TAMBURINI, Pietro.
– Nacque a Brescia il 1° gennaio 1737, primogenito di Giovanni Battista, commerciante finito in povertà, e di Giulia Longhena, battezzato nella parrocchia di S. Agata.
Dal 1752 cominciò a studiare prima filosofia e poi teologia tomistica con il domenicano Vincenzio Pavoni presso gli oratoriani della Pace, dove venne in contatto con lo spirito giansenisteggiante, là rappresentato da Pietro Camillo Almici. Passò poi a studiare storia ecclesiastica e diritto canonico, mentre si avvicinava agli scritti di Jacques-Bénigne Bossuet e Zeger-Bernard van Espen, e leggeva filosofi contemporanei che lo motivarono ad avvicinarsi al pensiero agostiniano.
Ordinato sacerdote nel 1760, dal vescovo Giovanni Molin fu chiamato a insegnare nel seminario diocesano prima metafisica e poi teologia, trattando in funzione antimolinista e in maniera innovativa il tema della grazia, al centro anche del suo primo saggio in materia (De Summa catholicae de gratia, Brixiae 1771). Un ex gesuita, il canonico penitenziere di Vicenza Cristoforo Muzzani, attaccò per primo, in forma anonima, la sua opera con l’opuscolo Lettere di un curato campestre... (1772). Il vescovo Molin, nel frattempo creato cardinale, fu costretto ad allontanare dal seminario i due suoi più chiacchierati docenti: Tamburini e il fraterno amico Giuseppe Zola, che insegnava teologia morale. La notizia suscitò una compatta solidarietà da parte del circolo filogiansenista romano, che si mobilitò per trovar loro un’occupazione stabile nell’Urbe: Tamburini prefetto degli studi nel Collegio irlandese e Zola nel Collegio Fuccioli.
Al Collegio irlandese conobbe e frequentò il generale degli agostiniani Francesco Saverio Vasquez, i domenicani Serafino Meccarinelli e Tommaso Agostino Ricchini, gli eruditi fiorentini Giovanni Gaetano Bottari e Pier Francesco Foggini, lo scolopio Giovanni Battista Molinelli, il futuro vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci, il barnabita Francesco Antonio Alpruni e molti altri che avrebbe incrociato in seguito. Per le riunioni del circolo romano approntò le Analisi del libro delle prescrizioni di Tertulliano (Pavia 1781) e vari altri saggi su argomenti vicini al gallicanesimo e al febronianesimo. Ebbe contatti anche con esponenti della Chiesa di Utrecht, che avrebbe apertamente difeso nelle sue pubblicazioni. Ma, dopo la morte di Clemente XIV, Roma divenne meno accogliente verso i filogiansenisti. L’amico Zola, che già nel settembre del 1774 aveva ottenuto l’insegnamento di storia ecclesiastica presso l’ateneo di Pavia, sul finire del 1777 riuscì a far chiamare anche Tamburini a insegnare teologia morale; la docenza iniziò al principio del 1778. L’anno seguente Tamburini dettava, come prolusione, una Dissertatione de ethicae Christianae praestantia, poi apparsa nei quattro volumi delle sue lezioni sulla materia (Praelectionum de iustitia Christiana et de sacramentis, Ticini 1783-1788).
Nell’ambiente pavese, protetto dall’autorità imperiale, Tamburini diede alle stampe opere teologiche. Apparvero l’Analisi delle Apologie di S. Giustino martire con alcune riflessioni (Brescia 1780), i Ragionamenti sul primo libro di Origene contro Celso (Pavia 1786) e la già ricordata Analisi del libro delle prescrizioni di Tertulliano.
In questi libri egli illustrava le regole di vita della Chiesa dei primi secoli ed esaltava la purezza della tradizione, al cui confronto passavano in secondo ordine le disposizioni della gerarchia ecclesiastica dei suoi tempi.
Spinse a migliorare l’insegnamento biblico con l’ebraico e l’apparatus, e a introdurre nel regolamento degli studi anche una cattedra de locis theologicis, sua dal 1786. Con la nascita del seminario generale di Pavia per la formazione del clero lombardo, non più autorizzato a perfezionare gli studi a Roma, fu fatto prefetto degli studi.
