CAMPELLO, Pompeo
Nacque a Spoleto il 15 febbraio del 1803 da Bernardino e dalla fiorentina Beatrice Bourbon del Monte. Concluse a Spoleto con successo gli studi iniziati a Castiglion Fiorentino, acquistandosi una certa fama letteraria, accresciuta dalla pubblicazione di un libro di poesie encomiastiche in onore di papa Leone XII.
Nel 1824 il C. fu nominato vicegovernatore del comune di Campello, carica che fu ancora chiamato in seguito a ricoprire. Altre volte l'autorità preferì fare ricorso a lui in via riservata per particolari incarichi di fiducia, scavalcando le stesse magistrature locali. Di questa sua prima attività resta nell'archivio di famiglia la minuta di un progetto di riforma amministrativa dello Stato pontificio.
Il prestigio del C. crebbe ulteriormente con il matrimonio, celebrato nel 1827, con Giacinta Ruspoli, figlia del principe don Alessandro, potente personaggio del mondo romano, il quale dopo la morte della moglie, la principessa Esterházy di Galántha, aveva preso gli ordini sacri ed era divenuto uditore della Sacra Rota romana.
Sempre nel 1827 fu nominato arcivescovo di Spoleto mons. G. M. Mastai Ferretti, che si legò particolarmente di amicizia col C., tanto da tenerne a battesimo il figlio Paolo, nato nel 1829, e da essergli di affettuoso conforto, quando appena un anno dopo morì la giovane moglie. Il generale clima di attesa seguito al luglio francese del 1830, le speranze di rinnovamento che si accompagnarono al breve pontificato di Pio VIII e al periodo di sede vacante, scossero la tranquilla atmosfera di Spoleto. Estesosi rapidamente il moto dalle Romagne alle Marche e all'Umbria, i liberali spoletini il 16 febbraio ottenevano l'autorizzazione a costituire una guardia civica e che a comandarla fosse chiamato il C.; la sera stessa, spinti a pronunciarsi apertamente da un estremo tentativo di mediazione di mons. Mastai, abbattevano gli stemmi pontifici e costituivano un governo provvisorio, di cui il giorno 20 il C. diveniva presidente. Il 25 febbraio il C. partì per Bologna quale rappresentante con P. Savi di Spoleto presso l'Assemblea delle Province Unite: ivi approvò la dichiarazione di emancipazione dal dominio temporale e partecipò alla elaborazione della costituzione provvisoria, promulgata il 4 marzo; istituita la Consulta legislativa, vi rappresentò la sua città in seguito alla rinuncia di F. Torti. Com'è noto il governo capitolava il 26 marzo, e il 29 a Spoleto le ultime unità si arrendevano nelle mani di mons. Mastai.
Il C., sulla cui proprietà veniva posta un'ipoteca, preferì ritirarsi nelle sue tenute di Campello e affidarsi alla potente intercessione del suocero, in virtù della quale se la cavò solo con pochi giorni di esercizi spirituali presso l'eremo S. Angelo a Vetralla. Due anni dopo, con la cancellazione dell'ipoteca, la riabilitazione era completa, pur permanendo la proibizione di soggiornare a Roma.
Gli anni successivi il C. li dedicò quasi esclusivamente all'attività letteraria: nel '35 si stabilì presso i parenti di sua madre a Firenze, ove frequentò il gabinetto Vieusseux; nel '40 tornò a Spoleto e quindi l'anno seguente ottenne finalmente l'autorizzazione di trasferirsi a Roma.
Pur seguitando in maniera prevalente nei suoi impegni artistici e culturali (è di questi anni; la sua collaborazione alla Strenna umbra), il C. fu ripreso da un certo interesse per la politica quando credette di trovare nel disegno giobertiano del Primato la soluzione dei suoi problemi. Quasi al fine di una verifica, il C., all'inizio del 1846, in compagnia dell'amico Fratellini, intraprese un lungo viaggio con tappe a Torino, Trieste, Vienna, ma soprattutto a Milano e Venezia dove entrò in contatto con gli ambienti vicini al Manzoni e al Tommaseo. Tornò a Roma in tempo per partecipare al generale entusiasmo per l'assunzione al soglio di Pio IX, dal quale fu accolto in amichevole colloquio la sera stessa della sua elezione.
