NICCOLI, Raimondo
NICCOLI, Raimondo. – Nacque presumibilmente nel sobborgo fiorentino di Novoli intorno al 1710, da Pietro.
Ebbe un fratello, Jacopo, che rivestì per numerosi anni il ruolo di suo procuratore.
La famiglia era di estrazione modesta, ma Niccoli studiò all’Università di Pisa, dove seguì le lezioni di filosofia di Giovanni Gualberto De Soria attraverso il quale conobbe molti filosofi moderni come Locke, Cartesio, Malebranche, Leibniz e i newtoniani inglesi tra cui Samuel Clarke. Dopo aver collaborato con il maestro in veste di segretario, intorno al 1740 entrò al servizio di Emmanuel Déodat de Nay, conte di Richecourt, allora membro autorevole del Consiglio di reggenza e rappresentante di fiducia di Francesco Stefano di Lorena. Lo attesta una sua lettera datata 23 maggio 1768: «Ho servito in Firenze per 16 anni il signor Conte di Richecourt con tre zecchini il mese di paga, tavola e quartiere» (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria e Ministero degli Esteri, b. 2334). Nel 1757 Richecourt fu sostituito dal maresciallo Antonio Botta Adorno e Niccoli si vide così precludere la possibilità di un nuovo incarico in Toscana. Decise allora di trasferirsi in Francia al servizio del principe di Monaco Onorato III, mantenendo tale posizione per nove anni con un salario di 3000 lire tornesi.
Gli anni trascorsi nel principato gli permisero di apprendere perfettamente il francese e di stringere importanti amicizie. Decisivo fu l’incontro con l’ambasciatore cesareo Georg Adam Starhemberg che, il 10 gennaio 1766, scrisse a Botta per suggerirgli Niccoli per la nomina a segretario di legazione a Parigi, definendolo uomo «de très bonnes moeurs» (ibid.), dotato di qualità e conoscenze che gli avrebbero permesso di svolgere un servizio di grande utilità per il granduca. Niccoli dovette tuttavia attendere il trasferimento di Botta, contrario alla sua candidatura, per ottenere la desiderata carica, il 20 febbraio 1767 «con la provvisione di scudi seicento l’anno» (ibid., b. 889, ins. 28).
Già durante il viaggio verso la Francia dette prova di saper svolgere con dedizione il proprio incarico inviando svariate notizie economiche dalle città per le quali passava. Da Milano scrisse al conte Franz Xaver Wolf von Rosenberg-Orsini per informarlo sulla raccolta del grano e sulla produzione di bachi da seta in Lombardia e Romagna. Arrivò a Parigi il 1° agosto 1767 e immediatamente dette notizia di una nuova macchina per la lavorazione della seta e della lana, di cui desiderava mandare il modello a Firenze. Fin dalle prime lettere traspare il forte interesse che nutriva per l’economia, l’agricoltura, le innovazioni tecnologiche, la medicina e i commerci, considerandoli temi strategici per lo sviluppo del proprio paese in sintonia con le iniziative del governo lorenese. Tra le proposte più originali avanzate a Rosenberg vi fu quella di preparare l’aceto secondo il metodo olandese, ma anche un nuovo sistema per raffinare l’olio, o il suggerimento di produrre vini secondo la tradizione di Borgogna e perfino delle istruzioni per conservare gli agrumi e spedirli in paesi lontani. L’azione di Niccoli si inserì dunque in quel movimento riformatore toscano che affiancò la politica di Pietro Leopoldo tanto che può essere considerato «l’anello di collegamento fra fisiocratici francesi e riformatori toscani» (Mirri, 1959, p. 57). Spediva a Firenze le pubblicazioni più aggiornate tra cui le riviste l’Avant Coureur, la Gazette de Cologne, la Gazette d’agriculture, commerce, arts et finances, oltre a svariati testi sul governo economico degli Stati europei. Inviò anche prodotti considerati interessanti per la produzione agricola o l’attività manifatturiera toscana come chicchi di riso di Siam o esemplari di mobili e pezze di stoffa. Nelle lettere dedicò ampio spazio al commercio dei grani e alle soluzioni per affrontare le carestie, attraverso l’analisi minuziosa di quanto avveniva in Europa. Descrisse la contesa tra Francia e Inghilterra per il possesso della Corsica manifestando preoccupazione anche per gli effetti negativi che l’eventuale conquista francese avrebbe avuto per il porto di Livorno «poiché i franzesi non hanno bisogno di alcuno dei nostri prodotti» (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria e Ministero degli Esteri, b. 2334, lettera dell’11 luglio 1768). Illustrò minuziosamente lo scontro tra la corona francese e papa Clemente XIII in relazione all’espulsione dei gesuiti. Seppur avverso a tale Ordine, non mancò di stringere amicizia con singoli religiosi, tra cui l’abate Ruggero Giuseppe Boscovich. Preoccupato per i successi del partito devoto in Francia, si espresse a favore dell’abolizione dei privilegi della Chiesa, condannando ogni forma di fanatismo religioso. Per questa sua posizione fu coinvolto da Anne-Robert-Jacques Turgot nel progetto di creare una comunità di ugonotti in Toscana, proposta che accolse con entusiasmo nell’ottica di orientare la politica del granduca verso una più ampia tolleranza religiosa.
