COLONNA, Pompeo
Nacque agli inizi del XVII sec. da Pier Francesco del ramo di Zagarolo, principe di Gallicano e da Lucrezia Tuttavilla. Sposò Francesca, figlia di Iñigo d'Avalos, marchese del Vasto, e vedova di Marino Caracciolo, principe di Avellino. Si intitolò principe di Gallicano anche se questa località era stata venduta dal padre, insieme con molte altre terre della famiglia nel Lazio, nel 1622. Aveva molti possedimenti nel Regno, parte dei quali gli veniva dall'eredità materna; fra questi la contea di Sarno, mentre in Abruzzo possedeva Gagliano, Petrella Salto e molte altre località. In effetti gli interessi del C. sembrano gravitare in questa regione. Nell'agosto del 1633 infatti visitò L'Aquila con la moglie e un largo seguito. In questa occasione fece apportare delle migliorie di carattere estetico al teatro di S. Salvatore, dove, spinto da un grande interesse per il melodramma e per il teatro in genere, sostenne sulla scena la parte di Mirtillo nel Pastorfido di B. Guarini. Evidentemente l'ambiente aquilano e l'accoglienza ricevuta furono tanto di suo gradimento che nell'agosto del 1639 tornù nella città e vi fissò la sua residenza, conducendo con sé ben cento guardie armate, aprendo il suo palazzo alla nobiltà cittadina e organizzando rappresentazioni e altri trattenimenti.
Inaugurata all'Aquila nel luglio 1641 la Regia Udienza, fu chiamato a divenirne preside il vicario generale degli Abruzzi, Ferdinando Muñoz, che si dimostrò subito diffidente nei confronti del Colonna. Costui infatti più volte si era messo al di sopra delle parti, cercando di pacificare le fazioni cittadine, quasi questo non fosse compito precipuo dei ministri regi. Inoltre il manifestare probabilmente una tendenza filofrancese e l'avere al suo servizio tanti armati lo resero inviso alle autorità. Il 23 febbr. 1642 il Muñoz tentò di arrestare dieci armati del C., che si rifugiarono nella chiesa di S. Bernardino senza che il C. si desse pensiero della cosa: quella sera infatti si rappresentò nella sua casa l'Aminta di T. Tasso. Il giorno seguente il Muñoz chiese conto al principe del gran numero di guardie che teneva al suo servizio e non si mostrò soddisfatto delle giustificazioni del C., che esibiva permessi vicereali. Ipso facto il C. lasciò L'Aquila. Vi tornò pochi mesi dopo, alla fine dell'agosto - il Muñoz era stato sostituito - per ossequiare l'ambasciatore spagnolo a Roma, il marchese di Los Velez. Rimase nella città fino alla fine del soggiorno dell'oratore, che accompagnò alla metà di novembre fino a Pozzuoli. Tornato di qui all'Aquila, vi riprese a soggiornare.
Con la sua solita passione il C. fece altre opere di restauro al teatro di S. Salvatore e vi curò la rappresentazione della Fillidi Sciro di G. Bonarelli. Accolse inoltre in casa sua dodici giovani aquilani perché fosse loro impartita un'accurata educazione. Il 15 nov. 1643 partecipò a una solenne tornata all'Accademia dei Velati, recitando una lunga orazione, inneggiante alla pace, che sarebbe stata pubblicata.
Eletto papa nel settembre del 1644 Innocenzo X, il C. il mese dopo si recò a Roma per prendere parte alla processione del possesso. Condusse con sé trenta gentiluomini aquilani, oltre ai dodici fanciulli che faceva educare. A questi ultimi fece recitare un dramma teatrale da lui posto in musica, Il ratto di Proserpina, che compose in onore della cognata del papa, Olimpia Maidalchini.
Nel 1646 la cauta freddezza del C. verso le autorità spagnole diede luogo ad una scoperta ostilità. Egli si rivelò infatti un acceso sostenitore del principe Tommaso di Savoia, che intraprendeva per conto della Corona francese la spedizione in Toscana contro lo Stato dei Presidi. Il C. si spinse sino a promettere di ribellarsi "con tuto l'abruzzo" all'arrivo di un'armata francese. Oltre ai contatti diplomatici a Roma, il C. raccolse in Abruzzo uomini e armi, pare con il denaro del padre del Mazarino e fortificò la rocca di Patrella Salto.
Nonostante il C. mantenesse formalmente buoni rapporti con le autorità spagnole, queste non tardarono ad intervenire contro di lui. Il 5 aprile si erano portati all'Aquila duemilacinquecento cavalli al comando di Luigi Poderici, che il viceré voleva avviare in Toscana; accadde un inizio di rivolta, perché i soldati sostenevano di essere stati arruolati per combattere entro e non fuori del Regno e gli Spagnoli sospettarono, in questo episodio l'interferenza del C. ritenendo che avesse sobillato i soldati. Il C. peraltro non credeva di essersi esposto, perché il 27 ottobre arrivò a Napoli e si recò subito a visitare il viceré; ma all'uscita dell'udienza fu arrestato dal capitano della guardia del viceré e dal reggente della Vicaria, condotto in un primo momento a Castelnuovo e quindi a Sant'Elmo. Quattro giorni dopo venivano imprigionati all'Aquila Filippo Alfieri e G. A. Pica, accusati di essere suoi complici. Il viceré, duca d'Arcos, fece inoltre occupare da Giulio Pezzola la rocca di Petrella Salto.
Benché da Roma non si mancasse di sollecitare il nunzio a Napoli perché intervenisse in favore del C., questi rimase in prigione per qualche anno, mentre la rivolta di Masaniello divampava. Nell'agosto del 1647 anzi la posizione del C. veniva aggravata dalla deposizione di Andrea Paolucci, arrestato e poi decapitato, che confermò la partecipazione del C. alle trame filofrancesi.
