Scuola di pensiero economico, chiamata anche economia delle scelte pubbliche, che utilizza i metodi e gli strumenti della teoria economica per l’analisi dei processi politici finalizzati alle scelte collettive. La p., in particolare, fa suoi due paradigmi fondamentali della teoria economica, assumendo in tal modo connotati ben distinti rispetto alla tradizionale scienza della politica: il libero scambio di mutuo vantaggio fra i membri della collettività e l’obiettivo di massimizzazione della propria funzione di utilità da parte di ciascun agente. Il primo aspetto contribuisce a creare un diverso modo di guardare ai processi politici, non più intesi esclusivamente come manifestazione di coercizione e di potere o, in altre parole, di rapporti di forza, ma come rappresentazione della natura volontaristica delle scelte collettive. Senza voler negare o sottovalutare gli elementi coercitivi insiti negli assetti politici, l’ottica della p. è la teoria politica fondata sul paradigma del libero scambio. Il secondo aspetto enfatizza le motivazioni egoistiche per spiegare i comportamenti e gli interessi che operano all’interno dei processi politici. La combinazione del primo aspetto con il secondo crea l’economia delle scelte pubbliche, in cui molto rilievo viene dato alle diverse categorie di agenti che operano nei processi politici, e all’interazione tra questi gruppi: votanti, burocrati, partiti politici e così via. Lo sviluppo di tale teoria come un’area di studio autonoma si può far risalire già agli anni 1950 con l’opera di K.J. Arrow, che ha dato inizio a una vastissima letteratura relativa alla costruzione di una funzione del benessere sociale attraverso il sistema della votazione, cioè al problema dell’aggregazione delle preferenze individuali.
Un secondo filone lungo cui si è andata sviluppando la moderna letteratura della p. si riallaccia ai problemi del fallimento del mercato nell’allocazione delle risorse. Questa problematica (legata alla presenza di esternalità, di economie di scala, di beni pubblici ecc.) conduce allo studio di procedure di natura politica (le regole di votazione) capaci di rivelare le preferenze individuali quando il mercato non è in grado di adempiere tale funzione. Uno dei capiscuola della p. è l’economista statunitense J. Buchanan, a cui è stato conferito nel 1986 il premio Nobel per l’economia proprio come riconoscimento della portata innovativa di tale approccio. Approccio che ha trovato sviluppo soprattutto nella letteratura anglo-americana, grazie al contributo di molti studiosi tra cui G. Tullock, W. Niskanen, A. Downs, D. Black, A.K. Sen, M. Olson.
C’è da notare, tuttavia, che le radici della p. si possono ritrovare, già a partire dal 19° sec., proprio nella tradizione italiana della finanza pubblica, soprattutto con A. De Viti De Marco, M. Pantaleoni, A. Puviani, V. Mazzola, G. Montemartini, E. Barone, M. Fasiani. In particolare, alcune delle osservazioni di De Viti De Marco si possono considerare pionieristiche rispetto a molta letteratura moderna riguardante la democrazia rappresentativa e i problemi legati all’indivisibilità (o non escludibilità) dei beni pubblici. Alcune sue riflessioni anticipano inoltre il dibattito circa la misura in cui i processi decisionali politici sono in grado di riprodurre correttamente le preferenze individuali per i beni pubblici; sotto questo profilo, tali considerazioni precedono la vasta letteratura della p. che si è occupata dell’influenza delle regole di votazione, del ‘traffico’ dei voti, della competizione politica tra partiti, dei vari gruppi di pressione, della burocrazia e delle asimmetrie informative sulla domanda e sull’offerta di spesa pubblica.