VASSENA, Pietro.
– Nacque il 21 aprile 1897 a Malgrate, un borgo sulle rive del lago di Como, nei pressi di Lecco. Il padre Luigi gestiva con la moglie, Francesca Benasedo, un’osteria nel centro del paese.
La sua formazione – che effettuò come autodidatta, perché studiò solo fino alla terza elementare – venne profondamente segnata dall’entusiasmo per il progresso scientifico e tecnologico dell’epoca e dall’incessante sviluppo industriale, che, nel caso specifico dell’ambiente in cui egli viveva, aveva trasformato la zona di Lecco in un distretto specializzato nella produzione metallurgica e meccanica.
Vassena è una figura unica nel panorama italiano del Novecento: allo spirito temerario, alla personalità creativa ed estroversa, abbinava un deciso pragmatismo. Possedeva una notevole capacità di apprendimento e di rielaborazione applicativa, al punto che nel 1940 il Politecnico di Milano gli conferì la laurea honoris causa in ingegneria. Attraversando un’epoca di continua e sempre più rapida evoluzione della società italiana, ne seppe intuire e interpretare in modo propositivo ed entusiasta molte trasformazioni, dal punto di vista tecnico ma anche sociale e culturale.
Ultimo inventore ‘puro’, spinto dal bisogno di affrontare sempre nuove sfide prima che da calcoli meramente economici, Vassena fu tuttavia anche imprenditore, con una quarantina di brevetti, e ideatore di originali campagne pubblicitarie, in cui utilizzò, in anticipo sui tempi, se stesso come testimonial.
Il talento di Vassena si estrinsecò principalmente in due settori: il trasporto via terra e quello via mare. Le sue molteplici invenzioni, le soluzioni tecniche e tecnologiche d’avanguardia, si svilupparono in questi due ambiti parallelamente, prima e dopo la seconda guerra mondiale.
Nel 1916 venne arruolato come bersagliere ciclista, e durante la guerra operò sempre nelle retrovie, ma l’esperienza di portare ordini con un mezzo inadeguato gli fu da stimolo: assunto dopo la guerra come apprendista in una fabbrica di Lecco, la Faini, costruì il Bicimotore, applicando un propulsore di 90 cc a una bicicletta. Con questo vinse, nel 1923 a Milano, una ‘gara di minor consumo’ organizzata dalla rivista Motociclismo. Dopo aver progettato una vera motocicletta per la Faini, a partire dal 1925 realizzò le motociclette a marchio Vassena, con cui avrebbe anche gareggiato, insieme ad altri giovanissimi piloti, per alcuni anni. Nel frattempo sposò Otorina Merli, che gli avrebbe dato tre figli: Franco, Mario e Angelo. Quest’ultimo, avventuroso come il padre, sarebbe diventato un campione di motonautica.
Parallelamente ai trasporti via terra, Vassena cominciò a occuparsi di quelli via mare. Fin dal 1923 progettò e realizzò motori fuoribordo, che furono adottati anche dal ministero della Guerra per il Genio pontieri lagunari.
Mentre continuava a produrre le proprie moto, nel 1932 realizzò gli Sci acquei (poi denominati Skivas): erano dei galleggianti, inizialmente in ferro (dopo il 1950 in vetroresina), con un’originale coppia di racchette terminanti con due pale, che in una direzione fornivano la spinta per muoversi e nell’altra scorrevano sull’acqua, fungendo da timone e bilanciere.
Nel 1939, stimolato dalla penuria di carburanti conseguente alla politica autarchica italiana, tornò al trasporto via terra inventando l’Autargas, un apparecchio funzionante a miscela calda da gas di oli di scarto. L’Autargas venne sostituito nel 1941 dai Gasogeni, alimentati da legna o carbonella, che vennero montati su auto, camion, trattori e addirittura su alcuni locomotori ferroviari. La loro produzione impegnò centoventi dipendenti, per lo più giovanissimi, in tre stabilimenti della zona di Lecco.
L’impresa che trasformò Vassena in un personaggio popolare, a livello nazionale e anche internazionale, fu però quella del record del mondo in immersione con pilota a bordo, che conseguì nel 1948 nelle acque del lago di Como con il batiscafo C3, progettato, costruito e pilotato dall’inventore stesso.
