PEREGO, Pietro
PEREGO, Pietro. – Nacque a Milano l’11 dicembre 1830, unico figlio di Carlo e Margherita Casanova.
Il padre era originario di Oggiono e impiegato presso l’ufficio delle dogane.
Negli anni della formazione, complice l’influenza di maestri assai qualificati quali Mauro Macchi, Achille Mauri e Carlo Ravizza, il giovane Perego mostrò precoci interessi letterari, che diedero i primi risultati quando, studente di filosofia presso il liceo di Porta Nuova, diede alle stampe la sua breve raccolta di poesie intitolata Canti di Pietro Perego (Milano 1846); e l’anno successivo, quando videro la luce, sempre per Guglielmini, le Fantasie di Pietro Perego.
Le prime prove poetiche (anche in periodici quali Il Figaro e il Bazar), dettate da un gusto tardoromantico assai convenzionale ispirato a Giovanni Prati, non passarono del tutto inosservate dalla critica, senza tuttavia garantire all’autore il successo sperato.
Le Cinque giornate lo videro dapprima impegnato sulle barricate in difesa di Porta Nuova insieme ai compagni di studi Emilio Morosini, i fratelli Enrico ed Emilio Dandolo, Luciano Manara, poi nell’oratoria rivoluzionaria (suo un acceso discorso al battaglione degli studenti).
Dopo la liberazione della città si diede al giornalismo militante. I suoi primi interventi apparvero sul Pio IX, diretto da Vincenzo De Castro e schierato su posizioni moderate e favorevoli alla fusione con il Regno di Sardegna, tanto che Perego, insieme all’amico Enrico Lavelli, decise di abbandonare la redazione. La firma di Perego comparve allora sulle pagine dell’Emancipazione, il periodico diretto da Giuseppe Piolti de’ Bianchi alla cui redazione contribuirono Girolamo Fortunato Urbino, Gustavo Modena e Carlo Baravalle; decisamente più radicale, esso consentì a Perego di dispiegare la propria professione di fede repubblicana, non priva dello slancio egualitario e ‘populista’ di stampo evangelizzante già emerso nelle prime prove liriche.
Dove Perego recitò un ruolo di protagonista assoluto fu però sulle pagine dell’Operajo. Giornale democratico che egli stesso avviò il 13 maggio 1848 e che ebbe nel cofondatore Lavelli e più tardi in Enrico Cernuschi due figure di punta della redazione. D’orientamento repubblicano-democratico, il giornale condusse una serrata battaglia contro il governo provvisorio lombardo, giudicato asservito ai voleri del partito aristocratico e dunque avverso a quel popolo che, non senza ambiguità, Perego evocava quale protagonista della lotta politica. Attività che vide Perego in prima linea anche nella rinnovata cornice del variegato reticolo associativo milanese: membro della Palestra parlamentaria senza ricoprirvi particolari cariche, in qualità di segretario della Società per la rigenerazione intellettuale del popolo italiano si trovò, invece, a diretto contatto con il già citato Urbino, presidente della società nonché principale indiziato nell’inchiesta sul tentativo di colpo di mano contro il governo provvisorio operato il 29 maggio 1848 dalla componente più radicale dello schieramento repubblicano. Uscito indenne da un’istruttoria che lo aveva marginalmente coinvolto, portò avanti le proprie battaglie fin quando il ritorno degli austriaci in città lo costrinse alla fuga.
In un primo momento, prese la strada di Torino, ma vi si fermò poco tempo, trovando occasione di intraprendere una brevissima collaborazione con la Cronaca di tutti i giorni di Ercole Luigi Scolari.
Affidata alla testimonianza di Perego è la circostanza della sua successiva partecipazione alla disperata difesa di Morazzone che, sul finire di agosto, lo avrebbe visto a fianco di Giuseppe Garibaldi.
