MORBIDUCCI, Publio
MORBIDUCCI, Publio. – Nacque a Roma il 28 agosto 1889, secondogenito di Luigi, operaio metallurgico, e di Anna Maria Polizzi, impiegata in una tipografia.
A causa delle ristrettezze economiche della famiglia, nel 1900 dovette interrompere gli studi regolari per lavorare presso un carrozzaio. Continuò, tuttavia, a studiare da autodidatta e nel 1904, grazie a una breve esperienza nella bottega di un pittore specializzato nei cosiddetti arazzi (tele pubblicitarie dipinte), apprese i primi rudimenti di arte pittorica, manifestando una spiccata inclinazione artistica. Sollecitato dalla madre, donna di forte temperamento, impegnata nelle lotte sindacali e figura di riferimento fondamentale per il giovane, nel 1905 si iscrisse all’Istituto di belle arti, che frequentò sino al 1910. Parallelamente seguì i corsi del Museo artistico industriale, dove conobbe Duilio Cambellotti, poi ricordato come «maestro dell’animo più che della mano», che lo persuase ad abbracciare definitivamente la carriera artistica (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, Archivio Ojetti, Note biografiche, 1924).
Nel 1910 realizzò il rovescio della medaglia commemorativa del Cinquantenario del 1911. L’anno successivo fu ammesso alla Scuola d’arte della medaglia, frequentandone i corsi, grazie a una serie di borse di studio, sino al 1915. Tale esperienza si rivelò fondamentale nel suo percorso, offrendogli una conferma significativa delle proprie aspirazioni artistiche e la possibilità di un tirocinio tecnico di notevole importanza. Già a partire da quegli anni Morbiducci iniziò a sperimentarsi in ambiti espressivi diversi, maturando da subito quella concezione del fare artistico aliena da ogni intellettualismo e fortemente incentrata su una dimensione artigianale a cui rimase fedele, con grande umiltà, anche negli anni di maggior affermazione. Nel 1915, esonerato per motivi di salute dal servizio di leva, lavorò per un breve periodo in una fabbrica d’armi in via Flaminia. Nello stesso anno si iscrisse al partito socialista ed esordì alla Secessione romana, esponendovi due maschere bronzee (Mio fratello Augusto, Il pittore S. Silva).
La multiforme produzione di questi primi anni (disegni dal vero, medaglie, placchette, sculture, xilografie), in cui ricorrono soggetti legati al tema degli affetti familiari e a quello, di ascendenza cambellottiana, dei diseredati e degli umili, testimonia l’evolversi di una ricerca che, perseguita contemporaneamente nel disegno, nell’incisione e nella plastica, risente del clima di modernità e internazionalismo promosso dalle Secessioni, evidenziando una propensione per soluzioni di forte sintesi formale e architetture compositive basate su piani spigolosi e contrapposti, in un’ampia rielaborazione di stilemi secessionisti e suggestioni diverse (fra cui, oltre a Cambellotti, Medardo Rosso e Adolfo Windt), con esiti, spesso, non distanti da quelli coevi di Roberto Melli e Umberto Boccioni (Fabbri all’incudine, 1912 circa; Maternità, 1913; Giochi d’acqua, 1915; Ritratto di bimba (Angiolinella), 1915; Maschera di bimbo, 1915: Roma, coll. privata; ripr. in P. M., 1999, pp. 53 s.).
Nel 1915 si dedicò anche, per un breve periodo, alla pittura realizzando, in collaborazione con il pittore bergamasco Vittorio Manini, una serie di dipinti, ispirati perlopiù ai suoi familiari (Ritratto di bambino, Ritratto di Achille: Roma, coll. privata; ripr. ibid., pp. 27 s.; La madre: Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’arte contemporanea). Anche le opere frutto di tale esperienza, bruscamente interrotta forse in seguito al netto dissenso espresso da Cambellotti, testimoniano l’interesse per una costruzione volumetrica per piani e una sperimentazione sulle possibilità espressive e plastiche del colore, in una originale rimeditazione di esperienze postimpressioniste. Grazie a una segnalazione di Giuseppe Romagnoli, direttore della Scuola dell’arte della medaglia, nel 1915 entrò nello studio di Angelo Zanelli, che frequentò sino al 1923, collaborando con lo scultore bresciano all’esecuzione del fregio per l’altare della Patria. Risalgono a questi anni le prime sculture di un certo impegno, quali il busto di Fabio Filzi per il Pincio (1917), a cui seguirono quelli di Paolo Narducci, Augusto Valenziani (1921) e Raffaele Cadorna (1922) per il Gianicolo. Nel 1920 Ettore Cozzani firmò su Emporium il primo importante articolo monografico sul suo lavoro, invitandolo a dedicarsi con impegno alla xilografia. Nel 1921, difatti, Morbiducci presentò alla I Biennale romana, oltre a tre sculture, anche alcune xilografie eseguite per I racconti delle Cinque Terre dello stesso Cozzani, avviando un’intensa attività di illustratore che lo vide collaborare, nel corso degli anni successivi, con vari periodici (fra cui L’Eroica, Emporium e Le Arti decorative) e illustrare numerosi volumi. Cominciò anche a partecipare con regolarità a diversi concorsi per monumenti pubblici, vincendo nel 1924 il Concorso nazionale per cinque fontane da erigersi in Roma con il progetto per una fontana in piazza Mastrogiorgio, poi rielaborato per quella in piazza del Viminale (1931).
