RAMARINO, Girolamo detto Girolamo da Salerno
– Non sono note le date di nascita e di morte di questo pittore, le cui prime notizie emergono dai documenti trascritti dall’abate Paul-Pierre-Marie Guillaume (1877, p. 301). A «mastro Hieronimo pintore» vennero, infatti, corrisposti dall’abbazia di Cava dei Tirreni cinque pagamenti, tra il settembre 1514 e il settembre 1520, legati all’esecuzione della «cona nova», cioè l’ancona dell’altare maggiore, e un pagamento nel giugno 1521 «per la pittura de la Celleraria», il magazzino del convento, ambiente oggi corrispondente alla cosiddetta sala dei Parati. Il cognome Ramarino emerge poi dal contratto di commissione per la grande ancona di capoaltare, sottoscritto dal pittore e dall’abate cavense Crisostomo degli Alessandri nel 1514, pubblicato negli Indici di Gaetano Filangieri junior sulla scorta delle note manoscritte dell’erudito Gaetano Senatore. L’atto precisa che l’opera doveva essere alta 15 palmi e larga 11 (cm 390 x 290 circa), corredata di una cornice di fregi d’oro e azzurro oltremare e impostata sul modello del polittico dei Ss. Severino e Sossio (Filangieri, VI, 1891, p. 331, riedito con aggiunte e correzioni da Leone 1985).
Altri referti, resi noti dal benedettino Simeone Leone nel 1977, integrano la serie documentaria di Guillaume che non era giunta all’attenzione degli studi fin allora, e costituiscono il fondamento per ricostruire la biografia di Ramarino fra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento. Nel luglio del 1514 egli fu retribuito per un dipinto raffigurante il beato Costabile, quarto abate dell’abbazia di Cava (un dipinto di tale soggetto, attribuito ad anonimo del XVI secolo, viene elencato tra quelli esposti nella Pinacoteca dell’abbazia dall’anonima Guida del Monumento di Cava dei Tirreni, Napoli 1869, p. 19 n. 70; attualmente non ve ne sono più notizie).
Nel settembre 1514 Ramarino portò a termine la pittura di un «lettorino degli Evangeli» (cioè la parte esterna del pergamo) e tra il 1515 e il 1516 ricevette regolarmente pagamenti indirizzati sia al disbrigo di attività da factotum per i monaci, quali ad esempio l’acquisto di olio e vino, sia ad altri lavori di pittura tra i quali «far dipingere il muro del beato Costabile» (doc. dell’aprile 1515, probabilmente attinente a un affresco o a una decorazione che doveva contornare la tavola conclusa l’anno precedente) oltre alla prosecuzione della «cona grande».
Per quest’ultimo incarico, Girolamo acquistò i materiali necessari, l’oro o il costoso azzurro oltremare (che in un caso, nell’aprile 1515, risulta addirittura fatto arrivare da Firenze per il tramite di «don Ignazio», verosimilmente lo Squarcialupi abate di Montecassino), rimborsò il doratore Franceschiello da Napoli e soprattutto il pittore al quale doveva aver subappaltato gran parte del lavoro: «Cesare Milante», cioè il lombardo Cesare da Sesto, cui spedì da Cava una lettera insieme a colori e oro (Leone, 1977, pp. 356 s.). I due artisti, menzionati come «picturi de la cona grande», arrivarono a Cava nell’agosto del 1515 (i libri contabili registrano il pagamento di due ducati per il «beveragio», ibid., p. 357), forse per trasportare la monumentale ancona ormai pressoché ultimata.
Nel dicembre 1517 Girolamo ottenne dai monaci un ducato e 15 grana «quando volse partire per Monte Caveoso», l’abbazia cassinese di S. Arcangelo a Montescaglioso, aprendo un’assenza durata qualche tempo, poiché nel febbraio del 1518 l’amministratore di Cava inviò tre ducati alla moglie di Girolamo per il tramite del suo garzone Jacopo. Nel marzo 1518 il pittore restituì all’abbazia alcuni ducati «in parte de la cona se ha da fare a la cappella de S. Benedetto», azione che sembra implicare la rinuncia a una commissione ricevuta qualche tempo prima. Ramarino fu nuovamente a Cava nel luglio e nel settembre 1520 e poi nel giugno 1521 per riscuotere i rimborsi dell’acquisto di colori, il saldo conclusivo del polittico dell’altare maggiore e altre remunerazioni non meglio specificate (Guillaume, 1877; Leone, 1977, p. 360). Dopo tale data non vi sono altre notizie della sua vita e della sua attività.
Sulla base di questi documenti gli studi storico-critici dell’ultimo quarto del Novecento hanno provato a ricostruire il profilo stilistico del pittore partendo dalla «cona grande», ovvero il polittico a sei scomparti con il Battesimo di Cristo al centro, s. Benedetto e s. Gregorio Magno sui due lati (resecati nella parte inferiore), in alto la Madonna col Bambino in gloria fiancheggiata dai ss. Pietro e Paolo e la predella suddivisa in tre pannellini raffiguranti il Padre Eterno benedicente e vari santi benedettini, oggi conservato nel Museo dell’abbazia di Cava dei Tirreni dopo essere stato ricomposto nel 1953. Celebrata dalle antiche fonti napoletane, che l’attribuiscono al salernitano Andrea Sabatini (G.B. Pacichelli, Memorie de’ viaggi per l’Europa cristiana, IV.1, 1685, p. 222; B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, Napoli 1742-1745, ed. commentata a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, I, Napoli 2003, p. 525), quest’opera aveva sollevato l’attenzione di Giovanni Morelli e Gustavo Frizzoni, che fin dal tardo Ottocento, pur non conoscendo i documenti intestati a Ramarino e a Cesare da Sesto, vi avevano colto la funzione predominante di quest’ultimo tanto nell’idea compositiva che nell’esecuzione. Altre voci critiche di primo Novecento hanno invece seguitato a ritenere che il polittico fosse interamente opera di Andrea da Salerno, o, in alternativa, da lui svolto in collaborazione con Cesare (Suida, 1929; Bologna, 1958).