Dopodiché, sciolte dal generale nizzardo le improvvisate schiere di volontari, prese la strada di Lugano alla ricerca della sua stella polare, Giuseppe Mazzini. L’approdo in Ticino diede l’avvio a una nuova fase, durante la quale fu impegnato in un furibondo scontro politico a colpi di pamphlet. In settembre uscì una raccolta di canti dal titolo L’esule (Lugano 1848), autentico atto d’accusa contro i supposti responsabili della sconfitta (in primis il ‘traditore’ Carlo Alberto); e pochi giorni dopo furono i torchi di Capolago a stampare un suo opuscoletto incendiario dall’eloquente titolo Sterminate gli Austriaci (s.n.t.), nel quale il livore antipiemontese s’accompagnava all’incitamento per un pronto riscatto. Circondatosi poi da altri fedeli seguaci di Mazzini e Lavelli, approntò un’agile équipe redazionale per stampare il giornaletto L’esule, destinato a essere introdotto nel Lombardo-Veneto, mentre collaborò saltuariamente – insieme ai più noti Giuseppe Revere, Gaetano Lizabe Ruffoni e Pietro Maestri – al Repubblicano. Sempre dai torchi ticinesi uscì infine, a metà ottobre, il primo fascicolo di Popoli e legislatori. Cronaca di Pietro Perego (Italia 1848), che con maggior pacatezza affrontava l’esame della situazione politica europea, mettendo in guardia circa l’insincerità delle allora affioranti spinte liberali in seno al governo austriaco.
La partecipazione alla sfortunata insurrezione mazziniana della valle d’Intelvi ne decretò tuttavia l’espulsione dal Ticino: forzato a trasferirsi a Torino, vi si distinse quale uno dei principali collaboratori del battagliero Messaggiere torinese di Angelo Brofferio che, anche in anni più tardi, malgrado le ingiurie di cui sarebbe stato fatto oggetto, di Perego avrebbe ricordato la «nobile devozione di quei giorni» (A. Brofferio, Storia del Parlamento subalpino iniziatore dell’unità italiana, II, Milano 1866, p. 488).
Alla fine di marzo 1849, all’indomani della disfatta di Novara, dove probabilmente Perego combatté da volontario, le sue tracce si perdono: testimonianze contrastanti e non sempre verificabili suggeriscono una fuga tra Francia e Svizzera, un’escursione nella Firenze di Francesco Domenico Guerrazzi e una non meno assodata partecipazione alla difesa di Roma repubblicana.
Di certo, nella tarda primavera del 1849 fece ritorno a Torino, da dove però, nel clima di tensione che precedette il proclama di Moncalieri, fu espulso alla fine di giugno. Fu allora che riprese contatto con l’Elvetica di Capolago e, nell’unico fascicolo del periodico La Nuova Italia. Scritti politici, storici, letterari, pubblicò alcuni versi repubblicani e il suo scritto Sulla questione italiana. Pensieri di Pietro Perego, poi uscito separatamente (s.n.t.). Vera e propria ‘summa’ della sua riflessione politica legata alla situazione contingente, Perego si curava di legittimare storicamente la causa italiana spingendo per una chiamata alle armi che la fine della Repubblica Romana e l’imminente caduta di Venezia preannunciavano come disperata.
Si chiuse così un periodo di scontri appassionati e di rabbiose polemiche, nel quale Perego, all’insegna di un fondamentalismo mazziniano privo di tentennamenti, provò a tenere accese le speranze della causa nazional-repubblicana. Ma con l’allontanamento dal Piemonte e il mutamento del clima politico, le sue scelte diventarono sempre meno limpide e di difficile interpretazione. Successiva a quegli anni fu la svolta, segnata dal ‘tradimento’ della causa indipendentista a favore dell’aquila imperiale, che fece assurgere il ‘famigerato’ Perego, in una parte della pubblicistica coeva, a simbolo di ogni vizio esecrando, in antitesi alle virtù del patriota. Ed è proprio il carattere esemplare, paradigmatico, della sua contraddittoria vicenda, a fare di lui un personaggio meritevole di approfondimento.
