PSICOLOGIA ANALITICA
. La p. a. di Jung va compresa sullo sfondo della psicoanalisi di Freud, poiché essa si è sviluppata nel discorso critico con quest'ultima.
Dalla psicoanalisi essa trae il concetto fondamentale dell'esistenza di un Inconscio. Ma mentre per Freud la rimozione dell'Inconscio è anzitutto a carico di rappresentazioni mentali di natura sessuale o aggressiva, Jung introduce il concetto che anche altre potenzialità della natura umana, e più specificamente qualità psichiche in sé positive, originali e individuanti, ma non accettate da una data famiglia o cultura, possono egualmente essere respinte nell'Inconscio. Se a ciò si aggiunge il secondo concetto fondamentale, che la Libido per Jung non è di natura specificamente sessuale, ma equivale a energia psichica in senso lato, si ha la prima distinzione fra psicoanalisi e p. a.: quest'ultima non si sforza di ridurre l'uomo a pulsioni istintive e a difese da queste. Mentre Freud e Adler collocano certe pulsioni (la sessualità nel primo, il bisogno di potenza nel secondo) al centro delle loro ricerche e della loro comprensione dell'uomo (il cui carattere appare quindi come una reazione alla pulsione fondamentale e alle sue vicissitudini), Jung ritiene di comprendere la totalità del divenire psichico. Di questo fa parte per es. anche lo spirito, o anche il bisogno religioso dell'uomo; la cui comprensione per Jung significa disposizione ad accettare l'autonomia implicita nella loro stessa presentazione cosciente. E poiché questi fenomeni vengono accettati da Jung nella loro interezza e attualità, la p. a. viene definita dallo stesso autore come anche "prospettica" e "sintetica", in opposizione al carattere esclusivamente "retrospettivo" e "analitico" del metodo freudiano.
I contenuti fondamentali della psiche umana sono per Jung i simboli. Ma con essi non intende i "segni" (sostituibili da formule razionali) di rappresentazioni istintuali, bensì le immagini dei grandi fenomeni dell'esistenza, come la maschilità, la paternità, la femminilità, la maternità, l'infanzia, la crescita, l'amore, la morte. Ciò che il pensiero rende in termini astratti, è raffigurato dall'Inconscio per via di immagini concrete. Nell'immagine simbolica è contenuto secondo Jung sempre qualcosa di piú di quanto non sia traducibile in razionalità; per cui l'analisi non consiste nella riduzione del simbolo al pensiero razionale, ma nell'amplificazione dell'immagine alle sue ripetizioni nei miti e nelle religioni dei popoli. Per comprendere meglio questo concetto di simbolo nella p. a., così centrale in tutto il pensiero di Jung, è bene considerarlo sullo sfondo del pensiero freudiano. Per Freud il simbolo è in fondo un segno, che precede il concetto. L'incapacità del bimbo di distinguere concetti fra loro fa sì che egli, per es., in un certo stadio del suo sviluppo, denomini "Wau-Wau" tutti gli animali, o dia a tutti gli oggetti appuntiti o cavi le stesse denominazioni infantili che ai genitali maschili e rispettivamente femminili. Una siffatta denominazione, estesa quindi dal genitale a tutte le cose, è per Freud il simbolo. Esso rimane depositato nello strato infantile della psiche adulta e viene quindi compreso, anche nell'adulto, riduttivamente: "torre" significa per Freud infatti "fallo", "cantina" significa "vagina".
Per Jung "torre" significa invece "orgoglio", "isolamento", "difesa verso l'esterno"; "cantina" significa "oscurità", "inconscio", "maternità"; ossia, il significato simbolico dell'oggetto viene estratto da questo sulla base della percezione delle qualità immanenti a esso come la sua spazialità, la sua funzione, ecc., e non sull'assunzione che esso sia l'abbreviazione semantica di un concetto. Mentre Freud tende quindi a ridurre un "simbolo" alle sue premesse semantiche, Jung comprende il simbolo amplificandolo, osservando cioè quante immagini simili (di difesa, orgoglio, oscurità, per rimanere nel contesto dell'esempio) gravitano, nella mente del paziente e del suo analista, intorno al simbolo. Mentre quest'ultimo viene scisso da Freud in componenti razionali, Jung vede nelle varie immagini che ruotano intorno al simbolo l'espressione di un modo di essere, la cui essenza sta nell'immagine stessa, nel simbolo, e viene tradita dalla riduzione concettuale. Cosí, tutta l'analisi junghiana è volta a far vivere al paziente il senso della sua esistenza, del suo cammino di vita, le immagini che lo costellano, e non al riportare un sintomo psichico su certi "meccanismi" genetici.
