PRESUNZIONE (lat. praesumptio; fr. présomption; sp. presunción; ted. Vermutung; ingl. presumption)
Diritto romano. - Questa parola, in senso tecnico giuridico, designa un mezzo di prova, il quale consiste in un'argomentazione dell'esistenza probabile di un fatto incerto da quella di uno certo; argomentazione fondata, a sua volta, su quelle convinzioni generali, comuni a tutti gli uomini, innate e naturali, che gli stoici dissero κοιναὶ ἔννοια o προλήψεις e i Latini: opiniones communes o praesumptiones. Nelle fonti giuridiche la presunzione si presenta distinta in due categorie, perché, mentre in alcuni casi il giudice è tenuto ad argomentare dall'esistenza di alcuni fatti quella probabile di un altro, ossia ad ammettere come esistente il fatto da provare (presupposto della ragione che una parte fa valere in giudizio) quando, invece di questo, ne siano provati altri differenti, in altri casi quell'obbligo manca e le presunzioni consistono allora in mere argomentazioni, vincolative soltanto per la loro forza di verosimiglianza. La scuola, con designazione di origine bizantina, ha chiamato praesumptiones iuris o "legali" quelle del primo gruppo e praesumptiones hominis o facti quelle del secondo, riconoscendo appunto, come criterio distintivo delle une dalle altre, la circostanza che, mentre nelle seconde la legge lascia libero l'apprezzamento al giudice, per le prime invece stabilisce a priori l'efficacia probatoria. Una distinzione ulteriore, che riguarda il gruppo delle presunzioni legali, è quella tra praesumptiones iuris tantum e praesumptiones iuris et de iure. Con le prime la legge ordina al giudice di ammettere come esistente il fatto da provare, soltanto alla condizione che la parte, contro la quale il fatto stesso si fa valere, non dia la prova del contrario; con le seconde, invece, la legge ordina quell'ammissione senza possibilità di controprova. Questa circostanza però toglie alle presunzioni del secondo gruppo il carattere di mezzo di prova, proprio del concetto tecnico, per ridurle in realtà a norme di diritto materiale. Quindi esse esulano dal concetto tecnico giuridico di presunzione. Se si guarda all'effetto processuale delle presunzioni, quelle hominis, come si è detto, possono essere prese in considerazione dal giudice, soltanto se esse, a suo parere, hanno un certo grado di verosimiglianza; le praesumptiones iuris, invece, liberano la parte, che in giudizio afferma a suo favore l'esistenza di un fatto, dalla prova diretta di questo; ciò non vuol dire però che la liberino completamente da ogni prova. Alla stessa parte incomberà sempre di provare quelle circostanze dalle quali il giudice dovrà argomentare l'esistenza del fatto affermato; in altre parole, le praesumptiones iuris mutano solo il thema probationis. L'espressione praesumptio, nel senso tecnico suddetto, non pare estranea al linguaggio degli ultimi giuristi classici, mentre non pare che i medesimi abbiano distinto quel concetto, cui la scuola ha dato poi il nome di praesumptio iuris. Questa osservazione non risalga all'epoca del diritto classico. La praesumptio Muciana (Dig., XXIV,1, de don.,1), consolidatasi in vera e propria praesumptio iuris, ossia in norma di diritto diretta al giudice, già molto prima dell'imperatore Alessandro Severo (Cod., V, 16, de don., 6,1) e lo svolgimento storico, che portò all'istituto della tacita costituzione di dote, ne sono le prove più certe. Nondimeno per il diritto classico queste presunzioni legali costituiscono rare eccezioni, giacché, per principio generale, nel sistema della procedura ordinaria del periodo classico il giudice è pienamente libero nell'apprezzamento dei mezzi di prova. La quasi totalità delle presunzioni legali, che si trovano nelle raccolte giuridiche, sono perciò o di origine postclassica, oppure giustinianea. Guardando alle fonti creative delle presunzioni legali, constatiamo che un gran numero di esse, nell'epoca pregiustinianea, ma postclassica, si formano in conseguenza dell'uso che delle antiche fonti di diritto si fa nei tribunali (v., ad es: Paolo, Sent., 3, 6, 60). Altre presunzioni, finalmente, devono la loro origine all'opera legislativa dei commissarî di Giustiniano. Quanto alle scuole bizantine, occorre tener presente che, non avendo esse facoltà di creare diritto, non possono aver dato origine a praesumptiones iuris. Viceversa il campo, ove esse hanno operato molto è stato quello delle cosiddette tacite o fittizie manifestazioni di volontà, figure di puro valore teorico, cui dalle stesse scuole è stato esteso il nome di praesumptio. Cosicché questo nome ha assunto una varietà di significati, varietà che si ritrova, appunto, nel molteplice uso di πρόληψις (praesumptio), che mostrano le fonti greche. Se si considerano, poi, gli effetti, che le presunzioni legali hanno avuto nello svolgimento del diritto sostanziale, si osserva che per loro mezzo si sono completamente estinte le antiche forme dei negozî iuris civilis, quali la stipulatio, la manomissione per testamento, la costituzione di dote. Altro loro importante effetto è stato il definitivo e universale trionfo dell'interpretazione ex voluntate in contrapposto a quella ex verbo in ogni genere di negozî giuridici. In quest'ultimo svolgimento le praesumptiones iuris del periodo postclassico hanno sostituito l'opera interpretativa ed evolutiva dei giuristi e degl'imperatori dell'epoca classica. Finalmente hanno servito per attuare, favorendo dati rapporti, alcuni postulati della nuova aequitas.