Nell'autunno del 1847 il C. fu chiamato a rappresentare Spoleto nella Consulta di Stato e funse da segretario presso la sezione preposta alla riforma dell'esercito. Scoppiata nel marzo del '48 la guerra all'Austria, andò al seguito del generale Durando, in qualità di intendente generale. Eletto rappresentante di Spoleto al Consiglio dei deputati, rientrò a Roma e fu incaricato dei servizi di intendenza presso il ministero delle Armi: in pratica faceva le veci del ministro, principe Doria Pamphili, e al suo posto presentò il 29 luglio alla Camera il progetto di riordinamento dell'esercito. Dimesso il giorno seguente il principe Doria, fu chiamato a sostituirlo e mantenne la carica nel successivo ministero presieduto dal conte Fabbri. Un proclama pubblicato il 6 agosto, in cui il C. con accesi toni patriottici denunciava la brutale invasione austriaca delle province settentrionali dello Stato e soprattutto incitava le popolazioni dei luoghi occupati o minacciati a insorgere in armi, riuscì assai poco accetto al pontefice che in giornata provvide a licenziare il troppo irruento ministro. Il C. si ritirò a Spoleto, dove ai primi di settembre fondò il Circolo popolare di cui divenne subito il presidente. Fu un esilio di breve durata: nel clima teso dopo l'uccisione di Pellegrino Rossi il Circolo popolare di Roma impose il richiamo del C. nel ministero presieduto da mons. Muzzarelli. Il C. giunse a Roma quando Pio IX aveva già deciso di partire per Gaeta: convinto che il pontefice così facendo compisse un vero e proprio tradimento nei confronti di una causa al cui sostegno egli stesso aveva dato il contributo iniziale e determinante, il C. rimase al proprio posto senza esitazioni.
Questo fatto, unito ad altri precedenti e alla considerazione della indubbia popolarità di cui il C. godeva presso il Circolo popolare, ingenerò la convinzione che egli appartenesse alle correnti più democratiche. Uomo certamente onesto, sincero e facile agli entusiasmi, fu politicamente in realtà un moderato, assai vicino, ad esempio, al Mamiani; ideologicamente per nulla "repubblicano" (come dimostrano i suoi scritti e il suo comportamento successivo), attaccato fino all'ultimo all'ideale neoguelfo, aderì alla Repubblica più che per convinzione, perché essa era il "prodotto logico della necessità", come ebbe a giustificare più tardi un suo conterraneo.
Via via che a partire dal gennaio del '49 la posizione delle correnti democratiche si rafforzava, mentre dall'altra parte si ripetevano le denunce e le censure di Pio IX nei confronti dei responsabili del nuovo stato di cose, la posizione sia personale sia pubblica del C. si faceva sempre più difficile: benché riconfermato alle Armi nel ministero nominato il 15 febbraio dal nuovo Comitato esecutivo, insistenti circolavano le voci di un suo ritiro. Estraneo alla sostanza del dibattito politico allora in corso riguardo sia alla Costituente, sia alla conduzione della guerra rivoluzionaria, il C. aspettava un'occasione per dimettersi: questa si presentò alla fine di febbraio, quando il Comitato, con l'intento quasi esplicito di costringerlo a prendere posizione, lo inviò a Bologna. Ivi il C. ebbe un grave dissidio con Berti-Pichat e, richiamato a Roma dal Comitato, preferì tornare a Spoleto donde in data 16 marzo inviava le proprie dimissioni, peraltro già rese note dal Comitato stesso il giorno precedente. Rientrato in seguito nella capitale, pur continuando a prendere parte ai lavori dell'Assemblea, mantenne una posizione del tutto secondaria, relegato al ministero delle Finanze, fino alla caduta della Repubblica.
Dopo il 3 luglio il C., piuttosto che partire per un esilio incerto, preferì nascondersi e sperare, tramite l'appoggio di influenti amicizie (in particolare il card. Amat), di ottenere un condono e poter così restare nella sua Spoleto. Troppo compromesso, ottenne solo un salvacondotto, che gli permise, non senza qualche difficoltà, di imbarcarsi per Corfù donde raggiunse la Toscana. Essendogli stato negato il permesso di soggiorno, andò a stabilirsi a Torino, una volta ottenutane l'autorizzazione dal governo.
Nella capitale piemontese il C. fu accolto con favore sia nell'ambiente degli esuli politici là convenuti (vi ritrovò Mamiani, Torre, Masi, ecc.) sia negli ambienti governativi, e particolarmente dal d'Azeglio, da lui conosciuto a Roma quando era intendente generale dell'esercito pontificio.
Allontanatosi dall'attività politica, dopo aver maturato la sua adesione alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele, il C. tornava a rivolgere i propri interessi alla letteratura (risalgono a questo periodo le sue tragedie più note), mentre sua massima preoccupazione era di riuscire a ottenere l'autorizzazione di rimpatriare, o almeno un riavvicinamento (ma il governo toscano continuava a negargli il permesso di soggiorno) per poter meglio curare i propri affari.