La ricchezza delle informazioni era ottenuta grazie anche alla sua vasta rete di conoscenze, tra le quali spiccava quella con Étienne-François duca di Choiseul e con sua sorella Béatrix de Choiseul-Stainville. Intrattenne buoni rapporti con l’ambasciatore di Spagna, Girolamo Pignatelli conte di Fuentes, e con il segretario d’ambasciata della corte di Napoli, Ferdinando Galiani, con il quale amava discorrere di economia insieme all’amico comune Pierre-Samuel du Pont de Nemours. Al di fuori dell’ambiente diplomatico fu molto legato al medico toscano Angelo Gatti, del quale riferì in più occasioni i successi professionali ottenuti in Francia e in Inghilterra. Questo legame contribuì ad avvicinarlo a Victor Riqueti, marchese di Mirabeau, con il quale instaurò una lunga amicizia, divenendo il tramite tra il filosofo e vari riformatori italiani tra cui lo stesso Pietro Leopoldo. A Parigi frequentò alcuni tra i salotti più in vista, come quello di Elisabeth Batailhe de Francès-Blondel e quello di Louise Élisabeth de La Rochefoucauld, duchessa d’Enville,dove entrò in contatto con celebri fisiocratici e illuministi quali Turgot, Malesherbes, d’Alembert, Condorcet, Quesney. Nelle sue note citò con accenti di stima soprattutto d’Alembert e Voltaire, di cui inviò scritti e riflessioni. Fu vicino anche alla loggia massonica delle Neuf Soeurs, dove introdusse giovani scienziati toscani tra i quali Giorgio Santi e Giovanni Fabbroni, divenendo per quest’ultimo un punto di riferimento essenziale (Pasta, 1989, pp. 59, 60). Mostrò inoltre grande interesse per i moti di indipendenza scoppiati in America non nascondendo di parteggiare per i ribelli americani. Sicuro della vittoria dei coloni, sottolineò con vigore i vantaggi economici che i paesi europei avrebbero tratto dallo stabilire rapporti commerciali con la nuova nazione. Fu in contatto con Filippo Mazzei e soprattutto mostrò apertamente la propria amicizia a Benjamin Franklin senza timore dei giudizi altrui (Pace, 1958, pp. 94 s.); nella primavera del 1777 si adoperò persino per organizzare un incontro tra Franklin e Giuseppe II, senza tuttavia riuscire nell’intento; né miglior fortuna ebbe il tentativo di convincere Pietro Leopoldo a ricevere l’inviato americano Ralph Izard. Cercò consensi e appoggi economici alla causa americana anche a Milano, attraverso l’amico Antonio Greppi e a Carlo Gottardo, conte di Firmian, ai quali inviava il periodico Affaires de l’Angleterre et de l’Amérique. Nell’Archivio di Stato di Milano (Greppi, 323, Autografi: Abate Niccoli) è conservata parte della corrispondenza che inviò a Greppi dal 1757 fino alla morte; caratterizzata da maggiore libertà e vivacità rispetto alle missive ufficiali, anche questa si apprezza per le informazioni chiare e particolareggiate e per l’analisi lucida e distaccata dei fatti politici.
Nonostante la protezione dell’ambasciatore Florimond Claude Mercy-Argenteau, in più occasioni Niccoli si lamentò per la modestia del proprio salario. Frequenti furono le richieste prima a Rosenberg poi a Tommaso Piccolomini, affinché autorizzassero un aumento del suo stipendio «poiché con li 600 scudi assegnatimi non è alcun modo possibile, nonostante la mia somma economia, che io mi tiri avanti» (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria e Ministero degli Esteri, b. 2334, lettera del 23 maggio 1768). Sollecitò inoltre alla corte lorenese l’assegnazione in suo favore del titolo di incaricato degli affari del granduca, sottolineando come tale nomina gli avrebbe conferito maggiore autorità permettendogli di sostituire, qualora necessario, l’ambasciatore cesareo. Il 26 luglio 1774 si fece presentare da Mercy come «Chargé des affaires de S.A.R. le Granduc de Toscane» al nuovo ministro degli Esteri, Charles Gravier conte di Vergennes (ibid., b. 919, ins. nn., lettera del 29 luglio 1774), costringendo il granduca a riconoscere il fatto compiuto.