Il 5 dicembre 1790 Tamburini raccolse il premio della sua fedeltà alla politica culturale dell’Impero asburgico e fu nominato rettore dell’Università di Pavia (Poesie per la elezione in Rettore Magnifico della R.I. Università di Pavia, Pavia 1790).
All’apice delle sue fortune, Tamburini dovette affrontare le contestazioni più dure che gli furono mosse da chi non condivideva le recenti scelte di politica ecclesiastica dell’Impero e le sue personali posizioni teologiche contro il centralismo romano, l’infallibilità pontificia e il molinismo. Le obiezioni partirono dalla sua Brescia, dove il nuovo vescovo, Giovanni Nani, promosse una dura polemica, sostenendo il rettore del seminario, Paolo Collini, che aveva dato alle stampe una Lettera di un cattolico romano a Pietro Tamburini (Piacenza 1782), in cui al teologo di Pavia si dava l’appellativo di «Lutero d’Italia». Bandì gli scritti di Tamburini, peraltro già proibiti da Roma, e negò gli ordini a chi seguiva le sue dottrine. In diocesi, tuttavia, non erano pochi i membri del clero che simpatizzavano per lui e le sue idee. Qualcuno insegnava proprio in seminario, come il suo ex alunno Giovanni Battista Marini, che, allontanato, passò a insegnare all’Accademia ecclesiastica di Livorno. Altri poi ne presero le difese con libri e opuscoli, come il camuno Giovanni Battista Guadagnini o l’abate Giovanni Battista Rodella o il cappuccino Viatore da Coccaglio.
Tamburini replicò con le prime due Lettere di un teologo piacentino a monsignor Nani vescovo di Brescia (Piacenza 1782). Ma Nani sollecitò due altri libri: le Osservazioni critico-teologiche di Gaetano da Brescia (Assisi 1783) dell’ex gesuita cileno Diego José Fuensalida, teologo di fiducia del cardinale Barnaba Chiaramonti (futuro Pio VII), a Imola, e l’anonima Risposta d’un teologo ad un’amico [sic] sopra il libro del signor D. Pietro Tamburini, bresciano (Bologna-Roma 1784). A essi seguì la Lettera III sulla logica dei teologi di monsignor Nani (Piacenza 1785), cui seguì, in difesa del vescovo Nani, il volume dell’ex gesuita bergamasco Giovanni Vincenzo Bolgeni, Il critico corretto (Macerata 1786).
La polemica non scalfì Tamburini, che approfondì le sue posizioni regaliste nel volume Vera idea della Santa Sede (Pavia 1784), forse la sua opera maggiore e più fortunata. Tradotta più tardi in lingua spagnola, ebbe grande influenza sulla politica di emancipazione dell’America Latina, ma, al suo apparire, ne scrisse contro il già ricordato Bolgeni (Esame fatto sull’opera intitolata Vera idea della Santa Sede, stampata in Pavia nel 1784, Fuligno 1791) e la faziosità si ravvivò a Brescia. Fra i suoi critici più accesi non erano schierati solo gli ex gesuiti, ma anche domenicani, come il padre Tommaso Maria Mamachi, e altri religiosi. Sotto uno pseudonimo, nel 1785 uscì a Modena il Trattato della tolleranza ecclesiastica e civile. Dinanzi a queste continue polemiche lo stesso Giuseppe II si mostrò preoccupato per le divisioni che le dottrine giansenistiche portavano nelle scuole teologiche, ma anche nel clero e in varie parti dell’Impero, spingendo i vescovi ad appellarsi alla sua autorità.
D’altra parte, la celebrazione del sinodo di Pistoia (19-28 settembre 1786), presieduto dal vescovo Scipione de’ Ricci, ma animato dal segretario Tamburini che, insieme a Vincenzo Palmieri, ne compose i decreti, coagulò contro di lui l’opposizione alle tesi gianseniste e regaliste. Mentre a Vienna, tramite la nunziatura, si spingeva per il suo licenziamento dall’Università di Pavia, e i vescovi lombardi compattamente criticavano l’impostazione teologica di quell’università presso l’imperatore Leopoldo II, sostenuti da qualche scritto polemico, cui prontamente rispose Tamburini (Risposta di frate Tiburzio, M.R. allievo della Regia Università di Pavia, Pavia 1790), a Roma Pio VI, con la bolla Auctorem fidei (1794), condannava ottantacinque tesi del sinodo pistoiese.
