COCCHI, Raimondo
Nacque a Firenze il 20 o 21 ott. 1735 da Antonio e da Teresa Piombanti. Mediante il padre ebbe familiarità fin da giovanissimo con gli ambienti scientifici ed eruditi fiorentini, soprattutto con quegli ideologicamente innovativi, e con la comunità inglese di Firenze, allora numerosa. La famiglia materna era inserita da tempo nell'amministrazione del granducato, e la sorella minore Beatrice sarà moglie di Angelo Tavanti, direttore delle Finanze dei granduchi Francesco Stefano e Pietro Leopoldo; tutte queste circostanze, unitamente all'appoggio di Bernardo Tanucci e Pompeo Neri, già amicissimi del padre, spiegano certe sue iniziative successive. Antonio affidò l'educazione del figlio a intellettuali tra i più noti a Firenze, completandone personalmente la formazione nelle lingue classiche e moderne, cosicché nel C. compaiono precocemente interessi e caratteri della cultura paterna: già nella prima adolescenza leggeva fluidamente le lingue classiche, al punto di poter approfondire molti testi dell'importante biblioteca di famiglia e di dare concreto aiuto al padre nella versione latina del Graecorum chirurgici libri (Florentiae 1754). A questo ambito di interessi appartiene la Raccolta di iscrizioni che sono in Pisa più antiche,de' tempi barbari,e moderne, risalente probabilmente agli anni universitari ed ora costituente il codice Magliabechiano, classe XXVIII, n. 23 della Biblioteca nazionale di Firenze; in seguito, la produzione poetica della sua maturità rivelerà una consuetudine intima con gli epici classici.
Iscrittosi nel 1754 al corso di laurea in medicina a Pisa, il C. vi conobbe alcuni dei più illustri docenti della facoltà delle arti, come A. Politi, O. Corsini, C. Fromond, G. A. De Soria, M. A. Tilli, D. Brogiani (ex alunno del padre) e T. Perelli. L'amicizia con quest'ultimo pare essere stata particolarmente stretta e il fatto è significativo se si ricorda che, insieme con Antonio, il Perelli è stato ritenuto uno dei primi aderenti toscani alla loggia massonica inglese di Firenze; l'edizione postuma livornese delle Lezioni del C. (1775), apparsa senza il nome del curatore né prefazione, recherà in calce all'indice un simbolo massonico, ed è perciò plausibile pensare a un'adesione dell'autore alla massoneria, ciò che limita l'asserzione corrente che attività e proselitismo massonici a Firenze entrassero in crisi dopo la condanna papale (1738). Conseguita la laurea in medicina nel 1757 (con un anticipo concessogli eccezionalmente per la cattiva salute del padre), il C. tornò subito a Firenze, supplendo più volte il padre nella sua lettura di anatomia all'ospedale di S. Maria Nuova e succedendogli alla morte (1758). Secondo il Prezziner, a S. Maria Nuova il C. lesse, oltre all'anatomia, geometria e fisiologia, con un buon successo didattico. Livello e tono del suo insegnamento sono poi parzialmente documentati dalle citate Lezioni fisico-anatomiche recitate pubblicamente in Firenze nel teatro del Regio Spedale di S. Maria Nuova dal dottore R. Cocchi, che furono presto inserite fra i testi di lingua dell'Accademia della Crusca.
Il volumetto comprende dieci lezioni più un Discorso del moto del cuore e della circolazione del sangue. Delle lezioni, la prima e l'ultima trattano temi d'embriologia, e le altre l'anatomia e fisiologia dell'apparato riproduttivo maschile e femminile. In esse non interessano tanto la quantità e qualità delle informazioni quanto la continua insistenza del C. sulla netta distanza esistente tra i dati macroscopici fin allora acquisiti dall'anatomo-fisiologia e l'intima dinamica dei processi riproduttivi, che giustamente egli ritiene del tutto ignota al suo tempo. Già nel Redi e nell'ippocratismo tardosecentesco, come in dottrinari della iatromeccanica quali Malpighi e Baglivi, la teorizzazione biologica coesiste con l'ammissione che essa ancora non consente sicure applicazioni terapeutiche, e la terapia si affida a un numero ridottissimo di farmaci o alla "vis medicatrix Naturae". Questo orientamento è presente anche nel padre del C., ma in questo investe non solo la credibilità dei sistemi onnicomprensivi, ma la stessa capacità conoscitiva delle discipline medico-biologiche, dando luogo a toni di sconsolato scetticismo: la conclusione del libro descrive la posizione del ricercatore non dogmatico come uno stare "in disperata oscurità sempre studiando, e nulla imparando"; non può quindi stupire che sia le Novelle letterarie (n.s., VII [1776], col. 6), sia, in seguito, il De Renzi condannassero la posizione del C., pur non valutandone adeguatamente i motivi.
