PISANELLO
. Antonio Pisano, detto il P., pittore e medaglista, nacque poco prima del 22 novembre 1395 da Bartolomeo da Pisa, drappiere, e da Isabetta del quondam Niccolò veronese; morì probabilmente nel 1450.
È probabile che abbia dipinto nel 1422 in Palazzo ducale a Venezia un episodio della leggenda di Alessandro III: Ottone che impetra dal padre Federico Barbarossa la pace con Venezia, pittura rifatta più tardi da Alvise Vivarini e da Giambellino. Ugual sorte subirono le altre pitture nel castello di Pavia, ricordate da Cesare Cesariano, eseguite dal Pisanello forse nel 1424. Nel 1425 fu pittore approvvigionato dei Gonzaga di Mantova; circa il 1426 dipinse a Verona nel monumento Brenzoni, in San Fermo. Recatosi a Roma, lavorò a continuare l'opera di Gentile da Fabriano, nella Basilica Lateranense. Riprese poi, con un passaporto di Eugenio IV, la via di Verona, fermandosi per qualche tempo a Ferrara, dove conobbe Leonello d'Este. A Verona giunse nell'agosto del 1432: vi si trovava il 16 novembre 1434, e anche alla fine del febbraio 1435, quando, per un suo familiare, mandò a Leonello, forse come dono di nozze, una tavoletta col ritratto di Cesare. Nel 1438 egli era di nuovo a Ferrara e vi eseguiva la medaglia dell'imperatore Giovanni Paleologo in occasione della sua dimora in quella città per il concilio. Da Ferrara fece ritorno a Mantova, ove parteggiò per il marchese Francesco Gonzaga, lo seguì nella conquista di Verona, e gli rimase fedele sino a pace conclusa, quando, nel marzo del 1442, si recò a Venezia per non esser ritenuto ribelle, e vi rimase sotto il giudizio del Consiglio dei Dieci. Il 15 febbraio 1443 il P. partì per Ferrara con il permesso di rimanere fuori di Venezia per due mesi e con la proibizione di andare a Verona o in territorio veronese, a Mantova o in terre dei Gonzaga. Gli fu concesso, infine, di tornare in patria e a Ferrara, ove si trovò di nuovo, nel settembre del 1443, e in seguito nel 44, nel '45, nel '47 e al principio del '48. Fu anche, durante questi anni, in Rimini alla corte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, e a Mantova nel 1447, prima di recarsi alla corte aragonese a Napoli. Nel 1441 aveva già lavorato per sei mesi intorno al ritratto di Leonello d'Este, quando, sopraggiunto Iacopo Bellini e messo a gara con Antonio Pisano, fu giudicato da Niccolò III, "primo" Iacopo "et poi il pisan secundo". Certamente l'acuto realismo del Veronese aveva urtato il padre di Leonello, al confronto con gli addolcimenti e le morbidezze del Veneziano. In Ferrara, oltre al ritratto dell'Estense, eseguì nel 1445 un quadro per la Delizia di Bellosguardo. Si rintracciano sue orme in quella città anche in una guasta tavoletta della raccolta Massari, raffigurante i santi Antonio abate, Francesco e Giorgio, e in una Resurrezione di Cristo a fresco nella chiesa di Sant'Apollinare. A Mantova, probabilmente nel 1447, dipinse su tela applicata a tavola un "nostro signor Dio" e affrescò una sala che fu detta "del Pisanello".
A cominciare dal 19 febbraio 1449, il P. lavorò a Napoli, approvvigionato da Alfonso I, a gettar medaglie e a disegnar colubrine. A Napoli, il Porcellio esaltò il medaglista, B. Facio ricordò fra le altre opere un S. Girolamo che adora il Crocifisso in un eremo popolato di animali "que vivere existimes". Questo quadro, lo stesso forse che il Pisanello donò al Guarino, è identificabile con la tavoletta di S. Girolamo ascritta al ferrarese Bono, di cui si legge la firma apocrifa, nella National Gallery di Londra.