Nel novembre del 1794 Tamburini e Zola furono rimossi dall’insegnamento universitario a Pavia. Ambedue fecero ritorno a Brescia, dove dovettero fare i conti con il vescovo Nani, che li sospese a divinis, mentre in molti si adoperarono affinché non riuscissero ad appellarsi all’imperatore.
I giansenisti italiani erano guardati con sospetto per le simpatie che in maggioranza manifestavano per la Francia e la costituzione civile del clero. Tamburini allora, per difesa dall’accusa di giacobinismo, stampò anonime le Lettere teologico-politiche sulla presente situazione delle cose ecclesiastiche (Lugano ante 1794) contro il trattato Dei diritti dell’uomo di Nicola Spedalieri. Ma non fu creduto e le polemiche si rinfocolarono, sostenute dal solito Bolgeni, da Francesco Maria Bottazzi di Tortona e dall’abate Luigi Cuccagni da Roma.
D’altra parte, dalla cattedra di filosofia morale e di diritto naturale dell’Università di Pavia, dove fu richiamato nel 1796, e dal liceo della Brescia repubblicana, istituito l’anno seguente, egli inneggiava alla saggezza del governo rivoluzionario di Francia. E non gli fu facile trovare giustificazioni, nel 1799, al ritorno delle autorità imperiali, che lo invitarono a ritirarsi in Tirolo. In ristrettezze economiche, dovette trattenersi lontano da Brescia e subì anche un attentato da parte di un tal sacerdote Andrea Filippi, distintosi nella rivolta antifrancese della Val Sabbia.
Nel 1800, ritornati i francesi, Tamburini riebbe la cattedra universitaria e fu nominato rettore del Collegio nazionale di Pavia; tra il 1806 e il 1808 pubblicò quattro volumi di lezioni di filosofia morale. Si adoperò a rincuorare i giansenisti lombardi e scrisse al Concilio nazionale di Parigi a sostegno delle Chiese d’Italia (1811).
Dopo il 1814, con la restaurazione del governo asburgico, non scrisse più di teologia. Pubblicò solo dei Cenni sulla perfettibilità della umana famiglia (Milano 1823), esprimendo indifferenza verso i vari cambiamenti di forme di governo che si succedevano, e una raccolta di versi intitolata Saggio di alcune poesie composte oltre l’ottantesimo anno dell’età sua (Milano 1824). Soffrì per il ristabilimento della Compagnia di Gesù e per i vari concordati che caratterizzarono la politica ecclesiastica del segretario di Stato, il cardinale Ercole Consalvi. Ma ormai viveva in silenzio, quasi isolato, ammirato dai discepoli, ma privo della maggior parte dei suoi antichi compagni di viaggio, già scomparsi. Nel 1817 fu nominato direttore della facoltà politico-legale dell’Università di Pavia, titolo che tenne fino alla morte, mentre tentava di far ristabilire la facoltà di teologia.
Il 28 giugno 1826 fece testamento e il 14 marzo 1827 morì a Pavia, per tifo. I funerali, due giorni dopo la morte, furono imponenti, con un corteo di oltre seicento studenti e l’elogio funebre recitato da Giuseppe Zuradelli.
Fonti e Bibl.: Oltre ai fondi dell’Archivio di Stato di Milano (Studi P.A. e P.M., Senato ecc.) e di Pavia (Università), dell’Österreichisches Staatsarchiv di Vienna, dell’Archivio segreto Vaticano, degli Archivi storici diocesani di Milano, Pavia e Brescia, documentazione è reperibile in diverse istituzioni pubbliche e private, in Italia e all’estero, spesso in relazione ad altre figure di spicco del giansenismo italiano ed europeo (come, ad esempio, a Parigi nella Bibliothèque du séminaire de Saint-Sulpice, 1291: Lettere di Pietro Tamburini ad Ange Clément, 1779). Nella Biblioteca del seminario di Mantova, Fondo Labus, è conservata la sua Autobiografia manoscritta.
