Vedi PTOION dell'anno: 1965 - 1973
PTOION (Πτῷον, anche Πτῶον, Πτώϊον)
Celebre santuario di Apollo situato nelle montagne della Beozia, presso il burrone e la fonte di Perdiko-Vrysi, a breve distanza dal villaggio di Karditza, l'antica Akraiphia.
Lo scavo, iniziato dalla scuola francese, sotto la guida di M. Holleaux, nel 1884, prosegui con interruzioni fino al 1935, ma si attende ancora la pubblicazione definitiva. Il culto oracolare si impiantò presso una sorgente ed ebbe grande rinomanza specialmente in epoca arcaica; legato alle vicende delle due città da cui dipese, Akraiphia e Tebe, decadde al tempo di Alessandro per rifiorire nuovamente nel III sec. a. C. ed in epoca romana, ma non raggiunse mai l'antico splendore. Vi si celebravano feste e giochi sacri (Ptoia), ogni quattro anni, in occasione dei quali era istituita una tregua sacra. La località fu già sede di un insediamento preellenico, impiantato su una terrazza rocciosa che domina il tempio, con un'acropoli ellittica duplicemente cintata e un ingresso, volto verso la sommità della montagna, costituito da un corridoio, metà naturale e metà artificiale, incassato nella roccia e due volte sbarrato da muri. Dai piedi di quest'acropoli provengono frammenti di ossidiana.
Le rovine del santuario si distribuiscono nell'ambito di un peribolo di cui resta qualche traccia, su tre terrazze disposte a scala, dai piedi della montagna alla grotta con la fonte sacra, sede primitiva dell'oracolo. La terrazza superiore era occupata dal tempio di Apollo cui si accedeva dal basso a mezzo di una scalinata monumentale.
I resti attuali, che risalgono al IV-III sec. a. C., fanno riconoscere un tempio dorico, in pòros (11,65 × 24,72 m) con 8 × 13 colonne, stretta e lunga cella, profondo pronao con due colonne e senza opistodomo: dimensioni queste che per la loro arcaicità presuppongono un tempio molto più antico a cui l'attuale si sarebbe uniformato. Tale tempio doveva essere ligneo e giustifica la presenza delle numerose sculture (11 koùroi, teste, frammenti, bronzi, ecc.) qui rinvenute, databili fra il volgere del VII e l'inizio del VI sec. a. C. Ma, al di fuori di tale plausibile induzione, di questo tempio non resta alcuna traccia; gli unici avanzi arcaici rinvenuti sono delle parti di rivestimento e una tegola frontonale in terracotta con gorgonèion della seconda metà del VI sec.: in tale epoca, forse ad opera dei Pisistratidi, il primitivo edificio dovette subire delle ricostruzioni che portarono alla graduale sostituzione degli elementi lignei. Nel I sec. a. C. la terrazza del tempio ebbe qualche ulteriore assestamento con un prolungamento verso N-E del muro di sostegno e lo spostamento a N-E del muro di cinta. Tali mutamenti, rivelati dall'indagine archeologica, sono confermati da una iscrizione. Dinanzi al tempio, ad E, si apriva una vasta piazza ornata di monumenti e basi soprattutto di tripodi votivi. Da questa zona proviene anche la massima parte delle iscrizioni che dall'epoca dei Pisistratidi (VI sec. a. C.) giungono fino a quella di Diocleziano (III sec. d. C.). Fra i monumenti della piazza si notano una grossa costruzione di circa 10 m (altare?), e una costruzione absidata, forse il resto di una rampa che collegava il tempio con la grotta dell'oracolo e la fonte che si trovavano ad O del tempio. La grotta, parzialmente franata, scavata nella montagna e con blocchi in apparato ciclopico, conserva nell'interno i resti di un condotto metallico a cui corrispondono all'interno dei tubi in terracotta ed appare databile o nel VI sec., cioè contemporanea al tempio, o, anche, ad un'epoca ancora più antica.