Sul finire del 1849, approfittando dell’amnistia, fece rientro a Milano. Si mise a collaborare alla Solitudine pubblicandovi versi, recensioni e brevi saggi storici, ma vi si allontanò polemicamente e il 23 gennaio 1850 fece rinascere L’operajo (di cui uscirono solo tre numeri). Poi diede vita a L’artista, anch’esso soppresso dalle autorità. Il ridotto spazio di libertà concesso e il possibile avallo di tematiche ‘filocomuniste’ (in chiave punitiva nei confronti del partito aristocratico giudicato da Vienna primo responsabile della rivoluzione) rendevano l’attività redazionale intricata, ma le frequenti soppressioni dimostravano che quel giornalismo foraggiato dagli austriaci cercava nondimeno una sua autonomia, sconfinando spesso nel terreno scivolosissimo dell’attualità. Altre collaborazioni del 1850-51 – oltre a quelle sporadiche con L’Era nuova, La Fenice e Il Tesoro – lo videro impegnato nel Rastrello e nella Gazzetta dei teatri, sulla quale pubblicò il dramma L’artista ed il secolo.
All’interesse per il mondo del teatro le fonti attribuiscono anche la decisione di Perego di lasciare Milano: dopo la rappresentazione della sua commedia (non pervenutaci) Burigozzo o l’uomo del popolo, egli si sarebbe allontanato clandestinamente dalla città per seguire in Piemonte un’attrice della quale si era invaghito.
Nell’estate del 1851, a Torino, Perego provocò un focolaio di polemiche con la pubblicazione de I misteri repubblicani e la Ditta Brofferio, Cattaneo, Cernuschi e Ferrari (Torino 1851), attacco frontale – condotto con il vecchio Lavelli – contro tutto lo schieramento repubblicano federalista. Quale ne fosse l’origine – lo si disse ispirato da Mazzini, ma pure dalle autorità austriache – il libello gli fece terra bruciata attorno, in quanto principale responsabile della redazione (anche per l’uscita di scena di Lavelli), mentre Mazzini si affrettò a prendere prudentemente le distanze. Perego vide chiuderglisi le porte di Torino senza poter fare rientro a Milano; fu così costretto a un travagliato esilio quinquennale, prima in Ticino e poi a Zurigo, dove ebbe un figlio e riprese la scrittura letteraria senza tuttavia dare alle stampe alcuna delle opere abbozzate. Dopo un peregrinare tra Francia e Germania e, nel 1855, un primo tentativo di rientrare in Lombardia (non è chiaro se allora avesse stretto accordi per agire da spia al servizio di Vienna), fu arruolato nella legione anglo-svizzera al servizio della Gran Bretagna durante la guerra di Crimea. Ottenuto il congedo nell’estate 1856, si recò nuovamente a Torino, ma all’inizio del 1857 si risolse a rientrare a Milano.
L’ultima fase dell’esistenza di Perego fu segnata dalla riscoperta della letteratura e dalla decisa sterzata verso l’Austria, testimoniata pubblicamente dalla collaborazione con la reazionaria Sferza di Angelo Mazzoldi. Tra il 1857 e il 1858 centinaia di interventi di Perego, assurto a un ruolo di condirezione, gli assicurarono una presenza e una visibilità che lo indussero ad avviare personalmente una nuova rivista dal titolo La Fenice. Foglio di lettere ed arti con appendice teatrale (luglio 1858-aprile 1859), da cui era esclusa qualsiasi discussione politica. Con il sopraggiungere della seconda guerra d’indipendenza, affiancò come segretario il maresciallo Ignácz Gyulai, titolare dell’autorità civile e militare nel Lombardo-Veneto; e dopo la pace di Zurigo si stabilì a Verona in veste di direttore dell’ufficiale Gazzetta di Verona, proponendosi quale alfiere di un’offensiva risentita contro il nuovo Regno d’Italia, condotta sia dalle colonne del giornale, sia attraverso la pubblicazione di opuscoli. Controcanto costante dell’entusiastica celebrazione unitaria, la produzione di Perego si adoperò a mostrare le contraddizioni del nuovo Stato e a farsi propugnatore, separando questione nazionale e indipendenza, di una confederazione italiana in cui venissero restaurati i regnanti ‘legittimi’. Sganciato completamente dalla realtà, cominciò a dare segni di crescente insofferenza anche verso gli austriaci, dai quali non si sentiva adeguatamente difeso a fronte dei sempre più frequenti attacchi personali.