Instancabile lavoratore, fedele alla propria vocazione di artista-artigiano, Morbiducci continuò a declinare la propria versatile fabbrilità in molti campi diversi, dedicandosi anche all’arte applicata, come testimoniato, per esempio, dalle opere esposte, nel 1923, alla I Biennale delle arti decorative di Monza. Sempre intensa, inoltre, l’attività di medaglista grazie alla quale ottenne ampi riconoscimenti realizzando, fra l’altro, nel 1923, la medaglia per i volontari di guerra e la moneta da 2 lire per il Regno d’Italia, sul cui rovescio si trovò, per una serie di circostanze, a rielaborare la prima raffigurazione del fascio littorio (episodio che contribuì ad accreditarlo involontariamente come iconografo ufficiale del fascismo, nonostante al tempo l’artista aderisse ancora al partito socialista, la cui tesserà restituì solo nel 1925). Nel 1924 Ugo Ojetti lo invitò a partecipare alla Mostra internazionale di medaglie moderne a New York, dove espose due medaglie e tre placchette.
In sintonia con l’affermazione del nuovo clima di rappel à l’ordre, dopo la fase di «tutti gli estremismi», caratterizzata dalle audaci sperimentazione formali degli anni 1913-1915, a partire dal dopoguerra Morbiducci approdò a un linguaggio di maggior realismo plastico, maturato anche grazie all’ascendenza di Zanelli e, soprattutto, come sottolineato dallo stesso artista nelle proprie note autobiografiche, a un attento studio del passato e dei modelli della tradizione. Il delinearsi di tale orientamento, che avrebbe trovato piena espressione nelle opere della seconda metà degli anni Venti, è evidenziato sia dall’attività grafica, particolarmente intensa, sia da quella plastica, declinata come sempre in più registri, dal campo ridotto della medaglia sino a quello monumentale. Così, anche se le stilizzazioni e geometrizzazioni che caratterizzavano la produzione precedente permangono sino alla metà del terzo decennio, nei disegni il segno tende progressivamente ad ammorbidirsi delineando, con tratti curvilinei, la rotondità dei corpi, mentre la produzione scultorea evidenzia il ricorso a forme più compatte, di maggiore vigore plastico, spesso nutrite di riferimenti a modelli classici e rinascimentali, quali Giambologna, e di suggestioni déco.
Dalla seconda metà degli anni Venti l’attività di Morbiducci divenne sempre più intensa. Nel 1926 vinse il concorso nazionale per il Monumento ai caduti di Benevento, per la cui esecuzione si trasferì in un nuovo studio a Testaccio, dove lavorò sino alla fine della sua vita. Il monumento, eseguito con l’architetto Italo Mancini (con cui collaborò più volte nel corso degli anni successivi), fu la prima di una serie di impegnative opere a cui l’artista attese lungo tutto il periodo antecedente alla seconda guerra mondiale. Difatti, grazie alla «capacità, nel linguaggio monumentale, di farsi interprete di valori umani e popolari naturalmente ed immediatamente riconoscibili e come tali funzionali al culto del nuovo stato» (Cardano, in P. M., 1999, p. 20), a partire da questo momento fu impegnato in numerose committenze pubbliche, dividendosi fra le opere di carattere monumentale e una multiforme produzione nel campo della medaglistica, della grafica e delle arti applicate.
Una delle prime importanti commissioni, ottenuta grazie a Marcello Piacentini, fu la realizzazione, nel 1928, delle due porte di bronzo per il salone delle adunanze della casa madre dei Mutilati di Roma. Sempre nel 1928 eseguì una statua e una serie di lampade per il ministero della Pubblica Istruzione, realizzato da Cesare Bazzani, inaugurando una collaborazione destinata a protrarsi negli anni (sempre per Bazzani Morbiducci eseguì opere quali il gruppo di coronamento per la basilica di S. Maria degli Angeli ad Assisi, 1928; la Via Crucis in terracotta e la lunetta bronzea per la chiesa di S. Antonio di Predappio Nuova, 1931; le formelle decorative con Segni zodiacali per la torre del palazzo delle Poste di Viterbo, 1936).