Al disotto si trova la terrazza centrale occupata da due lunghi portici paralleli separati da una via intermedia, probabilmente contemporanei al tempio, ma costruiti sulle fondamenta di un edificio anteriore in pòros.
La terrazza inferiore è sostenuta da un muro in poligonale che crea al santuario una imponente facciata monumentale. Questa terrazza è occupata da una vasta cisterna rettangolare che sei muri dividono in sette camere adiacenti senza porte, ove erano raccolte le acque convogliate dalla fonte superiore. Tale complesso è contemporaneo esso pure al tempio e fa quindi parte di una vasta e scenografica sistemazione del santuario, posteriore alla distruzione di Alessandro Magno e da collegare invece probabilmente con la nuova attività edilizia di Cassandro e con la ricostruzione della lega beotica (316 a. C.). Ma al disotto di queste cisterne, coevo ad un grosso muro di terrazzamento in poligonale, di età arcaica, lo scavo ha liberato un altro vasto complesso idrico, con orientamento un po' diverso da quello delle costruzioni posteriori, conglobato nel riempimento della terrazza ellenistica e formato da una camera in apparato poligonale-arcaico del VI sec. a. C., con bacini rettangolari intercomunicanti.
Nel 1903, a mezza strada fra Karditza e Perdiko-Vrysi, nell'odierna località di Kastraki, fu scoperto un santuario dedicato all'eroe Ptoios, del quale Apollo aveva usurpato nome e influenza.
Non è raro il caso di assimilazioni di culti locali da parte di divinità maggiori, ma risulta invece del tutto singolare la coesistenza, alla distanza di circa un chilometro, di due santuarî distinti e rivali con lo stesso nome. Le genealogie leggendarie associano quest'eroe ai Mini: il suo culto deve essere quindi molto più antico di quello di Apollo, giunto tardi in Beozia, ma poiché il santuario di Perdiko-Vrysi serba tracce molto più antiche di quello di Kastraki - che risale appena al VI sec. a. C. - bisogna dedurne che il culto dell'eroe, impiantato dapprima a Perdiko-Vrysi, si trasferì a Kastraki solo quando i Tebani, impadronitisi del luogo, vi impiantarono il culto di Apollo: Kastraki rappresenta l'ultimo baluardo della città di Akraiphia, primitiva detentrice del santuario.
La dea kourotròphos, che si era accompagnata all'eroe, fu sostituita con Atena Prònaia, alla quale ultima era dedicato un recinto di cui non si conosce l'ubicazione, ma la cui esistenza è attestata da una serie di iscrizioni su vasi e bronzi. A Kastraki, su una terrazza sostenuta da un più tardo muro in apparato poligonale, sorge un piccolo tempio, periptero, della fine del IV sec. a. C. (contemporaneo quindi alla ricostruzione di Akraiphia), che ha la cella divisa nel senso della lunghezza da una fila di sei grosse basi quadrangolari che dovevano reggere delle colonne. Presso di esso sono stati trovati frammenti di terrecotte architettoniche fra cui l'ala di una sfinge acroteriale e una serie di terrecotte votive rappresentanti una dea femminile e databili dall'inizio del VI al IV sec. a. C. Il tempio attuale, quindi, dovette essere preceduto da un altro del VI sec. e dedicato alla dea femminile Kourotròphos (Demeter-Cabiria, Gea ecc.). Più in basso è una spianata rocciosa, con un altare quadrangolare in tufo coperto di ceneri al disotto del quale sono comparsi i resti di un altare rotondo, degli inizi del VI sec. a. C. Vi si trovano altresì un piccolo edificio rettangolare aperto ad E e un'altra costruzione più grande, in apparato poligonale, arcaica alla base dei muri, allungata da N a S, ma aperta anche sul lato lungo E con una fila di grossi pilastri. Provengono da questa zona figurine in terracotta rappresentanti un personaggio maschile. Lungo i due lati di un viale erano poi allineate le basi dei tripodi.
