MONTALDO, Raffaele.
– Secondogenito del doge Leonardo e della sua seconda moglie Bartolomea Ardimenti, nacque probabilmente a Genova intorno al 1370, pochi anni dopo il fratello Antonio, doge tra il 1392 e il 1394, del quale fu il più fedele collaboratore.
Giovanissimo il M. è infatti ricordato in diversi fatti d’arme che si svolsero intorno a Genova durante il breve dogato di Antonio, nei quali si distinse combattendo contro i partigiani di Antoniotto Adorno. Dopo che il fratello dovette rinunciare al dogato, il M. lo seguì nel rifugio di Gavi che fu per alcuni anni base per i loro ripetuti tentativi di rientrare a Genova, e come lui ottenne da Gian Galeazzo Visconti una pensione di 200 fiorini l’anno (la metà di quanto percepiva Antonio), che fu in seguito portata a 400. Agendo negli interessi viscontei, i Montaldo si batterono nei tre anni seguenti contro il doge Antoniotto Adorno e, dopo che questi ebbe ceduto a Carlo VI di Francia la signoria di Genova (novembre 1396), continuarono a mantenere un atteggiamento ostile anche nei confronti della nuova dominazione; il M., in particolare, per un certo periodo riuscì a togliere agli Spinola filofrancesi, il castello di Busalla, venendo bandito per il reato di ribellione. Nel maggio 1397, però, i Montaldo accettarono di venire a patti e, in cambio di 4200 ducati, si risolsero a restituire Gavi al Comune di Genova, ottenendo successivamente franchige fiscali e la conferma delle pensioni in precedenza sborsate da Gian Galeazzo.
La pacificazione fu in realtà solo apparente. La politica di conciliazione tra i partiti condotta dal governo francese, avendo comportato la riammissione negli uffici pubblici dei guelfi, scontentò grandemente la fazione ghibellina, alla quale i Montaldo appartenevano, ed essi approfittarono della situazione per fomentare disordini, senza tuttavia esporsi in prima persona. Ciò li rese sospetti ai governatori regi che, dopo aver pensato di deportarli in Francia, nella primavera 1398 li arrestarono, salvo rilasciarli poco dopo nel timore di provocare ulteriori disordini.
Alla morte di Antonio, avvenuta il 25 luglio di quell’anno, il M. assunse la guida della famiglia e della fazione e, mostrando maggiore senso politico del fratello, si affrettò a scendere a patti con i Francesi, accettando l’offerta della Corsica da parte del governo, che Antonio aveva poco prima rifiutato. Il compito appariva in effetti dei più difficili.
L’isola, che nel 1378 era stata infeudata dal Comune di Genova a una compagnia commerciale di imprenditori cittadini (la Maona), era in rivolta e in gran parte era stata occupata da Arrigo Della Rocca che, nel 1376 con l’appoggio del re d’Aragona, Pietro IV, si era proclamato conte di Corsica. L’incapacità dei maonesi di controllare militarmente la situazione aveva spinto nel 1392 la fazione popolare dell’isola a chiedere e ottenere il ritorno sotto l’amministrazione diretta del Comune, ma i primi governatori che erano stati inviati da Genova non avevano ottenuto migliori risultati di chi li aveva preceduti.
Il M. raggiunse l’isola nel settembre 1398 e, nonostante le sconfortanti premesse, seppe muoversi con grande abilità, sfruttando soprattutto l’ostilità che il rigido governo del conte Arrigo aveva cominciato a creare tra molti dei suoi seguaci. Grazie a consistenti esborsi di denaro a favore dei principali capi popolari (i cosiddetti caporali) della Terra di Comune, egli riuscì a ottenere la fedeltà dell’intera parte settentrionale dell’isola, non esitando a punire duramente con esecuzioni sommarie i partigiani del conte. Recuperate così Porto Cardo (la futura Bastia) e Biguglia, tradizionale sede dei governatori dell’isola, si impegnò a restaurare l’ordine pubblico, dando una caccia spietata a banditi e malfattori.