Le conoscenze archivistiche diffuse dai contributi di Leone (1977 e 1985) hanno condotto gli specialisti a riflettere sul ruolo di Ramarino, nel cui catalogo s’iscrivono piuttosto concordemente le tre sezioni della predella, il S. Benedetto e il S. Pietro (per la rassegna critica si vedano Barbatelli, 2013; Carminati, 1994, con bibl. precedente).
Qui Girolamo traduce in modo più debole il disegno di Cesare, rivelando nei tratti delicati ma più atoni del S. Benedetto e nell’aggraziato atteggiarsi delle sante nella predella l’incidenza di modelli precedenti come i trittici di stile ancora peruginesco di Andrea Sabatini a Teggiano (1508) o a Buccino (1512 ca.).
Partendo dalle tavole di Cava, la critica ha provato a tracciare a ritroso il percorso di Girolamo dentro il complesso panorama dominato dall’intreccio di componenti lombarde, umbre e toscane che prende corpo a Napoli nel primo decennio del Cinquecento. Fra le sue prime cose si accredita l’affresco con la Messa di s. Pietro nell’atrio della chiesa di S. Pietro ad Aram a Napoli, in cui il pittore dimostra attenzione alle componenti padane maturate nel Meridione attraverso Antonio Solario e Pedro Fernández (Giusti - Leone de Castris, 1985; Leone de Castris, 1988. I due studiosi avvicinano a questa fase anche una Dormitio Virginis di collezione privata). In occasione della mostra dedicata ad Andrea da Salerno nel 1986, Fiorella Sricchia Santoro e Giovanni Previtali hanno proposto di identificare Ramarino nell’anonimo Maestro dei polittici francescani, nome sotto il quale si raccolgono sia il dittico di San Mauro Cilento (1510 ca.) che il polittico del duomo di Salerno (1515 ca.; cfr. D’Aniello, 1986, pp. 241 s., che aggiunge il polittico di S. Benedetto ad Angri, datato 1503; di opinione contraria sono Abbate, 1986, pp. 102-104, che ritiene il gruppo opera di Vincenzo de Rogata, e Giusti - Leone de Castris, 1988, p. 275). In anni più vicini agli scomparti di Cava si collocano il S. Benedetto, la Trinità (Napoli, Museo di Capodimonte: Giusti - Leone de Castris, 1988, p. 276) e la lunetta con il Cristo in pietà fra i ss. Benedetto e Girolamo (Cava dei Tirreni, abbazia: D’Aniello, 1986, p. 242). Al momento più avanzato della carriera di Ramarino sono riferiti infine il S. Michele arcangelo che presenta un monaco certosino alla Madonna (Chambery, Musée des beaux-art) e l’Adorazione dei Magi del Pio Monte della Misericordia a Napoli (Giusti - Leone de Castris, 1988, con l’indicazione di una seconda Adorazione dei Magi proveniente da S. Giovanni Maggiore, conservata nei depositi di Capodimonte). In queste ultime prove, caratterizzate da una condotta più corsiva e semplificata, è più stretta la dipendenza stilistica dai modelli di Andrea Sabatini, del quale si è supposto che Girolamo sia divenuto collaboratore nel terzo decennio (Abbate, 1986, p. 152, per l’attribuzione della cimasa del polittico di Fisciano, 1526), seguendolo anche nelle imprese di Montecassino; in tal senso gli è stata assegnata l’autografia della Madonna col Bambino e i ss. Bernardo e Benedetto a Montecassino (D’Aniello, 1986, p. 242).
Fonti e Bibl.: P.P.M. Guillaume, Essai historique sur l’abbaye de Cava d’après des documents inédits, Cava dei Tirreni 1877, p. 301; G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, VI, Napoli 1891, p. 331; W. Suida, Leonardo und sein Kreis, Monaco 1929, p. 225; F. Bologna, Roviale Spagnuolo e la pittura napoletana del Cinquecento, Napoli 1958, pp. 66 s.; S. Leone, Notizie su artisti e opere d’arte del sec. XVI estratte dai registri di amministrazione della Badia di Cava, in Benedictina, 1977, pp. 333- 381; Id., L’autore del polittico della Badia di Cava, in Rassegna Storica Salernitana, II (1985), pp. 167-169; P. Giusti - P. Leone de Castris, ‘Forastieri e regnicoli’. La pittura moderna a Napoli nel primo Cinquecento, Napoli 1985, pp. 145-150; Andrea da Salerno nel Rinascimento meridionale (catal., Certosa di Padula), a cura di G. Previtali, Firenze 1986 (in partic. F. Abbate, pp. 102-105; A. D’Aniello, pp. 100 s., 241 s.); P. Giusti - P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli..., Napoli 1988, pp. 116-118, 275 s.; M. Carminati, Cesare da Sesto, Milano 1994, pp. 164-169; N. Barbatelli, Leonardo e Cesare da Sesto nel Rinascimento meridionale, Poggio a Caiano 2013, pp. 55-64.