Il matrimonio del figlio Paolo con Maria Bonaparte, figlia di Carlo Luciano principe di Canino, lo fece sperare nella intercessione del presidente della Repubblica francese, di lì a poco imperatore, che egli aveva ben conosciuto e pure ospitato durante i moti del '31. L'accresciuto prestigio del suo nome lo fece invece coinvolgere in speculazioni economiche (una serie di affari sbagliati che accrebbero le sue preoccupazioni) e politiche: si lasciò infatti invischiare nelle mene murattiane, anche se, in realtà, si limitò a fungere da tramite tra mons. Gazzola, Masi e Torre da una parte e Saliceti dall'altra. Divise quindi il suo esilio tra Torino (dove soggiornò ininterrottamente dal 1852 al 1855), La Spezia e Ovada in Liguria per un breve periodo, per poi tornare di nuovo a Torino, sia pure intercalando il soggiorno con sempre più frequenti viaggi in Francia. Qui nel '58 ebbe ancora a Villeneuve l'Etang, vicino a St.-Cloud. un lungo colloquio con Napoleone III circa i prossimi sviluppi della questione italiana; ed è da ritenersi che a quest'incontro, come per gli altri precedenti, non fosse stato incaricato da Torino, bensì che essi fossero dovuti all'antica amicizia e all'acquisita parentela che lo legavano all'imperatore.
Nell'aprile del '59 il C. poté finalmente stabilirsi a Firenze dove partecipò al plebiscito di annessione della Toscana al Regno di Sardegna.
Il fallito tentativo di far insorgere l'Umbria, conclusosi nella sanguinosa repressione di Perugia, provocò una nuova ondata di emigrazione politica: pertanto agli inizi del 1860 fu costituita la Commissione direttrice delle province romane soggette, di cui il C. fu nominato presidente, con l'incarico di promuovere e coordinare l'attività cospirativa nell'Umbria e nelle Marche.
Ma Cavour, tramite il marchese Gualterio, preferiva servirsi direttamente quale fedele interprete ed esecutore della propria linea politica del barone Danzetta, emissario della Commissione a Ortona. Ne derivarono ovviamente equivoci e divergenze, alimentati da risentimenti personali, e il C., all'oscuro di tutto, non poté fare a meno di richiamare più volte il Danzetta a una maggiore coerenza con le direttive impartite da Firenze.
Liberata Spoleto il 17 settembre, il C. vi fu nominato regio commissario, e in tale qualità si adoperò invano affinché alla città fosse riconosciuto il rango di provincia.
Il 20 genn. 1861 fu chiamato a far parte del Senato del Regno per essere stato ministro della Repubblica romana. Pur legandosi a posizioni vieppiù moderate, il C. tornò nuovamente a disinteressarsi dei problemi politici: assai poco competente della cosa pubblica, preoccupato di riassestare il patrimonio familiare, per il resto interamente assorbito dall'attività letteraria, fu poco assiduo ai lavori parlamentari e, in quelle poche occasioni, brigava soprattutto per ottenere favori ai suoi concittadini.
Unica parentesi l'anno 1867: dapprima, dietro le pressioni del Massari, convinse il figlio Paolo a presentarsi alle elezioni e quindi ne appoggiò efficacemente la candidatura, che in prima istanza era stata vivacemente contrastata dal candidato democratico, il vecchio amico Luigi Pianciani. L'operazione riuscì in pieno e Paolo risultò eletto in sede di ballottaggio. Poco dopo, Rattazzi, incaricato di formare il suo secondo ministero, visto fallire ogni tentativo con Visconti-Venosta, offrì al C. il portafoglio degli Esteri, forse dietro la prima ispirazione della moglie, Maria Wyse Bonaparte: pensava così di poter dirigere personalmente la politica estera servendosi di un uomo di paglia, peraltro imparentato da una parte con l'imperatore dei Francesi e dall'altra con una potente famiglia dell'establishment asburgico. Il C. si trovò subito al centro di avvenimenti assai importanti e di essi non riuscì ad afferrare nella loro intierezza il significato politico e la portata: dapprima ci fu la questione della delimitazione dei confini orientali in seguito alla pace con l'Austria (di cui si occupò G. Thaon di Revel per la dichiarata incompetenza del C.); quindi fu la volta della partecipazione alla conferenza di Londra, espressione di un primo tentativo di sganciarsi dalla tutela di Napoleone III; la risposta da parte francese fu poco dopo il noto incidente della legione di Antibo, che il C. faticò non poco a comporre. Non era che il primo passo di una escalation nell'ambito dei difficili rapporti con la Francia a proposito della questione romana che culminò nel novembre dello stesso anno a Mentana. Ancora poco prima il C. esperì un estremo tentativo di rappacificazione, offrendo di mandare da Pio IX il figlio Paolo latore di proposte conciliative. Era ormai troppo tardi; non se ne fece più nulla e il governo fu costretto a dimettersi.