I simboli sono per Jung dei mediatori fra l'Inconscio personale e quello collettivo, in quanto permettono all'individuo di vivere nelle sue varianti individuali le situazioni tipiche dell'uomo. Inoltre essi sono dei "trasformatori di energia psichica", la quale trapassa, attraverso l'apparizione del simbolo, da uno stato puramente energetico a uno formale, o strutturale; impedendo la regressione, che "con la nascita del simbolo... si trasforma in progressione" (Jung).
L'emergenza del simbolo pone alla coscienza il compito di comprenderlo, come la forma in cui le alternative di coscienza e d'Inconscio confluiscono (coincidentia oppositorum) in una soluzione, che viene "proposta" al soggetto per le sue scelte. "Se ciò non avviene, spiega Jung, allora il processo d'individuazione va avanti lo stesso, solo che noi ne diventiamo le vittime, veniamo trascinati dal destino verso quelle mete, che avremmo potuto raggiungere a statura eretta se avessimo avuto la pazienza e il tempo di comprendere i numina del cammino fatale" (si noti il linguaggio figurativo e "mistico" di Jung in alternativa a quello scientifico e razionale di Freud).
Per comprendere quest'ultima immagine di Jung, valga questo breve esempio: un individuo fortemente introvertito reprime ogni bisogno di contatto sociale, in seguito a certe sue ansie neurotiche. Egli va incontro a un episodio psicotico, in cui delira di trovarsi in una stanza a vetri e di essere spiato dall'intera città. Il bisogno di contatto, dissociato dalla coscienza, e non compreso nei simboli onirici, finisce con l'imporsi a quella stessa coscienza che gli resiste sotto forma di delirio di persecuzione. L'unità della psiche è vissuta sotto forma di conflitto cosciente.
Esistono immagini, che con varianti individuali si ripetono in tutti i singoli, in tutti i luoghi, i tempi e le culture. Jung definisce tali immagini (che, in concetti affini, Platone chiama "Idee", che i filosofi medievali chiamano "nomina", che Jaspers definisce come "cifre dell'esistenza") "archetipi". Egli ritiene che questi rappresentino la sedimentazione, cristallizzazione delle esperienze degli avi, e siano quindi di natura ereditaria. Non le esperienze in sé vengono ereditate, ma le categorie aprioristiche che rendono possibili le esperienze individuali. "Io concepisco come archetipo... una qualità strutturale o condizione che è caratteristica della psiche legata in qualche modo con il cervello". L'ordine strutturale dell'archetipo può dunque essere considerato anche sotto l'aspetto biologico: e il ben noto biologo A. Portmann, molto vicino qui al pensiero junghiano, scrive infatti che "esistono immagini arcaiche preformate ereditariamente nei vissuti sia dell'uomo che degli animali"; e che "l'attività biologica nel sistema nervoso centrale animale rivela strutture le quali sono ordinate in modo formale e possono mobilitare azioni caratteristiche delle specie".
L'insieme degli archetipi costituisce l'Inconscio collettivo, comune cioè a tutti, e che si distingue, piú nettamente che in Freud, dall'Inconscio individuale, frutto di esperienze biografiche personali.
Fra gli archetipi fondamentali Jung ha studiato in particolare quelli che egli definisce l'ombra, l'anima e l'animo. L'ombra (ted. Schatten) è quella parte del Sé, che contraddice l'auto-identità cosciente del soggetto, rappresenta cioè quello che egli ritiene di non essere e teme di essere.
