VANNI, Pietro
VANNI (Vannes), Pietro. – Nacque a Lucca nel 1488. Il padre era Stefano Vanni, mentre la madre apparteneva forse alla nobile famiglia Della Rena. Andrea Della Rena (Andrea Ammonio), in una lettera del carteggio di Erasmo da Rotterdam di cui era intimo amico, è definito consobrinus di Vanni (Opus epistolarum Des. Erasmi Roterodami, 1906-1958, III, 1913, p. 77).
Vanni giunse a Londra nel 1513, in qualità di assistente di Ammonio (Hunt, 2004). Anche Silvestro Gigli, vescovo di Worcester, e Pietro Griffi furono probabilmente suoi mentori. Fu proprio Gigli a presentarlo a Thomas Wolsey, di cui poi divenne segretario alle lettere latine nel 1514, prima che questi fosse creato cardinale il 10 settembre 1515. Ciononostante Vanni rimase vicino ad Ammonio, e quando egli morì, il 17 agosto 1517, spedì a Lucca un resoconto di prima mano sulla sua morte. Scrisse poi subito a Wolsey, per chiedere di subentrare nel godimento dei benefici resi vacanti dalla morte del cugino. Succedette inoltre ad Ammonio come segretario alle lettere latine di Enrico VIII, carica che ricoprì già dall’aprile del 1518 (Clough, 1981, p. 138; Rundle, 2019, p. 266). Suscitò lo sdegno di Erasmo, quando, avendo quest’ultimo chiesto a Vanni di avere le lettere dell’ultima corrispondenza privata avuta con Ammonio, che si trovavano tra le sue carte, non ottenne risposta, («Quae bestia potest esse sceleratior Petro Ammonio?», cfr. Opus epistolarum Des. Erasmi Roterodami, 1906-1958, III, 1913, epp. 822, 828 (23 aprile 1518), pp. 290 s., 294). Secondo Cecil H. Clough (1981, p. 137), questa brusca reazione di Erasmo rifletteva la frustrazione e il disappunto dell’umanista per non essere stato nominato segretario latino di Enrico VIII. Alcuni anni dopo, comunque, Erasmo avrebbe mandato dei saluti a Vanni per tramite di Stephen Gardiner, mostrando così di aver dimenticato l’accaduto.
Vanni accumulò un gran numero di benefici minori, che si aggiunsero al reddito che proveniva dagli uffici di corte. Il 12 novembre 1521 gli fu conferito il beneficio di Mottram, nella diocesi di Coventry e Lichfield. Nel 1526, poi, provò senza successo ad assicurarsi il vescovado di Lucca; è tuttavia improbabile che questo fosse un preludio al suo possibile ritorno. Ottenne prebende in commendam a Bedwyn (1529), South Grantham, e Shipton (1545), tutte nella diocesi di Salisbury; Compton Dundon (diocesi di Wells); Cublington (1532-63, diocesi di Hereford); Bole (1535-63, diocesi di York); e Caddington (diocesi di St. Paul’s, Londra, 1542-63). Le pensioni furono un’altra fonte di guadagno, come per esempio quella ottenuta in seguito allo scioglimento della prioria di Beverley, nel 1536.
Nel 1523, prima di prendere gli ordini, Vanni fu insignito della laurea in teologia a Cambridge (Venn - Venn, 1927). Ma gli impegni di corte furono sempre prevalenti, e il suo ruolo sul finire degli anni Venti incluse anche incarichi diplomatici, principalmente per il divorzio del re da Caterina d’Aragona. Per questo negoziato la sua prima missione consistette nell’accompagnare Wolsey e Gardiner in Francia nel settembre del 1527 (Sharkey, 2011, p. 245). Successivamente, il 28 novembre 1528, lasciò l’Inghilterra nuovamente con sir Francis Bryan. Furono a Roma con Gregorio Casale, e ivi Vanni incontrò per la prima volta Guido Giannetti da Fano, un uomo più tardi considerato suo protegé (Overell, 2019, p. 81). Il 1° dicembre Vanni ricevette istruzioni di ‘intimidire’ il papa con queste parole: «Signore, essendo io italiano, non posso far altro che spiegare a sua Santità, con senno e zelo più fervente di chiunque altro, quel ch’io prevedo a tal riguardo»: vale a dire che non solo il re inglese, ma «molti altri principi suoi amici e alleati [...] ritireranno la loro devozione e obbedienza [...] riflettendo sulle ragioni della sua ingratitudine» (G. Burnet, The history of the reformation..., 1679, p. 48). Il periodo di Vanni a Roma fu senz’altro un’importante tappa formativa, e ciò che apprese in materia di inganno e dissimulazione gli fu utile per tutte le successive missioni (Fletcher, 2012, p. 86). Tuttavia quell’ambasceria fu un fallimento, e quando Vanni tornò in Inghilterra nell’ottobre del 1529, Wolsey fu accusato di alto tradimento. Dopo la sentenza di scomunica del re Enrico VIII da parte di papa Clemente VII nel 1533, a Vanni fu affidata un’altra missione diplomatica, questa volta a Marsiglia, insieme a Edmund Bonner, con lo scopo di informare il pontefice che il re si sarebbe appellato al Concilio generale (Letters and papers, foreign and domestic, Henry VIII, VI, a cura di J. Gairdner, 1882, p. 1335).