Diritto intermedio. - Caduto nel periodo barbarico il principio romano che l'onere della prova spetta a chi afferma l'esistenza del fatto, sul quale fonda la sua ragione, e considerata la prova (che di solito consiste nel giuramento di avere il diritto dalla propria parte) come un vantaggio, lo stabilire chi fra due contendenti possa prestarla si fa in base a presunzioni hominis, che l'uso ripetuto finirà col cristallizzare in vere presunzioni legali. Soprattutto nel diritto germanico la presunzione serve per l'ammissione non tanto di un fatto, quanto di un rapporto giuridico contestato. Nell'epoca del diritto comune la tendenza a disciplinare con regole fisse tutto lo svolgimento del processo porta a un regolamento giuridico non soltanto dei singoli mezzi di prova, ma, per ciò che interessa il nostro tema, a ridurre fatti, che potevano valere come semplici indizî di casi concreti, a vere e rigide praesumptiones iuris. Il loro numero, per conseguenza, si accresce di continuo e l'opera dei giuristi, a partire dai glossatori, è volta, principalmente, alla loro classificazione e a stabilirne il diverso valore rispetto alla prova. Grande importanza assume la praesumptio iuris soprattutto per l'attribuzione dell'onere della prova, il quale, secondo la dottrina dei glossatori, spetta di regola a chi ha contro di sé una presunzione.
Bibl.: A. Alciato, Tractatus de praesumptionibus, Basilea 1571; I. Menochio, De praesumptionibus, Ginevra 1685; H. Burkhard, Die civilistischen Präsumptionen, Weimar 1866; O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, in Zeitschrift der Savigny-Stift. für Rechtsgesch. (romanist. Abt.), VII (1888), p. 70 segg.; C. Ferrini, Le presunzioni in diritto romano, in Riv. ital. per le scienze guiridiche, XIV (1892), p. 258 segg. (v. ora Opere, III, Milano 1929, p. 417 segg.); J. W. Hedemann, Die Vermutung nach dem Recht des deutschen Reiches, Jena 1904; G. Donatuti, Le praesumptiones iuris in diritto romano, in Annali della Facoltà di giurisprudenza della R. Università di Perugia, 1931, p. i segg.; id., Le praesumptiones iuris come mezzi di svolgimento del diritto sostanziale romano, in Rivista di diritto privato, XI (1933); id., Mandatum praesumptum, in Studi in memoria di Aldo Albertoni, I, Padova 1933.
Diritto italiano vigente. - Le presunzioni semplici, dette anche di fatto, o hominis, sono (com'è detto nell'art. 1354 cod. civ.) "lasciate alla prudenza del. giudice"; cioè il giudice le può ammettere, senza che occorra alcuna disposizione di legge al riguardo, "secondo il suo prudente criterio", deducendo le conseguenze da un fatto qualsiasi già provato, salva in ogni caso la prova contraria. La legge crede opportuno stabilire tuttavia qualche regola, per mettere in guardia il giudice di fronte a facili e fallaci presunzioni, stabilendo essa, nell'articolo ora citato, che le presunzioni di cui si tratta debbono essere "gravi, precise e concordanti" e aggiungendo che esse si possono ammettere "solamente nei casi in cui la legge ammette la prova testimoniale". Non è escluso che si possa trattare d'un solo fatto o di una sola circostanza di fatto: solo, se siano più i fatti, essi debbono essere concordanti; in tutti i casi le presunzioni devono essere gravi e precise, la gravità e la precisione valendo del resto più del numero, poiché, come si suol dire, le presunzioni non si contano, ma si pesano. D'altro canto, nei casi in cui la legge ammette la necessità di una determinata prova, o dichiarazione per iscritto, restando esclusa la prova testimoniale, restano pure escluse le presunzioni semplici.
