profondita
profondità [Der. del lat. profunditas -atis, da profundus "profondo"] [LSF] (a) Generic., una delle dimensioni di un corpo, da precisare di volta in volta; così se, come spesso si fa, si chiama altezza la dimensione lungo la verticale e larghezza una delle due dimensioni orizzontali, la p. è l'altra dimensione orizzontale (per es., la p. dell'estuario di un fiume, con riferimento alla penetrazione del fiume dentro la costa). (b) Meno generic., la dimensione lungo la verticale; tale uso è quello esclusivo per oggetti cavi, spec. se si sviluppano verso il basso, come recipienti, bacini naturali e simili: p. di un pozzo, del cratere di un vulcano, di un fiume, di un lago, del mare, di un oceano, ecc. (c) Con signif. figurato, l'intensità di certi fenomeni e l'ampiezza di certe grandezze, con riferimento alla forma di diagrammi rappresentativi (per es., la p. di modulazione: v. oltre). ◆ [OTT] P. di campo: per un obiettivo (di una macchina fotografica, di un microscopio, un telescopio, un proiettore, ecc.) che sia stato messo a fuoco su un oggetto è la misura dello spostamento massimo che l'oggetto può subire parallelamente a sé stesso lungo l'asse ottico dell'obiettivo senza apprezzabile deterioramento della messa a fuoco (superato che sia tale spostamento massimo, occorre invece regolare di nuovo l'obiettivo: si tratta di una grandezza definibile soltanto in termini di tolleranza di perdita di nitidezza). Tale p. misura quindi, per ogni regolazione di distanza, l'intervallo di distanze tale che di tutti gli oggetti compresi in esso l'obiettivo dà immagini sensibilmente ben a fuoco; a parità di ogni altra condizione, è tanto maggiore quanto minore è l'apertura relativa del-l'obiettivo (rapporto tra il diametro del diaframma di campo e la distanza focale); nella tecnica fotografica, su questo fatto è basato il funzionamento delle macchine fotografiche economiche, cosiddette "a fuoco fisso", nelle quali l'obiettivo è fortemente diaframmato e dà immagini accettabilmente nitide di oggetti entro un grandissimo intervallo di distanze (per es., da 2 m all'infinito), potendosi quindi fare a meno, per le riprese ordinarie cui tali macchine sono destinate, di organi di messa a fuoco. ◆ [OTT] P. di fuoco: per un obiettivo (di una macchina fotografica, un telescopio, ecc.) lo spostamento che può subire rispetto al-l'obiettivo il piano di utilizzazione dell'immagine (qual è quello della pellicola o della lastra in applicazioni fotografiche) parallelamente a sé stesso e lungo l'asse ottico, senza che venga meno apprezzabilmente la nitidezza dell'immagine del-l'oggetto su cui è stato regolato l'obiettivo; come per la p. di campo (v. sopra), questa p. aumenta al diminuire dell'apertura relativa dell'obiettivo; non ha rilevanza pratica nelle applicazioni fotografiche normali, dato che in queste la distanza relativa del piano della pellicola dall'obiettivo è fissa. Taluni usano la locuz. p. di fuoco come equivalente della precedente p. di campo. ◆ [OTT] P. di fuoco di microscopi ottici: v. microscopia ottica: III 857 c. ◆ [ELT] P. di modulazione: nella modulazione di segnali per la trasmissione di informazioni, il rapporto, spesso percentuale, tra l'ampiezza del segnale modulante e quella del segnale portante: → modulazione. ◆ [EMG] P. di penetrazione: la p. alla quale l'intensità di un campo elettromagnetico che incida ortogonalmente sulla superficie di un conduttore si riduce nel rapporto exp(-1)²0.37 rispetto al suo valore sulla superficie. ◆ [GFS] P. equivalente: nella fisica dell'atmosfera, v. maree atmosferiche: III 620 d. ◆ [ASF] P. ottica media: v. atmosfere stellari: I 268 d. ◆ [FSP] P. sotto roccia: v. radiazione cosmica: IV 658 e. ◆ [FME] P. terapeutica: v. radiazioni ionizzanti, terapia con: IV 675 a. ◆ [STF] [MCF] Metodo delle basse p.: v. onde elastiche nei liquidi: IV 269 c.