La scoperta dell'ombra nel corso dell'analisi ridà alla psiche quell'universalità che è limitata dalla società; aumenta la tolleranza dell'individuo per il proprio Inconscio, sottolinea il rilievo di ciò che per contrasto è l'ideale cosciente; e protegge infine la coscienza dal pericolo di essere, soprattutto nelle psicosi, sommersa dai contenuti non affini all'Io.
L'anima fa parte dell'Inconscio maschile, e costituisce la sua parte femminile, intuitiva, sensitiva, che nella nostra cultura viene rimossa come non sufficientemente virile. L'anima è l'immagine archetipica della donna, che permette all'uomo d'incontrarla e di riconoscerla nelle sue varianti individuali; essa è anche una proiezione della propria femminilità inconscia.
L'animo fa invece parte dell'Inconscio femminile. Poiché nella coscienza della donna predominano, nella nostra cultura, proprio quelle qualità del sentimento e dell'intuizione, che invece nell'uomo vengono rimosse, sono allora le qualità maschili, i pensieri e le convinzioni, che costituiscono l'animo. Come gli archetipi fanno parte dell'Inconscio collettivo, così esistono egualmente nella coscienza elementi comuni a tutti gl'individui, convenzioni imposte attraverso la società a tutti. Essi sono i ruoli, le maschere dell'auto-identità, che Jung riassume nel concetto di persona (latino, per "maschera") e che nascondono all'individuo il suo vero Sé.
Se tali concetti possono risultare utili in certe analisi in cui un eccesso di adattamento all'ambiente toglie all'individuo l'espressione di talune sue immanenti potenzialità, è pur vero che Jung non vede qui abbastanza bene come i processi di socializzazione "costituiscono" l'individuo, e vengono oggi presi maggiormente sul serio quali fondamenti assai reali, anche se alienanti, del sé umano.
La scoperta del Sé, che va liberato dalle incrostazioni della "persona" e dalle proiezioni degli archetipi, ossia l'individuazione, è la meta fondamentale dell'analisi junghiana. Essa procede soprattutto attraverso l'esame dei sogni, che in mille figurazioni mostrano l'evoluzione di questo Sé, e che vanno compresi dal paziente attraverso il raffronto con i miti, le fiabe, le grandi immagini delle culture antiche e le formule dell'alchemia.
L'Io junghiano corrisponde dunque all'Io inconscio di Freud; ma il suo recupero non equivale solo al superamento di resistenze neurotiche, ma anche, in senso mistico-religioso, alla scoperta del vero tesoro dell'esistenza.
Tale scoperta dell'esistenza nell'individuazione assume nel pensiero junghiano un'importanza maggiore che lo studio propriamente medico delle sindromi e dei sintomi nervosi; anche se, tuttavia, sono proprio le forme mentali più gravi, le psicosi schizofreniche, quelle che maggiormente mostrano l'Inconscio collettivo, e dal cui studio ha tratto le sue origini la p. analitica.
Nel processo analitico, terapeuta e paziente si trovano sullo stesso piano: la confrontazione con i grandi simboli della psiche fa crescere entrambi, ed essi, i due protagonisti di tale grande avventura, stanno faccia a faccia, senza il classico lettino freudiano.
L'attenzione rivolta da Jung al terapeuta come oggetto patico del processo terapeutico (e non soltanto come "specchio del paziente", come voleva Freud) ha portato alla scoperta del controtransfert; concetto, questo, oggi universalmente adottato da tutti gli psicoanalisti, anche e soprattutto di scuola freudiana, ma nato essenzialmente nella tradizione junghiana (sebbene non sviluppato metodicamente nell'ulteriore pensiero della p. analitica). Le vicissitudini psichiche del paziente sono, in questa luce, in gran parte una conseguenza e un riflesso delle vicissitudini della psiche terapeutica, la quale non può condurre, come ci dice Jung, quella del paziente al di là del confine che essa stessa ha raggiunto.