I dubbi sul fondamento scientifico della pratica medica, più che un non provato scarso interesse per essa, spiegano perché il C. si sia astenuto quasi completamente dall'esercitarla. Poco dopo la morte del padre egli gli subentrò anche nell'incarico di antiquario granducale, che nel 1773 fu ampliato in quello di direttore generale della Galleria imperiale. Durante questo periodo le collezioni ex medicee cominciarono ad acquisire, sia nell'opera di raccolta sia per l'ordinamento, un'impostazione scientifica; il C. le arricchì con la donazione del museo privato e dell'erbario del padre, ancora basato sulla sistematica tournefortiana, che egli stesso aveva ampliato, e si valse di collaboratori come F. Fontana, poi fisico del granduca e direttore del Museo imperiale, e R. Maffei, cui dal 1767 (ma formalmente dal 1771) lasciò la cattedra a S. Maria Nuova.
Il lavoro del C. nella Galleria è particolarmente documentato per la collezione numismatica, che classificò in modo diverso da quello empirico precedente, basato sui tipi di metallo e le dimensioni: divise il materiale romano dal successivo, distinguendo nel primo le monete "consolari", che dispose in ordine nominativo, dalle imperiali, che ordinò cronologicamente, mentre per quello delle città libere e colonie adottò un criterio geografico. L'iniziativa è un importante sintomo di transizione da criteri meramente estetici ad altri autenticamente storici; se non è certo che il merito fu tutto del C., in quanto è noto che egli ebbe per collaboratore J. Eckel, poi antiquario imperiale a Vienna (ma questi parlò del C. come del suo maestro), del tutto sua fu l'iniziativa di arricchire le collezioni fiorentine sia spingendo il governo a importanti acquisti, sia concentrando a Firenze pezzi provenienti da tutto lo Stato e da residenze medicee fuori di esso, come quella romana. Inoltre, su richiesta del Lorena, compilò e inviò a Vienna nel 1761 anche una descrizione delle medaglie pontificie di proprietà granducale.
Tutto ciò può far pensare che il C. rinunciasse alla cattedra di anatomia e alla professione medica per il "prevalere in lui di interessi storico-eruditi, ma questa interpretazione non è avvalorata dalle impressioni che egli produsse sul giovane Gibbon, che lo conobbe nel 1764 e lo ebbe guida nella visita alle collezioni granducali; a Gibbon il C. parve del tutto privo d'interesse per gli oggetti affidatigli, nonché guida distratta e quasi scortese. Mentre nell'ambiente inglese di Firenze il C. passava per uomo di grande versatilità e brillantezza, a lui parve che la libertà e l'originalità del suo pensiero trapassassero nella mera stravaganza; un aspetto del personaggio che rilevò fu la tendenza a lagnarsi della sua situazione economica e a sentirsi male ricambiato da un ambiente al quale si sentiva superiore. Il Gibbon così coglieva l'esistenza d'una profonda insoddisfazione, quasi d'una scissione tra l'individuo e il suo ambiente, che si esprimeva anche nell'abbandono dell'attività pubblica e nell'appartarsi in un mondo intellettuale con valori diversi da quelli prevalenti; questo spiega certe notevoli incomprensioni verso di lui emerse in ambienti fiorentini, e nello stesso Pietro Leopoldo.