Il fatto che Vannes avesse passato indenne quel periodo pericoloso, mantenendo il favore del re, lo portò a ottenere altre importanti nomine ecclesiastiche: arcidiacono di Worcester (1534-63) e decano di Salisbury nel settembre del 1536 (Fasti Ecclesiae anglicanae..., 1986, ad ind.). Fu anche eletto canonico di St. Frideswide, a Oxford, insieme ad Anthony Cooke e John Cheke, entrambi esuli in Veneto durante il regno di Maria Tudor (Londra, British Library, Lansdowne, 981, cc. 19r-20r).
Dopo che il Parlamento della Riforma ratificò l’atto del 18 luglio 1536, con il quale si ribadiva il disconoscimento dell’autorità del vescovo di Roma, Vanni partecipò all’assemblea che approvò gli Articoli della fede. La sua sottoscrizione agli Articoli, in qualità di arcidiacono di Worcester, e quella dell’urbinate Polidoro Virgilio, arcidiacono di Wells (G. Burnet, The history of the reformation..., cit., p. 315), sono stati considerati «semplicemente atti di prudenza di fronte a un principe onnipotente» (Hay, 1949, p. 143). Un altro significativo appannaggio che Vanni si assicurò prima della rottura finale con Roma fu quello della collettoria dell’Obolo di S. Pietro, le tasse ecclesiastiche raccolte in Inghilterra e pagate alla Curia.
Un breve, datato 26 gennaio 1532 rivela che Vanni ricoprì tale ufficio; tuttavia, la collettoria era stata resa considerevolmente meno invitante, da un punto di vista finanziario, per via di una cospicua pensione pagata al cardinale Niccolò Ridolfi. Inoltre la rottura con Roma comportò che da quel momento in poi tutti i pagamenti sarebbero stati corrisposti alla Corona inglese. Diversi anni dopo, Vanni si sarebbe lamentato di aver «sostenuto pesanti costi e difficoltà a causa di quella pensione» (Calendar of State papers foreign, Mary, a cura di W.T. Turnbull, 1861, p. 296, 25 novembre 1554).
Dai tardi anni Trenta, Vanni si impegnò completamente nella Riforma di Enrico. Tuttavia, in quel momento di intensi conflitti e interrogativi religiosi, circolò la voce che anche Vanni avesse deciso di limitare i danni. All’inizio del 1541, l’ambasciatore francese, Michel de Marillac, riferì che era fuggito dall’Inghilterra, gesto che gli riusciva difficile comprendere, poiché «Egli [Vanni] godeva di grandi benefici lì mentre non aveva nulla di là dal mare; inoltre, essendo stato in Inghilterra uno dei principali artefici della soppressione dell’autorità della Santa Sede, non sarebbe il benvenuto in nessun altro paese, se non luterano», dove peraltro sarebbe stato sempre povero (Overell, 2019, p. 81). La notizia era infondata e pochi anni dopo Vanni ricevette una pensione speciale dopo lo scioglimento del collegio King Henry VIII, che fu poi rifondato come Christ Church nel 1546 (Hunt, 2004).
Nel 1549, sotto re Edoardo, fu nominato nuovamente segretario alle lettere latine, ma stavolta ‘vita natural durante’. Giunse, tuttavia all’apice della sua carriera, nell’estate del 1550, quando fu nominato ambasciatore a Venezia, carica in cui succedette a Edmund Harvel.
