PLACIDO di Nonantola
PLACIDO di Nonantola (Placidus o Placitus Nonantulanus). – Monaco benedettino, visse tra la fine dell’XI e la prima metà del XII secolo.
Le notizie biografiche sono poche e frammentarie. Placido compare nelle sottoscrizioni di due documenti nonantolani, del 1117 e del 1123 (Natali, 1998, pp. 47 ss.), senza che si possa inferire da essi – e da ulteriori studi sulle carte dell’archivio abbaziale – una carica priorale (Mercati, 1953, pp. 127 ss.), o abbaziale, ricoperta nel cenobio di Nonantola; ugualmente, non trova alcun riscontro documentario l’ipotesi di un suo episcopato (Mesini, 1976, pp. 538 s.), né di un priorato presso il monastero bolognese di S. Bartolomeo (Mesini, 1971, pp. 285 s.). Con ogni probabilità, Placido fu invece abate del monastero di S. Pietro di Modena dal 1126 al 1163 (Cart. II-12 e Cart. III-35, in Modena, Archivio di Stato; cfr. Natali, 1998, pp. 54-56, per una nota biografica estesa).
Nel periodo intercorso tra i concordati di Sutri e di Sette Fratte – rispettivamente febbraio e aprile 1111 – e il Concilio Lateranense del marzo 1112, Placido attese alla composizione del Liber de honore Ecclesiae (Liber de honore Ecclesiae, a cura di L. von Heinemann - E. Sackur, 1892, II, c. 118, p. 625). Si tratta di un testo di polemica come molti se ne produssero in quegli anni, interprete di un programma assai inedito, il quale, al contempo, presenta le caratteristiche – per i rinvii costanti a raccolte giuridiche e sul piano formale e dei contenuti esposti – tipiche di una collezione canonistica (Cantarella, 1983, I, pp. 119 s., in particolare nota 21); risulta, peraltro, caratterizzato da una chiara visione ecclesiologica, alcuni punti della quale sarebbero confluiti nel compromesso di Worms del 1122.
Il termine ante quem del marzo 1112 risulta certo, laddove Placido non avrebbe certo omesso la decisione presa dal papa Pasquale II, in occasione del sinodo, di ritirare le precedenti concessioni all’imperatore Enrico V, riguardanti la facoltà piena di investitura ecclesiastica, cosicché il principale destinatario dell’aspra polemica condotta da Placido risulta essere lo stesso pontefice, reo di aver ceduto alle pretese ‘sacrileghe’ del potere laico di intervenire a proposito della materia principale sulla quale intendeva essere esercitata la libertas Ecclesiae (ibid., pp. 140 s.; Liber de honore Ecclesiae, cit., c. 67, rr. 10-13, p. 596).
Redatto dunque in una delle fasi più acute della lotta per le investiture tra papato e Impero, il Liber – tramandatoci da quattro codici manoscritti (Busch, 1990, pp. 31-40; Natali, 1998, pp. 74-76) – fu scritto con il fine precipuo di sostenere l’honor della Chiesa, ossia le sue prerogative ‘patrimonialistiche’ (Cantarella, 1983, II, pp. 407 ss.) e le sue ragioni giuridiche circa la proprietà e il possesso di beni – assolutamente inalienabili e da gestire autonomamente rispetto a disposizioni e interferenze della potestas imperiale e regia. Al potere secolare era riservata soltanto la possibilità di confermare, attraverso l’istituto del praeceptum, i privilegi eventualmente connessi alla consacrazione episcopale.
Abbiamo una conoscenza approfondita dei molti testi di diritto canonico ai quali, in misura consistente, Placido fece riferimento, esplicito o meno (Picasso, 1976, pp. 291 ss.; ma soprattutto le novità apportate da Busch, 1990, pp. 206-219, che denunciano la necessità di una nuova edizione critica del Liber), e dei sistematici rimandi al diritto romano (Busch, 1990, pp. 158-162, e Natali, 1998, pp. 78-82). Il Liber, poi – come testimoniato dall’ampio riferimento a esso della Collezione in Tre Libri e del Decretum grazianeo –, dovette esercitare un’influenza non secondaria sulla canonistica successiva (Cantarella, 1983, II, pp. 414 ss.).
Gli argomenti trattati nel Liber – dei quali il prologo offre un compendio – costituiscono un discorso assai discontinuo, consegnandoci due versioni distinte: la prima di stampo canonistico e di natura giuridica, centrata su una dimensione istituzionale e patrimoniale; la seconda, invece, ispirata ad accenti principalmente etico-teologici e morali, decisamente più discorsiva e dietro la quale risulta possibile comprendere la visione ecclesiologica sottesa al libello, di assoluta originalità rispetto alla produzione contemporanea. Anche il piano formale dell’opera risulta innovativo laddove – seguendo il modello di ragionamento dell’Adversus symoniacos di Umberto di Silvacandida, citato alla lettera, sebbene inconsapevolmente (ibid., pp. 407-410) – il discorso procede dalla ricaduta pratica dell’intangibilità dei beni ecclesiastici e giunge a fissare i principi sacri, ponendo al centro proprio l’aspetto patrimoniale (il tema dell’investitura risulta così strettamente legato a quello pratico relativo ai beni ecclesiastici).