L’origine del nome è singolare: il 28 aprile 1945 Vassena era stato arrestato con l’accusa di collaborazionismo per le forniture dei Gasogeni ai tedeschi; era stato rinchiuso in una scuola elementare di Lecco riadattata a carcere, nella cella numero 3 (era stata l’aula della classe terza). Venne liberato dopo pochi giorni, grazie all’intervento di alcuni comandanti partigiani e alla presentazione di prove inconfutabili a suo discarico. Ma la sigla C3 (cella 3) gli sarebbe rimasta impressa nella memoria, e così avrebbe chiamato il suo batiscafo.
Già nel periodo in cui era stato detenuto aveva cominciato a lavorare sul progetto di questo sottomarino, il cui scafo era costituito da un tubo di lamiera d’acciaio (di circa 10 mm di spessore), con un diametro di 1,50 m, una lunghezza di 8 m e un dislocamento di circa 10 tonnellate. La sagoma, a forma di siluro, con due serbatoi collocati inferiormente, era stata munita a poppa di un timone di direzione e di un timone di profondità. Nella parte superiore prodiera si collocavano la torretta di comando, dotata di quattro oblò in cristallo, e il portello bombato, con la chiusura ermetica. A bordo furono sistemati un motore a benzina (da 80/100 hp) per la navigazione di superficie e un altro, elettrico (10 hp), per la navigazione in immersione. Dalla prua scaturiva una lunga tenaglia, manovrabile dall’interno. L’immersione e l’emersione avvenivano per mezzo di bombole di aria, collegate con i due galleggianti fissati sotto lo scafo: riempiendoli d’acqua l’apparecchio s’immergeva, mentre svuotandoli poteva risalire in superficie.
La realizzazione pratica del C3 impegnò Vassena dall’autunno del 1945 alla fine del 1947, e si avvalse della collaborazione di Nino Turati, un ex sommergibilista (durante la guerra aveva fatto parte dell’equipaggio del celebre sommergibile Enrico Toti); questi sarebbe stato in seguito anche copilota del batiscafo. Dopo aver effettuato, nel gennaio del 1948, alcune prove ‘a secco’ (per verificare il tempo di resistenza respiratoria all’interno del batiscafo), Vassena e Turati furono pronti per il varo del C3, che avvenne a Lecco la mattina del 19 febbraio. I test positivi delle prime immersioni, effettuati a profondità sempre più elevate nel lago di Como, convinsero l’inventore a effettuare il tentativo di battere il record mondiale non nella zona di Lecco ma ad Argegno (in provincia di Como), dove il lago è più profondo. Per risparmiare carburante, Vassena decise di far trascinare il batiscafo da un ‘comballo’ (le tradizionali navi a vela usate per il trasporto di merci pesanti nel lago di Como); inoltre, per comunicare con chi era in superficie stabilì di utilizzare un semplice cavo telefonico, collegato a una cornetta sistemata in una pentola prestata dalla moglie, a fianco di un contaminuti da cucina che serviva da sistema di allarme.
Il C3 toccò il fondo del lago alle 13:16 del 12 marzo; il manometro registrò la profondità record di 412 metri. La notizia dell’impresa di Vassena fece il giro del mondo: i maggiori quotidiani e periodici, nazionali ed esteri, se ne occuparono ampiamente. Il batiscafo venne esposto al Palazzo Reale di Milano (dove ricevette la visita del presidente della Repubblica, Luigi Einaudi) e a Genova.
Il record stupì anche il fisico svizzero Auguste Piccard, pioniere riconosciuto dell’esplorazione dell’alta atmosfera e delle profondità marine, che nella primavera del 1948 volle incontrare più volte il geniale artigiano-inventore, per capire le soluzioni tecniche usate nel C3.
Ma Vassena, non pago, nell’estate del 1948 effettuò nuovi test in mare, nel golfo del Tigullio, sino a 200 m di profondità. I risultati lo convinsero ad accettare la proposta, avanzata dall’Università di Napoli, di tentare immersioni al largo di Capri, dove sarebbe stato possibile superare i 900 m di profondità.