Lo certifica un documento del 4 maggio, in cui si dà mandato al tesoriere di «pagare al Sig. Pietro Vanni, ora nominato ambasciatore per Venezia, l’ammontare di quaranta scellini per diem per la sua dieta». Decenni prima, durante la sua missione a Roma, Vanni aveva conosciuto il cardinale Gaspare Contarini, che lo aveva descritto come «una persona molto amabile e, essendo lucchese, ben visto dalla Signoria [di Venezia]» (Overell, 2019, p. 79). In qualche modo, fu un presagio.
Al suo arrivo, gli diede il benvenuto il cardinale Ercole Gonzaga, con una lettera datata 7 settembre (p. 82 nota 35). Vanni fu inoltre autorizzato dal Consiglio reale di Londra a ritornare brevemente a Lucca nell’ottobre del 1551.
La sua nuova posizione suscitò invidia, particolarmente tra coloro che si ritenevano maggiormente qualificati. Uno di questi fu Richard Morrison, ambasciatore inglese alla corte imperiale a Halle, che scrisse a sir William Cecil nel febbraio del 1552: «felice e tre volte felice è Pietro Vanni che presta servizio nella sua terra natia, e dove, dati i tempi, può essere fatto un ottimo lavoro!». Morrison aggiunse che desiderava che Vanni fosse tanto stanco di trovarsi lì quanto lui lo era di trovarsi in Germania, e che avrebbe potuto trascorrere un anno o due a Venezia (Calendar of State papers foreign, Edward VI, a cura di W.T. Turnbull, 1861, pp. 210-212).
Vanni, a Venezia, era diventato amico di ‘eretici’, ascoltava i sermoni ereticali e leggeva i testi della Riforma che vi circolavano (Overell, 2019, pp. 84 s.).
Nel 1553, dopo l’ascesa di Maria I, tutto cambiò. Il costo della dissimulazione in materia di fede era alto, poiché si mettevano in pericolo corpo e anima, ma M. Anne Overell (2019) osserva che: «i funzionari di governo si trovavano in quella terra di confine dove le aspirazioni professionali collidevano con i precetti religiosi» (p. 79). Quando il 5 novembre 1553 arrivò la conferma del suo posto come ambasciatore della regina Maria, Vanni ricevette l’incarico di sorvegliare gli esuli protestanti che avevano abbandonato l’Inghilterra. Il suo ‘voltafaccia’ divenne evidente quando giustificò la decisione della regina di condannare al rogo Thomas Carnmer (25 aprile 1556, London, British Library, Harley, 5009, cc. 94r-95r; Overell, 2008, p. 131 nota 34). L’eccezionale efficacia della rete epistolare di Vanni è stata oggetto di uno studio di Ruth Ahnert (2016), nel quale gli viene attribuito un prestigio secondo solo alla regina stessa (p. 139).
Alcuni dei fuoriusciti che arrivarono in Veneto erano sospettati di tramare contro la regina. Tra questi, Edward Courtenay, cugino della regina e conte del Devonshire. Courtenay, che aveva trascorso gran parte della giovinezza nella Torre di Londra, era il traduttore in inglese del Beneficio di Cristo, nonché cugino del cardinal Reginald Pole. Le ragioni dell’improvvisa morte di Courtenay nel settembre del 1556 non sono chiare (Overell, 2019, pp. 91, 96-112), ma Kenneth R. Bartlett (1991) sostiene che potrebbe esser stato avvelenato da Vanni, dietro istigazione di Filippo II di Spagna marito della regina Maria Tudor, e dell’imperatore (p. 135). Non possiamo esser sicuri, tuttavia, che Vanni abbia avuto effettivamente un ruolo in questo episodio. È certamente significativo, comunque, che egli fu richiamato quello stesso anno, prendendo congedo formale dal doge Lorenzo Priuli il 1° dicembre (Calendar of State papers foreign, Mary, cit., p. 562).
In una lettera dell’agosto del 1555 Vanni ricapitolava gli anni di servizio prestati al Paese d’adozione, e poneva in risalto il suo ruolo di grande sopravvissuto a quei regni turbolenti: «per quarant’anni ho completamente immolato me stesso, la mia volontà, il mio impegno, sino allo stremo delle forze al servizio della nobilissima Corona d’Inghilterra» (Londra, British Library, Harley, 5009, cit. in Overell, 2019, p. 77).