L’improvvisa morte di Arrigo, nel giugno 1401, gli offrì l’opportunità di estendere il controllo anche al cosiddetto paese cinarchese (la Corsica meridionale, dominata dai signori feudali), perché i baroni, liberatisi dell’ingombrante presenza del conte, si rivoltarono contro il suo erede Francesco. Questi, abbandonato anche dal re d’Aragona, decise allora di scendere a patti con il M., al quale vendette il castello di Cinarca, simbolo del potere nella Terra dei Signori. Fu ricompensato con la nomina a vicario generale del popolo (sorta di luogotenente indigeno del governatore) e il M. si servì di lui per accompagnare il nipote Cristoforo Montaldo in una fortunata spedizione nel sud dell’isola, che portò alla piena sottomissione di tutti i baroni. Essi si videro confermare tutti i loro possessi, non però come liberi signori ma come vicari del Comune di Genova; al tempo stesso, chi tra loro cercò di opporre resistenza o si mostrò poco affidabile fu duramente punito dal governatore, che non esitò a ordinare impiccagioni, arresti e confische di beni.
Così «molto tenuto e molto amato per tutta Corsica» (Della Grossa, p. 241), egli riuscì ad assicurare per qualche tempo una parvenza di governo all’isola, ma i successi del M. suscitarono invidie e gelosie a Genova, dove i suoi fratelli si erano trovati coinvolti nei disordini tra guelfi e ghibellini che avevano accompagnato i primi anni della signoria francese. Nel 1403 il nuovo governatore regio Jean Le Maingre, detto Boucicault, richiamò dal governo di Corsica il M., che lasciò nell’isola un buon ricordo e soprattutto una rete di amicizie e clientele che sarebbe tornata nuovamente utile di lì a poco.
Dopo il suo rientro in patria non sembra abbia svolto altri incarichi pubblici, così che per avere nuove notizie su di lui si deve attendere il 1410, quando – cacciato Boucicault e divenuto signore di Genova il marchese Teodoro II di Monferrato – i ghibellini al potere lo inviarono insieme con Oberto Spinola contro i guelfi della Riviera di Levante. L’anno successivo fu nuovamente nominato governatore di Corsica e anche questa volta assunse il governo (aprile 1411) in un momento particolarmente difficile, con la maggior parte dell’isola occupata da un ennesimo signore filoaragonese, il conte Vincentello d’Istria.
Le amicizie strette durante la sua prima permanenza nell’isola furono determinanti a garantirgli fin dall’inizio una serie di successi diplomatici che gli permisero senza molta difficoltà di riportare all’ubbidienza i caporali del nord. Quindi, grazie alla mediazione di Giovanni d’Omessa, vescovo di Mariana, ottenne che Vincentello rientrasse nei suoi feudi. La situazione si mantenne tranquilla fino al 1414, quando il conte riprese le armi contro i Genovesi.
Il M., privo di truppe, chiese aiuto a Genova, ma nell’attesa di ricevere soccorsi, decise di appoggiarsi ai caporali, ai quali assegnò uno stipendio regolare in cambio del loro servizio. Con il loro aiuto e con le milizie ricevute da Genova riuscì a rimandare Vincentello d’Istria nel paese cinarchese, ma nel 1416 alcuni caporali gli si rivoltarono, sobillati dai Fregoso che l’anno precedente avevano conquistato il dogato a Genova a spese anche dei Montaldo. Nel maggio 1416 Abramo Fregoso, fratello del doge Tommaso, sbarcò infatti a Bastia con un piccolo corpo di truppe e destituì sbrigativamente il M., assumendo quindi il governo dell’isola con il non nascosto obiettivo di rendersene signore.