Le presunzioni legali (dette di diritto o iuris), che sono più importanti, debbono essere ammesse; vincolano quindi il giudice: esse non possono risultare che da una disposizione di legge, e, avendo natura eccezionale (perché derogano ai principî generali sulle prove), non possono estendersi a casi non contemplati: restando le presunzioni legali circoscritte a determinati casi, al di fuori di questi ultimi si può far luogo soltanto a presunzioni semplici. La legge stabilisce la presunzione in base a determinate premesse, le quali debbono essere provate; si esclude la prova delle conseguenze, che la legge senz'altro desume e fa ammettere. Non è formulato esattamente l'art. 1352 cod. civ., secondo il quale "la presunzione legale dispensa da qualunque prova quello a cui favore essa ha luogo". Non si può dire nemmeno che si tratti di un'inversione dell'onere della prova, in conseguenza della presunzione legale, poiché la prova del contrario potrebbe essere esclusa, e, nei casi in cui tale prova si deve ammettere, ciò deriva non dall'inversione del relativo onere, ma dal principio generale che ciò che risulta, o si presume, provato si può contrastare con la prova contraria. Il giudice è obbligato a ritenere come provati i fatti, considerati nelle dette presunzioni, o in modo assoluto o sino a prova del contrario: le presunzioni legali in base a ciò si distinguono, come già nella tradizione romanistica in assolute, o iuris et de iure, e non assolute, o iuris tantum.
Una presunzione, che abbia valore assoluto, può essere, nel risultato, una finzione, poiché ciò che ne risulta si deve ammettere se pur sia contrario al vero o inesistente, non potendo valere nessuna controprova (neppure il giuramento): tra la finzione e la presunzione iuris et de iure resta la differenza che la prima non corrisponde mai alla verità (o realtà), la seconda è basata sulla probabilità (che può, o non, verificarsi) che le conseguenze siano vere.
Non c'è un criterio generale, che sia completo e sicuro, per stabilire senz'altro se si tratti, nei singoli casi, dell'una o dell'altra specie di presunzione legale, pur stabilendosi, nell'art. 1353 cod. civ., che "non è ammessa veruna prova contro la presunzione legale, quando sul fondamento di essa si annullano certi atti o si nega l'azione in giudizio, salvo che la legge abbia riservata la prova in contrario". Quanto al primo gruppo di casi, non è escluso che, pur trattandosi di atti che la legge annulla, la presunzione non si applichi, ancorché manchi la riserva della prova contraria: così, per l'art. 773 capov. del cod. civ. (applicabile anche alle donazioni giusta l'art. 1053), il padre, la madre, i discendenti e il coniuge delle persone incapaci di ricevere per testamento (o per donazione) sono senz'altro riputate persone interposte, e non si esclude la possibilità di dimostrare che la liberalità sia stata fatta a una delle persone che sarebbero interposte, per considerazioni personali che la giustifichino. E quanto agli altri casi "in cui si nega l'azione in giudizio" tale espressione, usata nel cit. art. 1353 (che si riferirebbe alle obbligazioni naturali), non è esatta, trattandosi piuttosto dei casi in cui a un'azione si opponga efficacemente un'eccezione perentoria. Ci sono poi indubbiamente altri casi in cui c'è una presunzione legale assoluta (p. es. la presunzione, risultante dall'art. 159 cod. civ., che "il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio"). Le presunzioni legali sono assai numerose, ritrovandosi in assai varie disposizioni dello stesso codice civile e di altre leggi. L'enumerazione fatta nell'art. 1350 ha carattere dimostrativo (come risulta dalla stessa espressione usatavi, "Tali sono"): vi si ha riguardo (n.1) ai casi in cui atti sono dichiarati dalla legge "nulli per la loro qualità come fatti in frode delle sue disposizioni" (es. cit. articoli 773, 1053), e (n. 2) ai casi in cui "la legge dichiara che la proprietà o la liberazione risulta da alcune determinate circostanze" (es. articoli 448, 546, 1196, 1279, 1834). Nel n. 3 viene considerata come presunzione "l'autorità che la legge attribuisce alla cosa giudicata": ciò che non è esatto, poiché tale autorità non si basa sulla presunzione assoluta di verità di ciò che è stato accertato nella sentenza, ma sulla necessità di por fine alla lite e rendere certi i diritti.
Bibl.: E. Gianturco, istituzioni di diritto civile italiano, Napoli 1885, § 77; G. Giorgi, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, I, Firenze 1903, n. 419 segg.; C. Crome, Parte generale del diritto privato francese moderno, trad. con note di A. Ascoli e F. Cammeo, Milano 1906, § 45, p. 432 segg.; N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano, Parte generale, 4ª ed., riveduta e messa al corrente dal prof. L. Coviello, Milano 1929, § 180, p. 550 segg.