Nel marzo del 1649 la prigionia del C. divenne meno dura ed egli venne trasferito in Castelnuovo con la facoltà di muoversi liberamente nel parco. È da notare che era stato poco prima arrestato il principe di Montesarchio per aver organizzato una congiura contro la vita del viceré e che M. Schipa (Albori del Risorgimento..., Napoli [1938], p. 19) sostiene che questa fallì a causa della delazione del C., notizia peraltro di cui lo Schipa non precisa l'origine e che non e confermata dalle fonti.
Comunque il C. fu scarcerato nell'aprile 1649 e il giorno 16 partì per Roma, subendo anche il contrattempo di essere fermato dal governatore di Capua, che non era informato dell'avvenuta liberazione. Due anni più tardi il C. ricevette un'intimazione dal viceré di Napoli; il 18 dic. 1651 infatti il conte d'Oñate, il quale sospettava che il C., benché prigioniero, avesse appoggiato nel 1648 la rivolta negli Abruzzi di Antonio Quinzi, maestro di campo di Gennaro Annese, gli ingiunse con un decreto del Consiglio collaterale di presentarsi a Napoli entro dieci mesi, se non voleva che i suoi beni nel Regno fossero confiscati. Questa volta il C. si guardò bene dal recarsi nella città partenopea.
Morì il 10 ott. 1658 secondo quanto afferma il Fabrizi, o il 6 genn. 1661, a Roma, come sostiene il Litta.
Lasciò un solo figlio naturale, Francesco Maria Pompeo, e con lui si estinse il ramo di Zagarolo della famiglia. I suoi beni nella Campagna romana passarono a Stefano Colonna, duca di Bassanello, e i suoi possedimenti nel Regno furono confiscati, essendo il suo nome stato compreso nella lista dei feudatari ribelli al re, e venduti. Del 1661 è la ratifica della vendita dei beni in favore di Maffeo Barberini, Durante i suoi ultimi anni il C. continuò la sua attività di scrittore e di poeta. Nel 1658 pubblicò a Roma l'opera di T. Stigliani, L'arte del verso italiano. Con varie aggiunte e notazioni di P. Colonna principe di Gallicano, dedicandola ad Alessandro VII. Il C. vi sostiene di aver voluto continuare l'opera dello Stigliani per la stima che lo legava a lui e per offrire non solo a chi volesse comporre poesie, ma anche a coloro che intendessero scrivere in prosa un utile strumento, adatto a uno stile aulico, ma anche a uno "pedestre e burlesco". L'anno precedente erano uscite, sempre a Roma, le Operette contra gli astrologastri, dedicate al cardinale Flavio Chigi (la dedica porta la data del 24 agosto). Esse sono costituite da una lettera del 31 genn. 1649, già data alle stampe (mentre era ancora prigioniero), ma in poche copie, con lo pseudonimo di Acmat Ziruf, a Emanuele del Pino su una profezia della rivolta popolare del 1647; da una "Lettione e vaticinio di tutto l'anno in generale"; dalla risposta del C., in cui si distinguono i buoni dai cattivi astrologi, a un'operetta che confuta l'opinione degli astrologi sul contagio di Roma. Furono edite anche in Academia tenuta da' Fantastici a 12 di maggio 1655 in applauso della S.tà di N. S. Alessandro VII (Roma 1655), una "Lezzione", una verbosa e pomposa esaltazione del papa, una canzone, per l'elezione del pontefice, dedicata a padre Sforza Pallavicini, e un sonetto. Premessa alla Musurgia universalis (Roma 1650) di A. Kircher, fu stampata una Canzone sopra l'arte grande del consono e del dissono indirizzata a Leopoldo d'Asburgo. Una sua composizione su s. Agnese fu recitata nel gennaio del 1651 nell'Oratorio romano.
Il C., che fece parte di numerose accademie (di quella dei Fantastici fu principe), produsse sicuramente altre opere di carattere letterario: rimaste rnanoscritte, erano alla fine del secolo presso G. A. Laurenziano, che aveva raccolto molte opere teatrali.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Nunziatura di Napoli, voll. 41, cc. 513rv, 523, 602; 42 cc. 332, 436; 44, cc. 96, 124; P. Mandosio: Bibliotheca Romana, Roma 1682, p. 319; D. A. Parrino, Teatro... de' viceré del Regno di Napoli, II, in Raccolta di tutti I più rinomati scrittori…, X, Napoli 1770, pp. 67, 81 s.; A. Coppi, Mem. colonnesi, Roma 1855, pp. 364, 394; G. Carignani, Tentativi di Tommaso di Savoia..., in Arch. stor. per le prov. napol., VI (1881), p. 704; A. Ademollo, I teatri di Roma, Roma 1888, pp. 42, 44, 46, 54 s.; G. Rivera, Dei commovimenti abruzzesi…, in Boll. della Soc. di storia patria Anton Ludovico Antinori negli Abruzzi, IV (1892), pp. 141 s., 144 ss., 151; F. Fabrizi, Corogr. storica de' comuni della valle subequana, ibid., X (1898), pp. 64-69; P. Colonna, I Colonna…, Roma 1927, pp. 264 s.; M. P. Testa, Origini e vicende dei moti aquilani..., in Bull. della R. Deput. abruzz. di storia patria, s. 4, I-II (1931-1932), pp. 108 s.; A. Capograssi, La rivoluz. di Masaniello, in Arch. stor. per le prov. napol., n. s., XXXIII (1925), p. 193; R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli, Bari 1976, ad Indicem; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s. v. Colonna, tav. VI.