Nel 1450 cessarono le lodi dei poeti: il "dispensatore d'eternità" era stato sorpreso da morte. Nel 1456 il Facio torna a celebrarlo e mostra di aver sentito nelle immagini del Pisanello prender forma i sogni d'una fantasia poetica. Ne sentì, con orgoglio di conterraneo, il Guarino la gloria, e se ne valse a mostrare la nobiltà dell'arte sorella della poesia. Avevan cantato di lui Angiolo Gallo, segretario di Federico da Montefeltro, il ferrarese Tito Vespasiano Strozzi, il Basinio, il Porcellio, esaltandone i ritratti, votati all'eternità, i paesaggi con rive di torrenti screziate di fiori, voli d'uccelli nelle boscaglie, cani latranti e fiere.
Antonio Pisano appartiene al gotico fiorito che si formò nell'Europa centrale e abbellì le corti signorili. In Italia ebbe centro a Verona, ove anche Stefano da Zevio si deliziò di fantasie lineari nordiche di timidi colori, di gracili forme. Gli si accosta il P., pure distinguendosene per il sottile rilievo della forma, per una struttura in qualche modo presaga di ritmi rinascimentali, e per la vivacità coloristica che prende il posto delle fievoli sinfonie intonate sui bianchi d'avorio.
L'opera di Antonio Pisano che più si avvicina alle incantevoli sinuosità della linea di Stefano potrebbe essere una Madonna nel Museo civico di Verona; e l'indizio maggiore della sua appartenenza al massimo genio del Quattrocento veronese è appunto un particolare tratto dal mondo svariatissimo della fauna pisanelliana, una quaglia con la testa piccina e schiacciata, l'occhio vitreo, studiata dal vero, ben lontana dalle convenzioni dei pittori animalisti della schiera di Giovanni de' Grassi. Più si definisce il carattere dell'arte del P. in S. Fermo a Verona, nella scena dell'Annunciazione, in un'esile inquadratura architettonica, come intreccio di canne per un roseto, e nella gotica sottigliezza della stanza di Maria. L'angelo, sulla soglia della casa della Vergine, svolge in un cerimonioso inchino lo splendido arcobaleno dell'ali.
Come una pagina di pergamena miniata si presenta il S. Eustachio della National Gallery di Londra, piccolo cavaliere sul cavallone massiccio, col fondo fiorito di uccelli multicolori. Ma la più ricca composizione rimastaci del P. è l'affresco nella chiesa di S. Anastasia a Verona, ove la leggenda di S. Giorgio è rappresentata in un momento eccezionale: l'attesa della lotta. L'eroe cristiano, pronto a spiccare il salto sul bianco cavallone, tende l'orecchio in ascolto del drago che sta per sopraggiungere; e tutte le circostanti figure, raccolte ad arco sul fondo d'una fragile città d'avorio, stanno in atteggiamento di sospensione e di attesa. L'affresco di S. Anastasia ci rivela il medaglista dalle rigorose inquadrature e dall'esiguo rilievo: ancor più esiguo nel busto di principessa estense al Louvre, simile alla figlia del re nella leggenda di S. Giorgio e ai due studî a penna per essa, sopra un foglio dell'Albertina di Vienna, campioni di trasognata bellezza pisanelliana.
Contemporaneo alle medaglie di Leonello d'Este è il ritratto di lui in una tavoletta della raccolta Morelli a Bergamo, severamente inquadrato, imperioso ed eroico. Il medaglista prende il sopravvento sul pittore, e gl'insegna a sfuggire i forti contrasti, a graduare i colori come i rilievi, tanto in questo ritratto, quanto nel contemporaneo quadretto della National Gallery di Londra con S. Antonio Abate, vecchio mago incappucciato, e San Giorgio in argentea armatura sul cupo fondo d'una siepe d'abeti.
