Profondo rosso
(Italia 1974, 1975, colore, 123m); regia: Dario Argento; produzione: Salvatore Argento per Seda; sceneggiatura: Bernardino Zapponi, Dario Argento; fotografia: Luigi Kuveiller; montaggio: Franco Fraticelli; scenografia: Giuseppe Bassan; costumi: Elena Mannini; musica: Giorgio Gaslini, Goblin; effetti speciali: Germano Natali, Carlo Rambaldi.
Un bambino e un omicidio, ombre su una parete. Una medium sta dimostrando i suoi poteri alla platea quando avverte una presenza maligna. Poco dopo viene uccisa da un killer misterioso. Un musicista jazz di nome Marcus Daly assiste al delitto da lontano assieme all'amico Carlo, si precipita per salvare la donna ma non arriva in tempo. L'uomo è ossessionato da ciò che ha visto e, con l'aiuto della giornalista Gianna Brezzi, comincia a svolgere un'indagine parallela alle ricerche ufficiali della polizia. Dopo aver parlato con un parapsicologo e con la vecchia madre dell'amico Carlo, Marcus è minacciato dal killer ma riesce a sfuggirgli. Continua a indagare e scopre un libro che lo rimanda a una vecchia villa dove, anni prima, si è consumato uno spaventoso delitto. Ma l'autrice del libro viene trucidata, e con lei il parapsicologo che ha saputo dalla scrittrice morente il nome dell'omicida. Marcus riesce a risalire alle origini dell'antico delitto, seguendo il filo di un disegno infantile. Mentre si trova in una scuola deserta con Gianna, è costretto ad affrontare colui che pare essere il colpevole, ovvero Carlo. Gianna viene ferita, ma il suo assalitore resta ucciso da un camion che lo travolge durante una fuga disperata. Per la polizia il caso è risolto, ma non per il musicista, nel cui sguardo si è fissato qualcosa che non riesce a ricordare. Si reca perciò ancora una volta nel luogo in cui è stata uccisa la medium, e qui si rende conto di aver visto riflessa in uno specchio la madre di Carlo che si nascondeva alle sue spalle. La donna, psicologicamente disturbata, uccise il marito che la voleva rinchiudere e ora si presenta minacciosa davanti a Marcus, decisa a punirlo per avere causato la morte di suo figlio. Armata di mannaia, riuscirebbe nel suo intento se la catenina che porta al collo non si fosse impigliata nelle porte dell'ascensore. A Marcus, ferito, non resta che premere un pulsante per decapitare l'efferata assassina.
Profondo rosso è il primo vero 'classico' della carriera di Dario Argento. Baciato dal successo già al primo film, L'uccello dalle piume di cristallo (1970), il regista romano aveva proseguito nel segno di una definizione paternalistica e riduttiva (sostanzialmente quella di 'Hitchcock all'italiana') con altri due thriller piuttosto simili al primo, grazie ai quali si comporrà la cosiddetta 'trilogia degli animali' (Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio, entrambi del 1971). L'esigenza di un cambiamento e di un riconoscimento autoriale lo porta quindi, per la prima e unica volta, a uscire dai generi a lui più congeniali. Ma Le cinque giornate (1973) è un fallimento sotto tutti gli aspetti e Argento sente il bisogno di dimostrare il proprio valore, recuperando e sistemando i fili del discorso lasciato in sospeso.
Scritto con lo sceneggiatore Bernardino Zapponi ‒ caro a Fellini ‒ Profondo rosso risulterà essere una sorta di catalogo stilistico e tematico delle ossessioni del suo autore, nonché una brillantissima maniera per chiudere i conti con il passato e gettare un ponte verso la successiva evoluzione in chiave horror. Si comincia proprio dall'omaggio hitchcockiano, con la coppia assassina composta da madre e figlio ‒ legati da morbosissimo affetto ‒ e le reminiscenze di traumi infantili che perseguiteranno le generazioni a venire: come dire, si comincia citando Psycho e Marnie (1964). Immediatamente, però, la psicanalisi generica del maestro viene a confondersi nelle torbide acque della parapsicologia, e l'impulso omicida rivela un fondo soprannaturale di stampo diabolico. Prima ancora delle streghe di Suspiria (1977) e delle sataniche apparizioni di Inferno (1980), l'assassino di Profondo rosso, ancorché apparentemente in carne e ossa, possiede doti di ubiquità, onniscienza e implacabilità del tutto sovrumane (specie se pensiamo che si tratta di un'anziana e inerme signora). Il teatro delle sue imprese, per le quali Argento dispiega tutto il suo talento figurativo e la sua immaginazione, è quello di una Roma spettrale, resa ancor più perturbante da contaminazioni torinesi (altra città in cui si svolgono le riprese del film), cui si aggiungono vecchie ville diroccate e interni postmoderni, il tutto condito da frequenti riferimenti pittorici all'iperrealismo di Edward Hopper, al tardo espressionismo di Edvard Munch o alla forzata naïveté della pittura da strada contemporanea.
Dentro a questo scenario, ritmato dalla musica di Giorgio Gaslini e dei fedeli Goblin che riprendono nenie infantili e le sviluppano elettronicamente in direzioni orrorifiche, c'è una messa in scena sontuosa e barocca. L'omicidio diventa occasione di performance fantasmagoriche (i riferimenti al precinema ‒ ad esempio nelle ombre cinesi del prologo ‒ sono una costante del cinema di Argento) che finiscono per sublimare il materiale grandguignolesco in virtuosismo registico, grazie anche alle interpretazioni di attori, per lo più di provenienza teatrale, di altissimo livello. Fra essi spicca, naturalmente, David Hemmings, citazione vivente da Blow- up di Michelangelo Antonioni che costituisce il principale punto di riferimento di questo film. Prima di tutto, infatti, Profondo rosso è la storia di un uomo che assiste casualmente a un avvenimento, sa di avere visto qualcosa di essenziale ma, non riuscendo a far affiorare il dettaglio decisivo, indaga per colmare una lacuna della propria memoria fotografica. Una riflessione sulla natura dell'immagine cinematografica e sul rapporto complesso che la lega alla psiche dello spettatore, riflessione sul rimosso che viene tematizzata e ruota dunque su se stessa in modo straordinariamente armonico. Per questo il film ha dato vita a una serie impressionante di tentativi di imitazione ‒ alcuni peraltro ottimi (da La casa dalle finestre che ridono, Pupi Avati 1976, a Shock, Mario Bava 1977) ‒ e ha indotto il suo autore a realizzarne una sorta di sequel mascherato a distanza di circa venticinque anni (Nonhosonno, 2001).
Interpreti e personaggi: David Hemmings (Marcus Daly), Daria Nicolodi (Gianna Brezzi), Gabriele Lavia (Carlo), Clara Calamai (Marta, madre di Carlo), Glauco Mauri (professor Giordani), Eros Pagni (commissario Calcabrini), Macha Méril (Helga Ullman), Giuliana Calandra (Amanda Righetti), Piero Mazzinghi (Mario Bardi), Nicoletta Elmi (Olga), Aldo Bonamano (padre di Carlo), Jacopo Mariani (giovane Carlo), Liana Del Balzo (Elvira), Fulvio Mingozzi (agente Mingozzi), Mario Scaccia (uomo alla conferenza di parapsicologia), Glauco Onorato.
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