Placido, lungi dall’essere un riformista teorizzatore della più pura ortodossia gregoriana (ibid., pp. 117 ss.), si rivelò aperto a prospettive di accordo tra i poteri universali, l’equilibrio tra i quali – determinati i campi di competenza – avrebbe avuto bisogno del superamento dei modelli ideali di rapporto basati sulla reciproca subordinazione. La trattazione relativa alla separazione di funzioni e prerogative tra laici e ordine ecclesiastico (capp. 73, 102, 118) – tema peraltro assai diffuso nel Liber – conferma da parte di Placido una visione programmatica piuttosto originale: qualsiasi commistione tra i due poteri universali va impedita – operando una distinzione netta sul piano ontologico – per il raggiungimento di un equilibrio stabile, senza il quale viene perfino prospettato uno scenario di dannazione eterna (Liber, cc. 78 s., p. 602). L’unzione stessa dell’imperatore – a capo dell’ordo laicorum, ma desacralizzato al rango di ‘principe degli esseri terreni’ (Natali, 1998, pp. 91-96) – è funzionale esclusivamente alla protezione e difesa armata della sposa di Cristo, unica istituzione sacra per le implicazioni escatologiche del suo compito. La Chiesa, a sua volta, non può esercitare qualsivoglia ingerenza sul potere laico (Liber, c. 153, rr. 29-32, p. 635), riconoscendosi anzi soggetta a esso sul piano delle questioni secolari. Inoltre, la diffidenza maturata nei confronti della forma rivoluzionaria del governo petrino espressa da Gregorio VII – e che accomunò Placido ad alcuni presuli-teorizzatori d’area padana (Guido da Ferrara, Pietro di Bologna, Wiberto di Ravenna) – indusse a una soluzione, poi inevitabilmente accantonata dal partito riformatore: il papa non ricopre un’autorità illimitata, dovendo essa essere legittimata sul piano patrimoniale e, anche, da episcopato e concilio (ibid., cc. 69-70, pp. 596 s.), su quello istituzionale (G.M. Cantarella, La rivoluzione delle idee nel secolo undicesimo, in Il papa e il Sovrano, 1985, pp. 60-63).
Al f. 54r del Necrologio di S. Savino di Piacenza è riportato: II nonae Nov(embris) obiit Placidus de Nonantula monachus et sacerdos (Busch, 1990, p. 9, n. 27), fornendoci così non solo giorno e mese della sua morte, ma anche l’indicazione relativa al presbiterato. Tuttavia, la nota potrebbe fare riferimento – e con maggiore probabilità – a un monaco omonimo testimoniato già da un documento nonantolano del 1188 (Natali, 1998, pp. 53 s.), dal momento che la morte di Placido potrebbe essere datata non molti anni dopo il 1163, ultimo anno in cui egli avrebbe rivestito la carica abbaziale presso il monastero di S. Pietro di Modena.
Fonti e Bibl.: Placidi monachi Nonantulani Liber de honore ecclesiae, a cura di L. von Heinemann - E. Sackur, in MGH, Scriptores, Libelli de lite imperatorum et pontificum saeculis XI et XII conscripti, II, Hannover 1892, pp. 566-639 (trad. del prologo in Il papa ed il Sovrano. Gregorio VII ed Enrico IV nella lotta per le investiture, a cura di G.M. Cantarella - D. Tuniz, Novara 1985, pp. 81 s.).
M.C. Lilli, Un nuovo brano di P. di N., in Rivista di storia della Chiesa in Italia, VII, 1 (1953), pp. 100-105; A. Mercati, Placido priore di Nonantola (prima metà del secolo XII), in Atti e memorie della r. deputazione di storia patria per le province modenesi (e parmensi), V (1953), s. 8, pp. 127-141; S. Kuttner, Urbano II, Placido di Nonantola e Graziano, in Annali della facoltà di giurisprudenza dell’università di Genova, IX (1970), pp. 1-3; C.L. Mesini, La dottrina teologico-giuridica di P. di N. e l’idea ispiratrice della politica di Matilde di Canossa, in Studi matildici. Atti e memorie del II convegno di studi matildici, Modena 1971, pp. 281-294; C.L. Mesini, La dottrina teologico-giuridica di P. di N. e l’ambiente nel quale compose la sua opera «De honore Ecclesiae», in Apollinaris. Commentarius instituti utriusque iuris, XLIX, 1-2 (1976), pp. 521-547; G.G. Picasso, Testi canonistici nel Liber de honore Ecclesiae di P. di N., in Studia Gratiana, XX (1976), pp. 289-308 (Mélanges G. Fransen, II); G.M. Cantarella, P. di N. Un progetto di ideologia I. e II., in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXXVII, 1 e 2 (1983), pp. 117-142, 406-436; J.W Busch, Der Liber de Honore Ecclesiae des Placidus von Nonantola. Eine Kanonistische Problemerörterung aus dem Jahre 1111, Sigmaringen 1990; C.A. Natali, Ricerche su P. di N., Nonantola 1998; Placidus Nonantulanus, in Repertorium fontium historiae medii aevi primum ab Augusto Potthast digestum, nunc cura collegii historicorum e pluribus nationibus emendatum et actum. Compendia. Fontes, IX, 1-2, Roma 2002, pp. 263 s.; G. Boni, Sviluppi della canonistica al tempo di Matilde di Canossa, in Il contributo del monastero di S. Benedetto Polirone alla cultura giuridica italiana (secc. XI-XVI). Atti del Convegno..., San Benedetto Po... 2007, a cura di P. Bonacini - A. Padovani, San Benedetto Po 2009, pp. 45-115, in partic. pp. 99-105.