La gloria maggiore del P. è l'arte della medaglia. Nessuno eguagliò il maestro veronese nella sottigliezza del rilievo, nella visione pittorica delle forme, nel ritmo sottile di contorni e scritte entro il cerchio. Passano davanti ai nostri occhi, nelle medaglie del Pisano, l'imperatore Giovanni Paleologo, con nobile profilo di Nazareno (vedi medaglia, XXII, tavola CXXXIII); Filippo Maria Visconti, con la sua cruda fisionomia; il condottiero Francesco Sforza, con le labbra volontarie e l'acuto sguardo; Niccolò Piccinino, chinando il volto amaro; Leonello d'Este, con le sue strane particolarità craniali, trasfigurato da impronta eroica. E passano Sigismondo Pandolfo Malatesta imperioso, Malatesta Novello malinconico, lo svelto profilo di Gianfrancesco e il ferreo volto di Ludovico Gonzaga. Dopo le figure di tanti duci, ecco, nella medaglia di Cecilia Gonzaga, Cicilia Virgo, il P. infondere delicatezza di stelo all'esile busto e al lungo collo. espressione di tristezza e di sogno alle infantili linee del volto. Par che il velo monacale avvolga quegli sfumati lineamenti, che l'ombra del chiostro annebbi l'occhio socchiuso. E tutta questa idealità si propaga dalla delicata immagine al paesaggio lunare del rovescio e all'angelica figurina della Castità, cullata dalla conca ondeggiante dei monti.
Prossime a questa medaglia son le altre di Vittorino da Feltre, che vive davanti a noi nella sua pensosa mitezza, di Belloto Cumano e di Pier Candido Decembrio. In quest'ultima medaglia si annuncia anzi la grandiosità propria alle medaglie del tempo napoletano, nelle quali il P. celebra Iñigo D'Ávalos e Alfonso d'Aragona superbo. Risuona del fasto spagnolesco dell'ostentata potenza aragonese, anche il rovescio d'una medaglia d'Alfonso, con l'aquila troneggiante nella sua corte d'uccelli da preda, erta, in atteggiamento di sfida, sul cielo, gonfia d'orgoglio. È la stessa identità prodigiosa tra l'immagine ritratta nel diritto e l'allegoria del rovescio, che si è notata nella medaglia di Cecilia Gonzaga, la stessa penetrazione lincea del carattere nella sua trasfigurazione poetica.
Queste medaglie chiudono il ciclo dell'opera di Antonio Pisano, di cui nessun medaglista eguagliò la precisione, il musicale ritmo, la delicatezza quasi atmosferica del modellato.
Pittore, chiuse trionfalmente l'epoca del gotico fiorito; medaglista, diede l'ispirazione al nostro Quattrocento, senza che alcuno ereditasse da lui l'infallibile poetica misura dei rapporti fra busto, composizioni, scritte e cerchio, l'agilità nervosa dell'artista che portò in sé l'eredità gotica dal settentrione pure accogliendo la disciplina progressiva della rinascita. (V. tavv. CIII-CVIII).
Bibl.: Opere generali: A. Venturi, Gentile da Fabriano e il Pisanello, in Le Vite di Giorgio Vasari, ed. critica con note, documenti, Firenze 1896; G. F. Hill, P., Londra 1903; G. Biadego, Pisanus Pictor, in Atti e memorie del R. Istit. veneto, LXVII, ii (1907-08), p. 837 segg.; LXVIII, ii (1908-09), p. 229 segg.; LXIX, ii (1909-10), pp. 183 segg., 797 segg., 1047 segg.; LXXII, ii (1912-13), p. 1315 segg.; K. Zoege v. Manteuffel, Die Bilder u. Zeichnungen des A. P., Halle 1909; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, i, Milano 1911, pp. 240-70; R. van Marle, The Devlopment of the Italian Schools of Painting, VIII, L'Aia 1927; G. F. Hill, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, Lipsia 1933 (con ampia bibl.). - Sulle medaglie di P.: J. de Foville, P. et les méd. ital., Parigi 1909; H. Nocq e L. Marotte, Les médailles d'A. P., Parigi 1914; G. F. Hill, A corpus of Italian Medals of the Renaissance before Cellini, Oxford 1930, pp. 6-13. - Sui disegni di P.: Les dessins de P. et de son école conservés au Musée du Louvre, Parigi e Bruxelles 1929. - Inoltre: A. Venturi, Orme del P. a Ferrara, in L'Arte, XXXVI (1933), pp. 435-43.