Temendo per la propria sicurezza, il M. riparò a Lucca e da lì si portò in seguito a Milano unendosi agli altri fuorusciti genovesi che vivevano alla corte di Filippo Maria Visconti. Il duca, desideroso di impadronirsi di Genova, si servì di loro per disturbare l’azione di governo di Tommaso Fregoso. A partire dal 1417 il M. condusse una lunga guerra contro il doge, a fianco degli Adorno e degli Spinola e nel 1421 accompagnò l’esercito visconteo capeggiato da Guido Torelli nella sua marcia contro Genova.
Con il passaggio della Liguria sotto il dominio del Visconti (novembre 1421), il M. divenne uno dei più fedeli referenti del duca e si vide beneficiare di importanti cariche. Eletto anziano nel 1423, nel 1425 il duca gli concesse il capitanato di Chiavari dove restò fino agli inizi del 1430 quando, nominato capitano di Soldaia, in Crimea, si trasferì nel Levante.
Vi si trattenne un anno, dopo di che fu chiamato dai maonesi di Chio ad assumere il comando delle forze armate dell’isola, minacciata dai Veneziani in guerra con il duca Filippo Maria. Nel novembre 1431, alla testa di poche centinaia di soldati genovesi e greci, rinchiuso nel castello della città (nel frattempo caduta in mano veneziana), sostenne un duro assedio, respingendo l’attacco e infliggendo al nemico forti perdite.
Non è noto il momento in cui il M. fece ritorno in patria, ma quando nel 1435 i Genovesi si ribellarono al duro governo di Filippo Maria Visconti, lui, analogamente ai Guarco e agli Adorno, si mantenne fedele al duca, tanto più che il potere a Genova era stato conquistato da Tommaso Fregoso, suo vecchio nemico. Si stabilì in Lombardia, forse a Piacenza, da dove continuò a dirigere gli interessi della fazione per il tramite dei tre figli: Antonio, Nicolò e Giovanni.
A loro, che nel 1437 avevano ottenuto dal doge il permesso di tornare a Genova, si rivolse per aiuto Simone De Mari, feudatario genovese di Capo Corso che, dopo la morte di Vincentello d’Istria era riuscito per qualche tempo ad assumere il controllo dell’isola, in precaria alleanza con i vari baroni e caporali. La sua richiesta fu appoggiata dal doge, desideroso in questo modo di liberarsi dei Montaldo, nella segreta speranza che la missione in Corsica si tramutasse in una disfatta che li eliminasse per sempre dai giochi politici genovesi. Nella primavera di quell’anno Giovanni e Nicolò Montaldo sbarcarono pertanto nell’isola e grazie alle amicizie paterne riuscirono in poco tempo a riprendere il controllo della Terra di Comune. Inizialmente i loro rapporti con De Mari si mantennero buoni, ma una volta consolidate le loro posizioni, essi non esitarono ad arrestarlo e a confiscare i suoi castelli. Questi successi impensierirono il doge il quale, nel timore che i Montaldo si servissero della Corsica come base contro di lui, nell’aprile 1438 inviò contro di loro una spedizione condotta dal nipote Giano Fregoso, che in breve tempo li costrinse a fuggire in Terraferma.
Vi tornarono però agli inizi del 1443 perché, cacciato Tommaso Fregoso e divenuto doge Raffaele Adorno, questi volle compensare i Montaldo per l’aiuto prestatogli, nominando nuovo governatore della Corsica il M. e assegnandogli una provvisione annua di 250 lire, che continuò a essergli pagata fino al 1449. Egli però, ormai anziano, pur accettando, non volle trasferirsi nell’isola, designando come luogotenente dapprima il figlio Antonio e, alla morte di questo, il secondogenito Giovanni. Nel 1446-47 fu podestà di Albenga e due anni dopo il marchese di Monferrato lo chiamò a ricoprire l’ufficio di podestà di Casale, dove restò fino al 1454. Il M. morì poco dopo.
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