Alla fine del decennio e all’inizio del successivo risalgono alcune delle sue opere più impegnative: nel 1929 gli venne affidata la realizzazione del Monumento ai caduti del sommergibile Sebastiano Veniero per il cimitero del Verano, inaugurato il 2 novembre 1930. Nel 1931, invece, si aggiudicò, su segnalazione di Mussolini (che ritenne il suo bozzetto il più idoneo a esprimere il carattere «popolare» del bersagliere) il concorso per il Monumento al bersagliere di Roma, a cui lavorò sino al 1932. Le due commissioni, ottenute nonostante l’estraneità a qualsiasi gruppo politico o movimento artistico, segnarono una tappa importante nella sua carriera, confermandone la particolare capacità di coniugare in una cifra altamente personale, senza scadimenti retorici o intellettualistici, sentimenti popolari e volontà celebrative ufficiali.
Negli stessi anni realizzò numerose altre opere di varia natura, fra cui la fontana di piazza della Cancelleria (1929), una serie di sculture decorative per i prospetti del palazzo dell’ISTAT a Roma (1931), un busto di Mussolini (perduto) e uno di Vittorio Emanuele III (1931), acquistato dalla Direzione generale degli italiani all’estero. Parallelamente si dedicò anche alla realizzazione di piccoli bronzi, alcuni dei quali esposti alla XCIII Esposizione degli amatori e cultori, e a quella di xilografie e medaglie, in cui prevale una tensione verso soluzioni di maggiore sintesi e semplificazione, di ascendenza déco, quali quelle per il I decennio della Vittoria, per il I decennale della guerra 1915-18 e per l’inaugurazione della via del Mare (tutte 1928). Di tale variegata produzione Morbiducci, mosso da una fervida curiosità e passione per il lavoro, curò in prima persona tutte le fasi realizzative, dal bozzetto fino alle esecuzioni finali in bronzo o in marmo, avvalendosi spesso, in questo ultimo stadio, dell’aiuto del futuro cognato Mario De Marchis.
La sua intensa attività proseguì anche nel corso degli anni Trenta, quando si divise fra numerose commissioni, sia pubbliche sia private, e l’attività didattica (dal 1933 sino al 1937 tenne il corso di plastica presso la scuola d’arte dell’istituto romano di S. Michele). Nel 1932 realizzò la sala per i Fasci italiani all’estero per la Mostra della rivoluzione fascista, per cui scolpì, in occasione del riallestimento presso la Galleria nazionale d’arte moderna nel 1937, anche i gruppi plastici La Rivolta e La Vittoria. In questi anni Morbiducci, iscrittosi nel 1933 al Partito nazionale fascista, si dedicò spesso alla realizzazione di incisioni, medaglie e sculture per anniversari e eventi celebrativi del regime, collaborando anche con statue e decorazioni, in gesso e altri materiali poveri, all’allestimento di mostre e esposizioni. Oltre a queste creazioni effimere, realizzò anche numerose opere a carattere monumentale di una certa importanza, fra cui il Monumento ai caduti di Bosa (1933), il completamento delMonumento al duca d’Aosta a Torino (1935-37), affidatogli su indicazione di Eugenio Baroni, autore dell’opera, e il Discobolo in riposo per lo stadio dei Marmi a Roma (1938). Coltivava intanto l’interesse per le arti applicate, ampliando le conoscenze tecniche grazie all’incontro, nel 1932, con Cesare Covre, con cui collaborò alla realizzazione di vetri incisi.
Questi anni furono segnati da una vivace attività espositiva, che lo vide partecipare soprattutto con la sua produzione medaglistica e grafica, e in misura minore con quella plastica, a numerose importanti rassegne, sia in Italia sia all’estero; come medaglista, difatti, prese parte alla I Quadriennale (1931), occasione in cui il suo medagliere venne acquistato dalla Galleria d’arte moderna Mussolini, alle edizioni del 1932, 1934 e 1936 della Biennale di Venezia e alla Mostra d’arte italiana dell’ ‘800 e ‘900 (Parigi, Jeu de Paume, 1935). Come scultore partecipò, invece, nel 1932 alla III Sindacale fascista (Ritratto del re, Madonna), nel 1939 alla III Quadriennale con Il Vincitore, esposta nello stesso anno anche all’Esposizione universale di New York accanto ad alcune sculture e bassorilievi in gesso (Italia, Roma, Venezia), e alla IV Quadriennale (Cavallo, Cavallo, David).