A partire dagli anni Settanta fu affiancato dal nipote Francesco Raimondo Favi, che lo sostituì in occasione di sue assenze e, dal 1779, in maniera sempre più continua. Nel dicembre 1779, ormai vecchio e malato, rientrò definitivamente in patria.
Morì a Firenze il 26 giugno 1780 (ibid., Camera di Commercio, b. 189, f. 165r).
Significativo risulta l’acuto giudizio espresso su di lui da Pietro Leopoldo, che lo definì «uomo entrante, di talento, furbo, accorto, serve bene e dà buone notizie; ma vuole entrare troppo avanti e darsi aria di sapere più di quello che non arriva a sapere; va animato e ricompensato con qualche gratificazione. Non vi è da servirsene in Toscana ove è conosciuto e screditato per aver servito il conte Richecourt» (Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, 2011, p. 97).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Segreteria e Ministero degli Esteri, bb. 2334-2336, 2340 (dispacci dei residenti toscani a Parigi dal 1766 al 1794); 889, ins. 28; 919, ins. nn.; Segreteria e Ministero degli Esteri. Appendice, bb. 1-6 (minute del carteggio ordinario della legazione di Parigi con Firenze, 1766-1779); Miscellanea di Finanze, bb. 330, 331, 368, 375, 438, 474, 511, 529 ins. 99, 552 (lettere ad Angelo Tavanti); American Philosophical Society, Philadelfia, Fabbroni Papers, Mss. B.F 113, cc. nn. (corrispondenza con Fabbroni); Aix-en- Provence, Musée P. Arbaud, Fonds Mirabeau, Correspondance de Mirabeau Victor Riqueti, VII, c. 183, IX, XVI, cc. n.n.; Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, a cura di E. Greppi e A. Giulini, Milano 1923-31, I, p. I, pp. 357 s., 362 s.; IX, pp. 162, 164; Horace Walpole’s correspondance with sir Horace Mann and sir Horace Mann the Younger, a cura di W.S. Lewis - W. Hunting Smith - G.L. Lam, New Haven 1941-71, XVII, pp. 107, 224, 394; XIX, pp. 42, 49, 224, 238, 290; XX, p. 335; XXI, p. 62; XXIV, pp. 106, 362 s., 369; A. D’Addario, I giudizi di due diplomatici toscani sulla rivoluzione francese del 1789, inAtti del XXXII Congresso di Storia del Risorgimento italiano, Roma 1954, pp. 155-163; A. Pace, Benjamin Franklin and Italy, Philadelphia 1958, pp. 94 s., 98-102, 104 s., 109, 116; M. Mirri, Per una ricerca sui rapporti fra «economisti» e riformatori toscani. L’abate Niccoli a Parigi, in Annali dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli, II (1959), pp. 55-120; R. Ciampini, Lettere di R. N. sulle cose di Francia e di Corsica (1767-1774), in Rivista italiana di studi Napoleonici, VII (1968), pp. 32-77; R. Ciampini, Lettere inedite di Angelo Tavanti all’abate R. N., ibid., pp. 111-120; A. Wandruszka, Pietro Leopoldo. Un grande riformatore, Firenze 1968, pp. 277, 279, 281; Lettere a Giuseppe Pelli Bencivenni, 1747-1808. Inventario e documenti, a cura di M.A. Timpanaro Morelli, Roma 1976, pp. 655-657; E. Tortarolo, Illuminismo e rivoluzioni. Biografia politica di Filippo Mazzei, Milano 1986, pp. 14, 19, 61, 67; R. Pasta, Scienza, politica e rivoluzione. L’opera di Giovanni Fabbroni (1752-1822) intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Firenze 1989, pp. 39, 59-61, 71 s., 82-84, 96, 98, 100-106, 108 s., 111, 117-120, 128-133, 135-144, 217, 310, 601; Z. Ciuffoletti, Parigi - Firenze, 1789-1794. I dispacci del residente toscano nella capitale francese al governo granducale, Firenze 1990, pp. 10-16, 19; R. Pasta, Fabbroni, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLIII, Roma 1993, pp. 676-685; N. Danelon Vasoli, Favi, Francesco Raimondo, ibid., XLV, Roma 1995, pp. 462-466; Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, Relazione dei Dipartimenti e degli impiegati (1773), a cura di O. Gori, Firenze 2011, p. 15 e n. 97.