Dopo un primo tentativo, conclusosi con un affondamento, il batiscafo venne recuperato grazie a una straordinaria campagna di solidarietà, ma il 16 novembre, per un errore di manovra del personale della Marina militare, si ruppe il cavo di traino del pontone Tenace e il C3 finì sul fondo del mare di Capri, questa volta per sempre. Vassena intentò anche causa alla Marina, ritenuta responsabile dell’incidente, ma non venne mai risarcito. L’individuazione del punto di inabissamento del C3 con mezzi più moderni sarebbe stato tentato dal figlio Angelo nel 1988, purtroppo con risultati negativi.
Negli anni del dopoguerra Vassena, nonostante fosse impegnato dal progetto del C3, costruì anche altri prototipi in campo nautico e motociclistico.
In campo nautico, nel 1946 progettò un motore fuoribordo monocilindrico di soli 6 kg di peso, con 1,5 hp di potenza e 33 cc di cilindrata (velocità stimata di 5 miglia orarie): era l’Elios, capostipite di una serie fortunatissima, che proprio per le ridotte dimensioni e la versatilità avrebbe riscosso successo anche in America e in Africa, grazie alla collaborazione siglata nel 1951 con la Carniti di Oggiono. Questa azienda e Vassena debuttarono al Salone nautico della Fiera di Milano con una nuova versione dell’Elios, che segnò l’inizio di un felice percorso d’affermazione globale dei motori fuoribordo dell’azienda, durato almeno un ventennio.
In ambito motociclistico, invece, l’inventore realizzò il primo motore bicilindrico a due tempi, grazie all’accordo, siglato nel 1949 con l’industriale bergamasco Donnino Rumi, per la costruzione di una nuova moto: la Rumi 125, di cui nel 1950 iniziò la produzione commerciale. I motori di Vassena resteranno nella storia del motociclismo, anche sportivo, grazie ai tanti successi che la Rumi colse non solo sul mercato, ma anche in gara. L’azienda di Bergamo avrebbe prodotto motociclette sino al 1962, anno della sua chiusura. Nel decennio 1950-60 Vassena cercò inoltre di sviluppare una collaborazione anche con la Carniti, per cui stava già realizzando i motori nautici: progettò alcuni prototipi, che però non ebbero uno sbocco seriale per i costi troppo elevati.
Molti altri sono stati i campi in cui si è estrinsecato il genio creativo di Vassena: nel campo del design italiano, ad esempio, può essere considerato un pioniere assoluto, seppure meno noto. Per alcuni prototipi (dall’auto Volpe alla moto Carniti 200 Bersagliera) si era rivolto alla carrozzeria torinese Ghia, ma anche nelle moto progettate totalmente in autonomia l’originalità delle soluzioni a livello meccanico si accompagnava, o era addirittura determinata, da scelte di carattere estetico. Un’altra sua idea avveniristica, in cui tecnologia e design si sposarono, fu la realizzazione, nell’autunno del 1949, di una sveglia interamente in materiale plastico, considerata l’antenata degli Swatch dei nostri giorni. Nonostante l’abbandono della produzione dopo pochi anni, a causa della scarsa resistenza della plastica di allora, l’eredità tecnica e culturale della sveglia ‘trasparente’ resta, però, significativa.
Negli ultimi anni Vassena si dedicò ai progetti più visionari: dai go-kart alla creazione del Grillo, un mezzo che poteva volare come un elicottero e camminare su strada e sull’acqua, dalle stazioni turistiche galleggianti agli esperimenti con l’energia all’idrogeno. Il 1960 vide anche la realizzazione del kart cingolato Snowkart, con motore Italkart, bicilindrico, con cilindrata di 175 cc e trasmissione a tre velocità, adatto a muoversi anche su terreni innevati, che può essere considerato un antenato delle moderne motoslitte e dei ‘gatti delle nevi’.
Si spense il 21 maggio 1967; solo tre anni prima aveva ‘camminato’ sulle acque dell’Idroscalo di Milano con i suoi Skivass, elegantissimo e senza salvagente, in occasione della Fiera campionaria.
Fonti e Bibl.: A. Benini - M. Corti, P. V. e il suo C3. Storia di un inventore, Oggiono 1999; L’uomo che camminava sulle acque. P. V., il C3 e il mito dell’inventore, a cura di M. Rossetto et al., Oggiono 2018.