L’ultimo scontro lo vide opposto ai gesuiti, e quando il 14 ottobre 1863 fu rinvenuto privo di vita a Verona, più voci ne addebitarono la scomparsa all’avvelenamento, a opera di sicari, per conto del ‘partito clericale’.
Opere. Tra i volumi e gli opuscoli a stampa (talvolta anonimi e spesso estratti da precedenti articoli), oltre ai testi citati, si segnalano: Canti guerreschi, s.n.t. [1848] (con Giuseppe Bertoldi); Ore melanconiche, Milano 1857; Raffaella, Milano 1857; Le riforme nell’Austria. Considerazioni, Verona 1860; L’Italia al cospetto della Europa del cav. P. P., Verona 1861; Gaeta e le Due Sicilie, Bologna 1861; Memorandum al Parlamento piemontese, Verona 1861; Lettere a Cavour, Ricasoli e Ponza di S. Martino, Verona 1862. Alcuni articoli pubblicati sull’Operajo (stampato anche in tre volumi presso l’editore e libraio Francesco Colombo), sono riprodotti in I periodici popolari nel Risorgimento, a cura di D. Bertoni Jovine, I, 2, La Rivoluzione, 1848-1849, Milano 1959, pp. 363-383.
Fonti e Bibl.: Le informazioni anagrafiche sono state reperite nei fondi dell’Archivio storico della diocesi di Milano e dell’Archivio storico civico di Milano. Dell’Archivio di Stato di Milano sono da segnalare soprattutto i fondi Autografi, cart. 149, f. 56 bis; Processi politici, cart. 186. Nell’Archivio Mauro Macchi, conservato presso la Biblioteca-Archivio della Fondazione Gian Giacomo Feltrinelli di Milano, vi sono alcune lettere di Perego a Macchi, in parte pubblicate da F. Della Peruta, Carlo Cattaneo politico, Milano 2001, ad indicem. Altri fondi da segnalare: Archivio di Stato di Torino, Sezioni riunite, Emigrati, s. I, m. 51, f. P. P.; s. II, m. 32, f. Ferri Nicola; Archivio di Stato di Venezia, Presidenza di luogotenenza lombardo-veneta, b. 292, f. 3/2; b. 299, tit. I, f. 3/10; b. 300, tit. I, f. 3/71; b. 569, tit. V, f. 2/4; b. 570, tit. V, f. 2/14; Biblioteca civica Carlo Cameroni di Treviglio, Archivio emigrazione italiana nel Piemonte, ms. VII 6/B (ff. 1-10). Sul 1848-49 è utile il racconto autobiografico l’Esule italiano. Storia politica contemporanea, pubblicato a puntate nella Sferza fra il giugno 1857 e il giugno 1858. Si vedano inoltre: G. Meda, Il famigerato P. P. a Solferino, ovvero un episodio dell’ultima guerra. Cronaca, Milano 1860; Vita e morte di P. P., Milano 1863; G. Solitro, Due famigerati gazzettieri dell’Austria (Luigi Mazzoldi - P. P.), Padova 1929; S. Pozzani, Dal tricolore all’aquila bicipite: P. P., in Studi storici Luigi Simeoni, 1994, vol. 44, pp. 145-162; G. Albergoni, Il patriota traditore. Politica e letteratura nella biografia del ‘famigerato’ P. P., Milano 2009, cui si rinvia per una bibliografia più dettagliata; Id., Un giovane repubblicano esule nel Ticino. Gli scritti del milanese P. P. del 1848-1849, in Il Cantonetto. Rivista letteraria, LVII-LVIII (2011), 2-3-4, pp. 51-57.