la nomina di Galimberti a Vienna segnò l’inizio di un orientamento sfavorevole alle potenze della Triplice Alleanza alle quali apparteneva l’Italia. Questa lettura perde di vista il fatto che l’atteggiamento diplomatico rampolliano risultava dall’idea che stava alla base di tutta l’azione del cardinale, quella di un pontificato romano che non reggeva solo la Chiesa cattolica, ma che era anche «la più alta potenza morale della terra» (Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, 1900, rubrica 242, fasc. 2, c. 29v, protocollo 48626, Rampolla al nunzio in Monaco di Baviera). Gli sforzi del segretario di Stato per proteggere la libertà del romano pontefice – sovrano ancora spossessato dal proprio territorio – tesero a mettere in evidenza la sua indipendenza e imparzialità di fronte a tutti gli Stati.
Rampolla, che definiva se stesso come un «servitore fedele della Santa Sede» (Sinopoli di Giunta, 1923, p. 97), aveva nel proprio ufficio, stando a quanto scrive il principe di Bülow (Mémoires du chancelier prince de Bülow, IV, 1849-1896, a cura di H. Bloch- P. Roques, Paris 1931, p. 473), due quadri: una riproduzione della Vergine di Bartolomé Esteban Murillo e un altro che raffigurava Otto von Bismarck nell’atto di rendere conto a Guglielmo I. Se è esatta, questa testimonianza illustra due caratteristiche della personalità di un diplomatico pio e imbevuto, inoltre, di «un culto per il vicario di Gesù Cristo» (Sinopoli di Giunta, 1923, p. 103). La politica che condusse si ispirò a questi due principi, a rischio di allacciare alleanze insolite, quali quelle con la Francia – unica Repubblica europea in quel periodo – o con la Russia, Stato scismatico.
Nessun altro cardinale – tranne forse il francese Charles-Martial Lavigerie – assunse più di Rampolla la responsabilità della politica di Ralliement dei cattolici francesi ideata da Leone XIII. Ne dà testimonianza la lettera del 28 novembre 1890 firmata dal cardinale al vescovo di Saint-Flour, nella quale si sottolineava che «la Chiesa […] s’interessa anzitutto ai progressi della religione» (D. Ferrata, Mémoires, II, Roma 1920, p. 44). Quell’atteggiamento fu aspramente criticato sia dai monarchici francesi, alcuni dei quali l’accusarono perfino di appartenere alla massoneria, sia dai diplomatici tedeschi e austriaci, che ebbero buon gioco nel criticare la «parzialità» di Rampolla per la Francia e la sua ostilità verso la Triplice Alleanza. Vale la stessa osservazione per il riavvicinamento della S. Sede e della Russia operatosi durante il pontificato leoniano, culminato con l’invito del pontefice alla prima conferenza di pace dell’Aja (1899), che suscitò aspre critiche in vari settori dell’opinione cattolica in generale e nei territori a maggioranza polacca in particolare. Queste polemiche gettano luce sul ruolo del cardinale Jan Maurycy Paweł Puzyna nel conclave del 1903.
In effetti, più dell’atteggiamento di Rampolla in occasione della tragica morte dell’arciduca Rodolfo d’Asburgo a Mayerling, l’ostilità dell’Austria alla sua ascesa al soglio pontificio risulta da vari fattori, tra i quali il timore davanti al miglioramento delle relazioni della S. Sede con la Russia e la Sublime Porta e l’ostilità dell’Italia – rappresentata dal governo Zanardelli – che rimproverava l’intransigenza del presule sulla questione romana.
Nel conclave dell’estate del 1903, malgrado l’ostilità delle potenze centrali e dell’Italia e un sostegno labile della Francia, Rampolla ricevette 24 suffragi al primo scrutinio di sabato 1° agosto. Il cardinale decano rifiutò di ricorrere alla procedura dell’accesso, che avrebbe permesso agli elettori che non lo avevano votato di riversare i propri voti sul suo nome. Ricevette 29 voti nello scrutinio pomeridiano. Il giorno successivo, il cardinale Puzyna, vescovo di Cracovia, informò ufficialmente il conclave – la voce corse subito sulla stampa – del veto escludente pronunciato contro l’ex segretario di Stato dall’imperatore Francesco Giuseppe. Ciononostante, Rampolla conservò 29 suffragi nello scrutinio successivo, nel quale 21 voti si portarono su Giuseppe Sarto. Durante la votazione pomeridiana i due cardinali ricevettero rispettivamente 30 e 24 voti, ben lungi dai 42 necessari. Il lunedì mattina il numero dei suoi suffragi scese a 27 contro 24 al patriarca di Venezia che ne ricevette 50 il martedì 4 agosto, accedendo alla cattedra di Pietro.
L’ultima parte della vita di Rampolla si svolse, ascetica, nell’ombra in cui il cardinale visse nella palazzina di Santa Marta, vicina alla basilica di cui era l’arciprete. Durante i primi anni del pontificato piano – lo studio degli anni successivi è ancora da farsi – rimase un consigliere ascoltato da Pio X che lo consultò, per esempio, sul progetto di condanna delle iniziative del principe Max de Bade. Rampolla partecipò inoltre alle sessioni della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari. Questo periodo fu anche caratterizzato da un riavvicinamento dell’ormai sessantenne prelato con ambienti conciliatoristi – incominciando da monsignor Bonomelli con il quale ebbe una corrispondenza oggi pubblicata – gli stessi che avevano ostacolato la sua elezione nel 1903.