L'atteggiamento critico del C., ormai chiaramente illuministico, sfociò nel terreno politico: già nel 1762, scrivendo al Walpole, il residente inglese a Firenze H. Mann gli allegava uno scritto satirico del C. che ripeteva il titolo dello Spectator di Addison, ma il cui tono doveva essere anche più radicale se il Walpole, rispondendo, consigliava prudenza all'autore prospettandogli possibili persecuzioni ecclesiastiche e governative. Nel 1767, poco dopo essersi sposato con Tullia Maggini, il C. andò in Corsica, mentre vi si svolgeva il tentativo autonomistico di P. Paoli. Si è supposto che egli agisse come emissario del Mann, contrario all'atteggiamento quasi ostile ai Corsi assunto dal suo governo, e che anche il governo granducale approvasse l'iniziativa. Della Corsica visitò la parte centrosettentrionale, conoscendovi il Paoli e gli ambienti che lo sostenevano, e divenne partigiano attivo della sua causa. Dopo il ritorno in Toscana mantenne con il Paoli una fitta corrispondenza, parte della quale, per gli anni 1768-1773, fu rinvenuta da G. Livi nell'Archivio di Stato di Firenze (Gabinetto, filza 145, Documenti estranei) e pubblicata nel 1890. Ne risulta chiaramente che il C. fu tramite tra Paoli, Mann e il governo toscano, senza poter tuttavia modificare il corso impresso agli eventi dall'intervento militare francese; ciò spiega come gli ambienti fiorentini vedessero in lui l'autore di due scritti anonimi sulla questione corsa, le Osservazioni di un viaggiatore inglese sopra l'isola di Corsica scritte in inglese sul luogo nel 1767 e ora tradotte in italiano, Londra [ma Venezia] 1769, e le Lettere italiane sopra la Corsica in rapporto allo spirito di legislazione che dovrebbe animare quel Regno per renderlo felice, Losanna 1770 (ma l'indicazione del luogo è dubbia). L'attribuzione al C. dei due scritti, prevalsa a lungo, è ormai abbandonata: quanto alle Osservazioni, C. A. Vianello ha sostenuto con argomenti validi (se non definitivi) che ne fu realmente autore un viaggiatore inglese, J. Symonds, mentre sarebbe stato il C. a tradurle e farle pubblicare in Italia; le Lettere, non menzionate dal biografo del C., G. Lessi, furono attribuite dalle Novelle letterarie di Firenze (1775, col. 503) a L. Magnanima, esponente dell'illuminismo toscano al quale il C. fu vicino, e lo stesso Magnanima vi alluse nella sua biografia di G. A. De Soria. Questa attribuzione è ormai accettata dagli studi recenti, mentre è del tutto decaduta quella, che pure ebbe corso nell'epoca, all'abate G. Del Turco, altro esponente degli stessi ambienti.
Frutto del raccoglimento concesso al C. dall'abbandono dell'attività medica e didattica è un poema epico, il Luni, già iniziato nel 1765, il cui primo canto (di 31 quartine) fu pubblicato nel Magazzino italiano di Venezia nell'agosto 1767, ed in seguito dal Lessi; il resto del poema, completo nel disegno generale, restò inedito (una Selva del poema "La caduta di Luni" di R. Cocchi, con una raccolta di giudizi sull'opera, è in Firenze, Bibl. naz., ms. II, VI, 61).
Non è esatto vedere in questo tentativo poetico un gioco letterario non collegato con gli interessi più seri e caratterizzanti del C., e non solo perché egli vi dedicò assiduamente i suoi ultimi anni. In realtà il poema è una esaltazione, in forma di storia mitica, degli ideali di semplicità, devozione al luogo natale e comunione popolo-g0vernanti che la corrente d'opinione filocorsa, e quindi il C., aveva creduto di rinvenire in quel popolo e che avevano motivato l'orientamento favorevole alla sua lotta.
La vicenda, molto complessa, è data dal tentativo dell'ex dinastia reale di Luni, presso La Spezia, di riconquistare la città da cui è stata ingiustamente cacciata, ed è situata in una cornice temporale consapevolmente ambigua, dove realtà dell'Italia preromana (Etruschi, Italici, Fenici) si mescolano ad altre medievali (Pisa, città marinara). Il poema è una costruzione raffinata, anche se composita, e costituisce un tentativo non vieto di rinnovare il genere epico, formalmente e tematicamente: alle parti narrative, in quartine, s'alternano metri vari in consonanza col tono degli avvenimenti; l'insieme è concepito come canto collettivo d'un popolo che commemora la propria epopea.
All'interesse letterario il C. associò quello per il disegno e le arti figurative, che lo portò a scrivere una breve Vita del Masaccio (in italiano e inglese), premessa all'ediz. delle incisioni di T. Patch, riproducenti le pitture masaccesche della chiesa fiorentina del Carmine, e dedicata ad H. Mann (Firenze 1770). A parte un viaggio del 1763-64 a Roma e Napoli, il C. visse sempre a Firenze, senza concretizzare i suoi propositi di trasferirsi altrove, forse in Inghilterra, verso cui l'indirizzavano l'esempio paterno e la sua intera impostazione culturale. Nel 1769 gli nacque una figlia, Eugenia Tullia, che manterrà rapporti di familiarità con il Paoli anche dopo la morte del padre. Dopo il 1770 la salute del C. cominciò a declinare, con frequenti alterazioni del battito cardiaco e sbocchi sanguigni. Morì a Firenze il 10 febbr. 1775.