Nel 1937 fu nominato membro dell’Accademia di S. Luca. Nel 1939 si sposò con Nicoletta Olga De Marchis, da cui ebbe la sua unica figlia, Anna Maria (1940). Risalgono a questi anni le ultime opere monumentali, realizzate nel quartiere dell’EUR: nel 1939 gli venne commissionato il grande fregio marmoreo per palazzo degli Uffici e, nel 1940, uno dei gruppi dei Dioscuri per il palazzo della Civiltà italiana, la cui esecuzione fu sospesa per la guerra (l’artista portò a compimento le statue, semidistrutte dai bombardamenti, solo nel 1956). A tali opere ufficiali, caratterizzate da un sintetismo turgido e tratti duri e spigolosi, Morbiducci affiancò anche una produzione minore di piccoli bronzi, in cui le semplificazioni geometrizzanti del linguaggio ufficiale si stemperano in forme più morbide e allungate. Tornò, inoltre, a dedicarsi anche alla pittura, realizzando una serie di autoritratti, ritratti dei familiari, paesaggi e qualche natura morta.
Nel secondo dopoguerra Morbiducci, come molti altri artisti della sua generazione, attraversò un periodo di crisi e di difficoltà economiche, in parte causate dal suo intenso coinvolgimento nelle commissioni ufficiali del regime. Sebbene nel 1949 fosse fra i 12 selezionati per il concorso di secondo grado per la prestigiosa commissione per le porte della basilica di S. Pietro, a partire da allora iniziò a ridurre considerevolmente la propria attività. Nel 1952, inoltre, cominciarono a manifestarsi i sintomi di una lunga malattia che progressivamente gli causò la paralisi della mano destra. Nonostante ciò, continuò a lavorare, inaugurando una ricerca caratterizzata da forme meno monumentali e nuovi soggetti,
L’evoluzione di tale tendenza è evidenziata da medaglie e, soprattutto, piccoli bronzi in cui ricorrono temi mitologici e sacri. Così, se opere come L’igiene (1951) o Pomona (1952-53 circa), tutte in collezioni private romane (ripr., in P. M., 2009, pp. 122 s.) appaiono ancora caratterizzate da forme arrotondate e turgide, sculture quali Il grappolo (Il mangiatore d’uva; 1953), o L’eco (1953 circa), anch’esse in collezioni private romane (ripr. ibid., pp. 124 s.), tradiscono, nella elegante stilizzazione di forme affusolate e levigate, l’esigenza di rinnovamento che animò Morbiducci in questa ultima fase. Oltre a questa produzione più privata, in questi anni l’artista venne assorbito anche da diverse commissioni per opere di soggetto sacro quali, per esempio, il Calamaio d’argento per la firma del dogma dell’Assunta (1950) e il Crocifisso in ceramica per la chiesa del Crocifisso in via Bravetta a Roma (1953).
Nel dopoguerra prese parte alla vita artistica anche con ruoli organizzativi, partecipando, tra l’altro, alla commissione esecutiva per la Biennale di Venezia del 1952. Nel 1953 presentò un progetto per il Monumento a Pinocchio di Pescia, ideato insieme al nipote Achille, ultimo suo concorso pubblico. Espose intanto in diverse rassegne, soprattutto la sua produzione di medaglie. Nel 1956 tenne una personale presso la galleria la Gregoriana (Roma), in cui riunì la produzione pittorica del 1915 e alcune sculture. Nel 1959, invitato alla VIII Quadriennale ancora una volta come medaglista, riuscì invece, grazie ad accordi con Fortunato Bellonzi, a esporvi tre sculture (Narciso,Vox clamans, Pescatore).
Morì a Roma il 31 marzo 1963.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio privato Publio Morbiducci; Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, Archivio Ojetti; E. Cozzani, I giovanissimi: P. M., in Emporium, LI (1920), pp. 94-100; Secessione romana 1913-1916 (catal.), a cura di R. Bossaglia - M. Quesada - P. Spadini, Roma 1987, p. 301; Il corpo in corpo. Schede per la scultura italiana 1920-1940 (catal., Spoleto), a cura di B. Mantura, Roma 1990, pp.107-117; La capitale a Roma. Città a arredo urbano 1870-1945 (catal.), a cura di L. Cardilli - A. Cambedda Napoletano, Roma 1991; P. M. 1889-1963 (catal.), a cura di N. Cardano, Roma 1999; P. M. sculture dipinti disegni (catal., galleria Ricerca d’arte), Roma 2000; P. M. disegni (catal., galleria Bottarel & Foi), a cura di N. Cardano, Brescia 2007.