Chiusa la breve parentesi ministeriale, il C. poteva fare ritorno alla tanto sospirata quiete della sua terra, donde non riuscirono quasi mai più a distoglierlo le pressioni degli amici e dei colleghi di parte, neppure quando, in omaggio all'età avanzata e alla malferma salute, gli veniva messo a disposizione un treno speciale. Anche durante le elezioni si limitava a un appoggio puramente nominale del candidato conservatore di turno. Era ormai passato su posizioni totalmente conservatrici: nelle sue memorie il figlio Paolo racconta che "s'irritava al solo sentire il nome di Depretis". Rimase comunque estraneo alle iniziative politiche del figlio per la costituzione di un partito che fondesse in un comune impegno conservatore i cattolici transigenti e i liberali più moderati, al fine di una conciliazione tra lo Stato e la Chiesa.
Continuava a dedicarsi alla letteratura ed era solito discuterne con il nuovo arcivescovo di Spoleto mons. Cavallini-Spadoni. Si sentiva un sopravvissuto: morto Pio IX, che tanta parte aveva avuto nelle sue vicende personali, gli era anche venuto a mancare l'appoggio della seconda moglie, compagna fedele degli anni, per lui così amari, dell'esilio.
Dopo due anni di dolorosa malattia il C. morì a Spoleto il 24 giugno 1884.
Pur non rivestendo importanza letteraria, la sua produzione teatrale procurò al C. una discreta notorietà: le sue opere furono messe in scena soprattutto dalla compagnia di Carolina Santoni e incontrarono un certo successo anche di critica. Le più importanti delle sue tragedie furono pubblicate in tre volumi dall'editore F. Le Monnier, Componimenti drammatici, Firenze 1863.
Di valore assai più modesto è la produzione poetica, quasi tutta di carattere occasionale ed encomiastico.
Fonti e Bibl.: Spoleto, Archivio privato dei conti di Campello, Fondo P. di C. (l'intero archivio è attualmente in via di riordinamento); Sottosezione dell'Archivio di Stato di Spoleto, Archivi privati: Fontana e Sansi;Roma, Museo Centrale del Risorgimento, buste 11, 22, 48, 117, 118, 349, 542, 546, 554, 560, 719, 810; Archivio di Stato di Perugia, Fondo Museo storico del Risorgimento, Carteggio politico di Torelli Ruggiero (1860); Perugia, Archivio Alfani-Silvestri, Fondo Alfani-Danzetta, vol. 6; una dettagliata biografia si trova in R. Restani, Un liberale moderato nel Risorgimento: P. C. (1803-1884), Perugia 1966; oltre alle voci P. C. in A. De Gubernatis, Diz. biogr. degli scritt. contemp., Firenze 1880; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896; Dizion. del Risorgimento nazionale, II; A. Malatesta, Ministri…, Roma 1940, p. 364; A. Moscati, Iministri del Regno d'Italia, Salerno 1957, II. Cfr. inoltre: Atti ufficiali del Regio Commissario generale per le province dell'Umbria, I-II, Firenze 1861; G. Spada, Storia della Rivoluzione di Roma..., I-III, Firenze 1868-1870, passim;A. Sansi, Memorie aggiunte alla storia del Comune di Spoleto, Foligno 1886, passim;G. Tivaroni, L'Italia sotto il dominio austriaco (1815-1849), II, L'Italia centrale, Torino 1893, pp. 181 ss., 325 ss.; P.Campello della Spina, Storia documentata aneddotica di una famiglia umbra, II, 2, P. C. e i suoi tempi, Città di Castello s. d.; Id., Ricordi di più che cinquant'anni, Spoleto 1910, pp. 93-100; S. Fratellini, Spoleto nel Risorgimento nazionale, Spoleto 1910, pp. 26 ss. e passim;M. Cossu, L'Assemblea costituente romana del 1849, Roma 1923, pp. 76 ss.; E. Morelli, L'Assemblea delle Province Unite Italiane (1831), Firenze 1947, pp. 22 ss.; A. De Liedekerke De Beaufort, Rapporti delle cose di Roma (1848-1849), a cura di A. M. Ghisalberti, Roma 1949, pp. 81, 87, 91; A. M. Ghisalberti, Roma da Mazzini a Pio IX, Milano 1958, pp. 19-45; R. Moscati, Il ministero degli Affari Esteri, 1861-1870, Milano 1961, pp. 30 ss., 209-213; R. Mori, Iltramonto del potere temporale dal 1866 al 1870, Roma 1967, pp. 127 ss.; F. Mazzonis, Un inedito sulla vita episcopale di Pio IX in Spoleto, in IlCavour, V (1968), 5, pp. 6-10; Id., L'Italia alla conferenza di Londra del 1867 nella memoria... di A. Blanc, in Rassegna storica del Risorgimento, LVI (1969), pp. 266-287; Atti dell'VIII convegno del Centro di studi umbri, Gubbio-Perugia 1970 (l'introduzione di A. M. Ghisalberti, e le relazioni di E. Morelli, F. Mazzonis e F. Bartoccini).