Gli anni rimanenti del regno di Maria I videro Vanni tentare invano di riguadagnare la collettoria, senza che Pole lo supportasse, per giunta (The correspondance of Reginal Pole, 2004, ad ind.). Nel 1558, poi, Vanni si adattò ancora una volta a un nuovo clima religioso: quello che si instaurò all’indomani dell’ascesa al trono di Elisabetta I. Conservò dunque i suoi benefici, che gli permisero senz’altro di vivere agiatamente. Nel luglio del 1562 redasse due testamenti (Hunt, 2004; Londra, National Archives, Records of the Prerogative Court of Canterbury, 11/46, 161v-162r, 173rv). Il 6 maggio 1563 rassegnò le dimissioni dal suo ruolo di «decano di Salisbury e morì nel giro di quattro giorni» (London, British Library, Lansdowne, 981, c. 20r).
I suoi lasciti personali andarono alla famiglia; una mucca e un letto di valore ad Alice, forse la sua amante; e tutte le sue proprietà lucchesi a Benedict Hudson, probabilmente suo figlio illegittimo.
La posizione che Vanni aveva raggiunto incoraggiò altri umanisti italiani a cercare il patronage della corte inglese. Nel 1542 Pietro Aretino aveva mandato una copia del suo secondo volume di lettere a Enrico VIII, al quale era dedicato; Ortensio Lando, nel 1550, aveva dedicato a Vanni le sue Miscellaneae questiones (Overell, 2019, p. 84).
Fonti e Bibl.: Londra, British Library, Lansdowne, 981: Additions to the Report of Mr Wood concerning Master Peter Vannes Dean of Sarum, 1563, cc. 19r-20r; Harley, 5009: Peter Vannes Letter Book; National Archives, Records of the Prerogative Court of Canterbury, 11/46, 161v-162r, 173rv. G. Burnet, The history of the reformation of the Church of England, London 1679 (https:// quod.lib.umich.edu/ e/eebo/A30352.0001.001, 26 febbraio 2020); Calendar of State papers foreign, Edward VI, 1547-1553, a cura di W.B. Turnbull, London 1861 (British history online: http://www. british-history.ac.uk/cal-state-papers/ foreign/ edw-vi/pp210-212, 26 febbraio 2020), Mary, 1553-1558, a cura di W.B. Turnbull, London 1861 (British history online: http://www. british-history.ac.uk/cal-state-papers/foreign/ mary/pp278-281, 26 febbraio 2020); Letters and papers, foreign and domestic, Henry VIII, VI, 1533, a cura di J. Gairdner, London 1882 (British history online: http://www.british-history.ac.uk/letters-papers-hen8/vol6, 26 febbraio 2020).
Opus epistolarum Des. Erasmi Roterodami, a cura di P.S. Allen, I-XII, Oxonii 1906-1958, ad ind.; J. Venn - J.A. Venn, Alumni cantabrigienses, IV, Cambridge 1927, p. 294; D. Hay, The life of Polydore Vergil of Urbino, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 1949, n. 12, pp. 132-151; W.E. Wilkie, The cardinal protectors of England: Rome and the Tudors before the Reformation, Cambridge 1974, pp. 145, 156, 169, 231; C.H. Clough, Erasmus and the pursuit of English royal patronage in 1517 and 1518, in Erasmus studies, 1981, vol. 1, pp. 126-140; Fasti Ecclesiae Anglicanae 1541-1857, VI, Salisbury Diocese, a cura di J.M. Horn, London 1986, p. 25 (British history online: http://www. british-history.ac.uk/fasti-ecclesiae/1541-1847/vol6/p25, 26 febbraio 2020); K.R. Bartlett, The English in Italy 1525-1558. A study in culture and politics, Geneva 1991, pp. 50 s., 81, 85, 135; L.E. Hunt, Vannes, Peter, in Oxford Dictionary of national biography, a cura di H.C.G. Matthew - B. Harrison, LVI, Oxford 2004; The correspondence of Reginald Pole, a cura di T.F. Mayer, III, Aldershot 2004, pp. 173, 479; A. Overell, Italian reform and English reformations, c.1535-c.1585, Farnham 2008, ad ind.; J. Sharkey, Between king and pope. Thomas Wolsey and the knight mission, in Historical research, 2011, vol. 84, n. 224, pp. 236-248; C. Fletcher, Our man in Rome. Henry VIII and his Italian ambassador, London 2012; R. Ahnert, Maps versus networks, in News networks in early modern Europe, a cura di J. Raymond - N. Moxham, Leiden 2016, pp. 130-157; M.A. Overell, Nicodemites. Faith and concealment between Italy and Tudor England, Leiden 2019, pp. 76-95; D. Rundle, The Renaissance reform of the book and Britain: the English Quattrocento, Cambridge 2019, p. 266.