Cronologicamente tali basi, iscritte, sono state divise in due gruppi corrispondenti ai due altari, a due complessi di piccole offerte, e a due serie monetarie di Akraiphia: l'uno del VI sec. e l'altro del secondo trentennio del V sec. a. C. Fra i due intercorre un periodo di abbandono più o meno totale del santuario corrispondente a un periodo di sfortuna nella storia di Akraiphia. Con il IV sec. l'offerta dei tripodi scompare dal santuario di Kastraki per apparire in quello di Perdiko-Vrysi e ciò fa supporre che, al tempo della ricostituzione della confederazione beotica, finalmente i due culti si conciliassero e non è da escludere che nella nuova sistemazione architettonica del santuario ptoio vi fosse una zona riservata al culto dell'eroe spodestato.
Già si è accennato a un gruppo di sculture arcaiche rinvenute nel santuario di Perdiko-Vrysi; tra le più antiche sono due statue, l'una in pietra calcarea e l'altra in marmo, del tipo femminile postdedalico il cui più noto esemplare è la grande statua di Artemide dedicata da Nicandre a Delo, ma sono posteriori a questa per un più spiccato interesse alla tridimensionalità della figura. Il più notevole apporto, però, dello Ptoion alla storia della scultura greca in generale - e particolarmente al problema dello sviluppo della figura virile ignuda - è una serie di koùroi (almeno 11), offerte votive nel santuario, che si distribuiscono cronologicamente dall'inizio del VI al primo venticinquennio del V sec. a. C. (v. tebe, Museo).
Tali statue sono state classificate dalla Richter secondo un criterio cronologico e stilistico. In marmo insulare e locale molte di esse recano nella tecnica un po' legnosa, con spigoli bruschi e rigidi il segno del provincialismo beotico, ma gravitano in un ambiente di gusto attico. Dell'arte attica del VI sec. seguono l'itinerario, dal più antico esemplare, databile intorno al 590 a. C., che si affianca ai koùroi del Dípylon e del Sunio uniformandosi ad una analoga concezione astratta e geometrica del corpo umano, fino al più recente (Ptoion n. 20) che appartiene a quell'epoca a cavallo fra l'arcaismo maturo e lo stile severo, sulle soglie del V sec.; in questo un nuovo gusto plastico e una sensibilità quasi da opera di bronzista delle superfici attestano il contatto con artisti eginetici che rivelano i monumenti attici contemporanei.
Bibl.: S. Lauffer, in Pauly-Wissowa, XXIII, 1959, cc. 1506-78, s. v.; M. Holleaux, in Bull. Corr. Hell., VIII, 1884, p. 514; Ch. Diehl, En Grèce, Parigi 1890, pp. 189-202; G. Mendel-L. Bizard, in Bull. Corr. Hell., XXXI, 1907, pp. 185-207; G. Karo, in Arch. Anz., XXX, 1915, pp. 182-183; A. K. Orlandos, in Deltion, I, 1915, pp. 94-110; L. Bizard, in Bull. Corr. Hell., XLIV, 1920, pp. 226-262; id., ibid., XLVII, 1923, pp. 520-521; C. Weickert, Typen, Augusta 1928; Bull. Corr. Hell., LIX, 1935, pp. 271-275; Compt. Rend. Acad. Inscr. Bell. Lettres, 1935, pp. 194-195; P. Guillon, in Bull. Corr. Hell., LX, 1936, pp. 3-10; M. Feyel, ibid., LX, 1936, pp. 11-36; P. Guillon, ibid., LX, 1930, pp. 416-427; P. Guillon, Les Trepieds du Pt., Parigi 1943; id., in Bull. Corr. Hell., LXX, 1946, pp. 216-232; F. Matz, Gesch. d. gr. Kunst, Francoforte s. M. 1951, p. 196; R. Ginouvès, in Bull. Corr. Hell., LXXX, 1956, p. 115; G. M. A. Richter, Kouroi2, New York 1960.