Della consistente bibliografia, escludendo le trattazioni generali, si ricordano solo i titoli più recenti e significativi: F. Dini, P. T. Discorso, Colle di Val d’Elsa 1864; C. Cantù, Su la Guglielmina boema e su P. T. Nota letta nell’adunanza dell’11 aprile 1867 del R. Istituto Lombardo, Milano 1867; P. Guerrini, Carteggi bresciani inediti sulla vita e i tempi di P. T. (1737-1827), in Bollettino della Società pavese di storia patria, XXVII (1927), pp. 161-250; G. Gervasoni, Nel primo centenario della morte dell’abate P. T. Accenni e particolari biografici del Tamburini nel carteggio di Lorenzo Mascheroni, Brescia 1928; G. Mantese, P. T. e il giansenismo bresciano, Brescia 1942; R. Mazzetti, P. T. La mente del giansenismo italiano, Messina 1948; G. Giraldi, Il vero volto di Nicola Spedalieri e P. T., in Rivista internazionale di filosofia del diritto, XXXIV (1957), pp. 597-622; A. Minciotti, La polemica di Luigi Cuccagni con P. T., Città di Castello 1962; F. Ardusso, Natura e grazia. Studio storico-teologico sul teologo giansenista italiano P. T., Brescia 1970; M. Bernuzzi, La Facoltà teologica dell’Università di Pavia nel periodo delle riforme (1767-1797), Milano 1982; I. Garlaschi, Vita cristiana e rigorismo morale. Studio storico-teologico su P. T. (1737-1827), Brescia 1984; S. Marino, P. T. e la tolleranza religiosa: un contributo, in Synaxis, II (1984), pp. 576-590; A. Barcala Muñoz, Censuras inquisitoriales a las obras de P. T. y al Sínodo de Pistoya, Madrid 1985; Il Sinodo di Pistoia del 1786. Atti del Convegno internazionale..., Pistoia-Prato... 1986, a cura di C. Lamioni, Roma 1991; M. Comini, P. T., 1737-1827. Un giansenista lombardo tra Riforma e Rivoluzione, s.l. [San Zeno Naviglio] 1992; P. T. e il giansenismo lombardo. Atti del Convegno internazionale... 1989, a cura di P. Corsini - D. Montanari, Brescia 1993; E. Verzella, «Nella rivoluzione delle cose politiche e degli umani cervelli». Il dibattito sulle Lettere teologico-politiche di P. T., Firenze 1998; P. Stella, Il giansenismo in Italia, I-III, Roma 2006, passim; P. Vismara, L’anti-infaillibilisme des jansénistes lombards à la fin du XVIIIe siècle, in Le pontife et l’erreur. Anti-infaillibilisme catholique et romanité ecclésiale aux temps posttridentins (XVIIe-XXe siècles), a cura di S. De Franceschi, Lyon 2010, pp. 75-104; P. Vismara, P. T. e il “dispotismo pontificio”, in Il giansenismo e l’Università di Pavia. Studi in ricordo di Pietro Stella, a cura di S. Negruzzo, Milano 2012, pp. 95-114; D.K. Van Kley, From the catholic enlightenment to the Risorgimento: the exchange between Nicola Spedalieri and P. T., 1791-1797, in Past&Present, CCXXIV (2014), 1, pp. 109-162; Almum Studium Papiense. Storia dell’Università di Pavia, II, Dall’età austriaca alla nuova Italia, a cura di D. Mantovani, t. 1, Milano 2015, t. 2, 2017; A. Carrera, Tra giurisdizionalismo e diritto naturale. La tolleranza nell’opera del giansenista P. T. (1737-1927), in Tracing the path of tolerance. History and critique from the early modern period to te present day, a cura di P. Scotton - E. Zucchi, Newcastle upon Tyne 2016, pp. 71-86; Id., Dalla tolleranza religiosa alla «libertà del pensare». La riflessione dell’abate giansenista P. T. (1737-1827), docente alla Università di Pavia, in Italian review of legal history, II (2017), 6, pp. 1-16; M. Ferronato, P. T., amico di Giuseppe Zola. «Società di amicizia» e «civil società» nelle riflessioni di un giansenista italiano, in Il pensiero politico, L (2017), 3, pp. 332-356; C. Korten, P. T.’s jansenist legacy at the Irish College in Rome and his influence on the Irish Church, in Catholic historical review, CIII (2017), 2, pp. 271-296.