L'autopsia (eseguita sul suo corpo, secondo una tradizione affermatasi negli ambienti degli iatromeccanici italiani fin da Malpighi, e che aveva avuto i Cocchi come decisi assertori) accreditò l'ipotesi di tubercolosi polmonare con vizio circolatorio congenito.
Fonti e Bibl.: Vari mss. del C. sono a Firenze nella univers. Bibl. centrale medica; nella Bibl. della Gall. degli Uffizi; nella Bibl. naz. (cod. Palat. 823, cc. 47-135; cod. Magliabechiano, cl. XXVIII, n. 23; Autografi Gonnelli, cartella 7, nn. 227-28); e nella Bibl. Marucelliana. Sue lettere sono conservate a Firenze, unitamente al Carteggio del padre, nell'Archivio dei conti Baldasseroni, discendenti dei Cocchi. Sul C. vedi, di anonimo [ma S. Manetti], Necrologio, in Magazzino toscano, XXI (1775), pp. 109-131; Bibl. Apost. Vaticana, Ferraioli, 368, f. 146: (anonimo) Breve notizia della morte di R. C. (10 febbr. 1775); Novelle letterarie di Firenze, n. s., VI (1775), coll. 369 s., 503; VII (1776), coll. 6-8; A. Fabroni, Historia Academiae Pisanae, III, Pisis 1795, p. 652; G. Prezziner, Storia del pubblico Studio e delle società scientifiche e letterarie di Firenze, II, Firenze 1810, pp. 163 s.; G. Lessi, Elogio di R. C., in Atti della I. R. Acc. dellaCrusca, I (1819), pp. 71-80 (il Saggio del poemadi Luni è alle pp. 81-84); G. A. Del Chiappa, Sui consulti e sulle lettere di A. Cocchi ed altre scritture postume…, Milano 1831, pp. 677; F. Mazzei, Memorie della vita e delle peregrinazioni, I, Lugano 1845, passim (ora a cura di A. Aquarone, Milano 1970, ad Indicem); S. De Renzi, Storiadella medicina in Italia, V, Napoli 1848, p. 440; D. R. Doran, "Mann" and Manners at theCourt of Florence, I, London 1876, pp. 426-30; F. Sbigoli, T. Crudeli e i primi framassoni inFirenze, Milano 1884, p. 102; G. Livi, Lettere ined. di P. Paoli,Lettere a R. C. (1768-1773), in Arch. stor. ital., s. 5, V (1890), pp. 62 s., 69-76, 95-107, 228-274; VI (1890), pp. 280 s., 284-286, 289, 296; H. Walpole, The Letters, a c. di P.Toynbee, V, Oxford 1904, pp. 241-42; L. Messedaglia, L'"Iter italicum patavinum" di D. Cotugno, in Attidel R. Ist. ven. di scienze,lett. ed arti, LXXXIII (1913-14), 2, pp. 1796 s.; A. Corsini, R. C., in Gli scienziati ital., a cura di A. Mieli, I, 2, Roma 1923, pp. 404-09; M. Roselli Cecconi, R. C. e la Corsica, in Il Marzocco, 22 luglio 1928; D. Spadoni, Gli amici toscani di P. Paoli, in Arch. stor. di Corsica, XVI (1940), pp. 354-359; Id., R. C. e le sue "Lettere italiane sopra la Corsica", ibid., XVIII (1942), pp. 241-256; XIX (1943), pp. 35-48; P. Provasi, P. Paoli e A. Genovesi,ibid., XVII (1941), pp. 251-254; C. A. Vianello, Per l'ident. dell'autore della Relaz. sulla Corsica del1766,ibid., pp. 250 s.; C. Starace, Bibl. della Corsica, Milano 1943, nn. 316, 3725, 4280, 5541, 6684; E . Gibbon, Journey from Geneva to Rome, a c. di G. A. Bonnard, London 1961, pp. 187, 193 s., 197, 201-04; S. Rotta, Il viaggio in Italia di Gibbon, in Riv. stor. ital., LXXIV (1962), pp. 349 s.; Illuministi italiani, VII, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1965, pp. XXVII, 734, 769 e n., 770, 778, 790-92, 799.