Fu presidente dell’Accademia di religione cattolica (dal 31 gennaio 1907), segretario della congregazione del S. Uffizio (dal 30 dicembre 1908), bibliotecario di Santa Romana Chiesa (dal 26 novembre 1912). Rampolla, la cui biblioteca contava parecchie migliaia di volumi, svolse un’importante attività scientifica: pubblicò nella rivista Bessarione un articolo sul Luogo del martirio e sepolcro dei Maccabei e soprattutto, nel 1905, un volume dedicato a santa Melania Juniore, basandosi su un manoscritto scoperto nella biblioteca dell’Escuriale durante la sua permanenza in Spagna, opera che fu accolta molto positivamente, definita da molte recensioni come «un monument d’érudition et d’histoire» (P. Allard, Une grande fortune romaine au cinquième siècle, in Revue des questions historiques, 1907, vol. 81, p. 5). Lasciò incompiuto un libro su papa Liberio e altri manoscritti che il suo primo biografo giudicò degni di essere pubblicati, rimasti – se esistenti – ancora inediti (Sinopoli di Giunta, 1923, p. 261).
Morì il 16 dicembre 1913 a Roma dove, meno di un anno più tardi, il suo più fido collaboratore, Giacomo Della Chiesa, sarebbe stato eletto papa, elezione che un diplomatico francese così commentò: «Benedetto XV è la rivincita di Rampolla sdraiato nella tomba» (Ticchi, 2004, p. 241). Il nuovo papa gli fece erigere un monumento funebre, opera dello scultore Enrico Quattrini, inaugurata nel 1929, nella basilica di S. Cecilia in Trastevere, suo titolo cardinalizio, dove il cardinale aveva fatto realizzare importanti lavori tra i quali la cripta ornata di mosaici.
Tra le opere di Rampolla si ricordano: De authentico romani pontificis magisterio solemne testimonium ex monumentis liturgicis Ecclesiae universae, Roma 1870; Di un catalogo cimiteriale romano. Di una biografia di Santa Melania giuniore, Roma 1900; Santa Melania giuniore, senatrice romana, Roma 1905.
Fonti e Bibl.: Una parte delle carte del cardinale, sequestrate dopo la sua morte secondo l’uso, sono confluite nel fondo degli Spogli dei cardinali ed ufficiali di curia dell’Archivio segreto Vaticano che, pertanto, non contiene alcuni documenti menzionati da Pietro Sinopoli come facenti parte dell’archivio del cardinale, tra cui il manoscritto di una vita di papa Liberio.
C. Crispolti - G. Aureli, La politica di Leone XIII da Luigi Galimberti a Mariano Rampolla su documenti inediti, Roma 1912; T. von Cramer-Klett, Kardinal R. del T., in Hochland, 1914, n. 2, pp. 1-19; G. Goyau, Le cardinal Rampolla, in La Revue Hebdomadaire, 7 février 1914, n. 6, pp. 305-324; la storiografia rampolliana ha preso le sue mosse proprio dall’opera pubblicata su iniziativa di Benedetto XV da P. Sinopoli di Giunta, Il cardinale M. R. del T., Roma 1923, aggiornata in seguito da ricerche più recenti: A. Luzio, La questione romana e il cardinale Rampolla, in Chiesa e Stato. Studi storici e giuridici per il decennale della Conciliazione, I, Milano 1939, pp. 455, 441-479; C. Marcora, Carteggio tra il cardinale Rampolla e Mons. Bonomelli, in Studi storici in memoria di Mons. A. Mercati, raccolti a cura della Biblioteca ambrosiana, Milano 1956, pp. 203-243; F. Fonzi, Documenti sul conciliatorismo e sulle trattative segrete tra governi italiani e S. Sede dal 1886 al 1897, in Chiesa e Stato nell’800. Miscellanea in onore di P. Pirri, I, Padova 1962, pp. 167-242; Ch. Weber, Italien Deutschland und das Konklave von 1903. Eine Studie zur Kirchechen- und Bündnispolitik der Dreibundmächte, in Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken, 1977, n. 57, pp. 199-260; V. Carcél Ortí, El archivo del nuncio Rampolla (1883-1887), in Hispania Sacra, 1987, n. 80, pp. 747-788; P. Carusi, Il marchese di Rudinì ed il cardinale Rampolla, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, L (1996), pp. 57-93; J.-M. Ticchi, “Avec lui il n’y en a que pour la France!”. Remarques sur la contribution du cardinal Rampolla à la politique de Léon XIII, in Mélanges de l’École française de Rome, Italie et Méditerranée, 2004, n. 116, 1, pp. 199-241; L. Trincia, Conclave e potere politico. Il veto a Rampolla nel sistema delle potenze europee (1887-1904), Roma 2004; La figura e l’opera del cardinale M. R. del T., a cura di C. Cerami, Caltanissetta 2006 (in partic. in tale volume si veda il contributo di I. Rampolla del Tindaro, Il Cardinale Rampolla storico e cultore d’arte, pp. 81-125).