Mentre Freud, e con lui i suoi allievi, hanno dedicato particolare attenzione allo studio minuzioso delle difese erette dalla coscienza contro i contenuti repressi - la cui struttura, patologica o meno, costituisce il carattere dell'individuo - Jung ha già studiata la polarità della psiche umana. Tale psiche è per lui costruita in senso dialettico, in una continua contrapposizione di Inconscio e Coscienza, di Estroversione e Introversione, di pensiero e sentimento.
Anche l'estroversione e l'introversione si comportano fra loro in senso compensatorio: nell'individuo estravertito è introvertito l'Inconscio, in quello introvertito è estrovertita la coscienza.
Un equilibrio delle polarità è il fondamento della salute psichica, ed è garantito dalla funzione regolativa della psiche, che Jung chiama "compensazione". Quando nell'organizzazione della psiche prevale invece un polo sull'altro (un eccesso di razionalità, d'introversione, di estroversione, ecc.), compaiono sogni contrastanti, e talora ansiogeni, o sintomi neurotici, o infine episodi psicotici, che tendono a ristabilire l'equilibrio psichico.
Mentre però i sogni, soprattutto quelli accessibili (attraverso l'analisi) alla comprensione, permettono l'equilibrio nell'armonia dell'individuazione, le eruzioni psicotiche dell'Inconscio collettivo minacciano la sussistenza del Sé. Fra i sogni del normale e i sintomi neurotici e psicotici del malato, stanno le "visioni " e le grandi esperienze mistiche degl'individui straordinari, che di volta in volta, a seconda dell'osservatore, possono essere intese come di natura patologica (per es. isterica) o come forme d'individuazione.
Non vi ha dubbio che la messe del pensiero junghiano non è rimasta confinata alla p. a. da lui fondata, ma ha dato validi contributi, anche se non sempre esplicitamente riconosciuti, alla psicoanalisi, con i concetti di complesso e di controtransfert; alla psichiatria esistenziale, con la concezione dell'individuazione; alla psicoterapia tutta, con il particolare rispetto per il malato e per le parti apparentemente patologiche di lui, ma in realtà portatrici delle sue qualità migliori; alla psicoterapia delle psicosi, di cui Jung è stato l'antesignano; alla sociologia delle neurosi, con le osservazioni, che non sono soltanto le "fissazioni libidiche" a predisporre ai traumi neurotici, ma anche le personalità dei genitori e le costellazioni famigliari; alla scienza delle religioni, attraverso la scoperta della componente psicologica in esse; allo studio psicologico dei simboli nelle piú varie scienze dello spirito. La preoccupazione junghiana per l'intensità dei vissuti nel processo analitico, e la sua preoccupazione per l'erudizione mitologica, non gli ha tuttavia permesso uno studio sistematico né della tecnica analitica, né del transfert, a cui la psicologia analitica dedica troppo poca attenzione.
Un limite del pensiero junghiano sta inoltre nel suo stesso sforzo di comprendere a livello di scienza naturale la totalità dell'esistenza. Questo impegno dell'autore emerge dalla sua frase, che "la scoperta dei fondamenti archetipici universali mi ha dato il coraggio di considerare come oggetto di scienza naturale, come fatto psicologico, ciò che è stato creduto da tutti gli uomini, in tutti i luoghi e in tutte le epoche" (quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est). Jung considera ciò come "un fenomeno indipendentemente dal significato metafisico che ad esso è stato connesso". Mentre Jaspers parla del fenomeno dello spirito come di una "cifra della trascendenza", ritenendo quindi che il "significato metafisico non può essere dissociato dal fenomeno", Jung tende, almeno concettualmente, a ridurre l'intera esistenza al piano di scienza naturale, pur non escludendo la possibilità di una trascendenza, che struttura la psiche umana.
Bibl.: Vedi, oltre l'opera omnia di Jung, in particolare per le citazioni testuali: C. G. Jung, Ueber die Psychologie des Unbewussten, Zurigo 1916/1943 (trad. it., Roma 1947); id., Psychologie und Religion, ivi 1947 (trad. it., Milano 1948); id., Antwort auf Hiob, ivi 1952 (trad. it., Milano 1965); A. Portmann, Das Problem der Urbilder in biologischer Sicht, in Eranos Jahrbuch, 1950, n. 19, pp. 413-32.